Dopo vent’anni di gavetta su set televisivi e cinematografici, oggi il nome di Pierfrancesco Favino è sinonimo di talento e professionalità internazionale. Tanto che Hollywood si è accorta di lui e lo cerca sempre più: dopo Le Cronache di Narnia – Il Principe Caspian e Miracolo a Sant’Anna, fra poco uscirà anche Angeli e Demoni, che lo vedrà accanto a Tom Hanks. Cortese, disponibile e intellettualmente stimolante, solo due cose non sopporta: le certezze assolute e chi lo chiama “star”.
Sempre più ricercato oltre Oceano: come vive questo momento d’oro?
Con la felicità di chi riesce a lavorare sia in Italia che all’estero, sarei stupido a non dire di essere contento di avere simili opportunità, soprattutto per allargare gli orizzonti creativi e mettermi alla prova. Però non penso al lancio americano, non so cosa significhi, per me Hollywood resta una scritta, nient’altro: non sono una star.
Però è stato diretto da registi celebri a livello mondiale.
Certo, ma il percorso di un attore è fatto dalle esperienze che fa, non dai nomi dei registi. Spike Lee e Ron Howard hanno un loro peso nel cinema, ma sono convinto che anche un regista più piccolo possa fare bene, basta che non si confondano i mezzi economici con quelli dell’anima. L’industria ha portato a un’infallibilità del rapporto emotivo verso ciò che si fa, io non credo che la professionalità abbia a che fare con il denaro, ma con l’amore verso il proprio mestiere.
Com’è stato lavorare con Spike Lee?
Bellissimo, come me è meticoloso e si concentra sul film 24 ore su 24. Io andavo sul set anche quando non lavoravo, m’intrigava molto il suo saper unire una grande capacità visiva a una forza d’artigianato enorme, mette le mani nella terra per creare un film. E’ un uomo pieno di dubbi, come me, come qualunque artista. L’unico lato poco positivo è aver girato la strage di Sant’Anna lì dove è accaduta, è stato scioccante.
Il suo personaggio in quel caso ha suscitato non poche polemiche…
Le polemiche sono dovute a prese di posizione che io capisco, se fossi un uomo di ottant’anni che ha combattuto fino all’ultimo per la libertà di un paese, forse anch’io sarei rimasto ferito da un certo racconto del reale. Ma il mio lavoro consiste nel mettermi nei pensieri e nelle scarpe dei personaggi che interpreto: rivivere la giornata di un partigiano, non dibattere storiograficamente. E la mia battuta più bella era: “di fronte a Dio che differenza c’è?”. Non ho mai sperimentato la guerra, quindi non giudico le persone che rischiavano, pensando a come procurarsi cibo e a scamparla. Posso solo parlarne da attore, ma per fortuna non devo sparare a qualcuno per garantire la mia libertà. Ancora.
Come “ancora”?
Voglio dire che ci sono livelli molto più sottili oggi da cui siamo minacciati, parliamo di quelli! Se rimaniamo ancora attaccati all’idea di dover appartenere a una parte piuttosto che a un’altra, perdiamo di vista ciò che succede oggi e che ci sta cambiando realmente. E’ come continuare a dibattere se sia giusta o no fare una legge sulle intercettazioni e non parlare più di ciò di cui esse trattavano. Perché dobbiamo stare attenti a non dire quello che pensiamo in questo paese? Quando dovrò insegnare la storia a mia figlia, voglio che se ne faccia una sua idea. Le dirò che le strade incerte possono comunque essere esplorate: è questo che lascia spazio all’arte e alla creatività. La certezza non serve a nessuno. Il dubbio, invece, a tutti.
Come si è sentito nei panni dell’ Uomo che ama?
Come sempre: amo, sono amato, ho lasciato, sono stato lasciato… per quell’interpretazione mi sono affidato completamente a Maria Sole (Tognazzi, la regista, n.d.R.), non so che ho fatto, ma sono contento si sia finalmente parlato d’amore a partire da un uomo. La letteratura romantica nasce con Dante, non è esclusiva femminile. E poi al cinema noi uomini siamo sempre o quelli che vanno via di casa per quella più giovane, o quelli che non vedono l’ora di andare a letto con l’altra. Poi c’è il cinema omosessuale che affronta il tema dello straziamento. Come se in Italia non si potesse dire: sono uomo, etero e soffro per amore. Ancora con lo stereotipo della debolezza? Ma per favore.
Claudia Catalli
(Nella foto Pierfrancesco Favino)