Barbara Dall’Angelo e la sua fotografia. Guardare il mondo con occhi diversi

Splendere di luce propria, senza spegnere le stelle degli altri
Barbara Dall’Angelo e la sua fotografia. Guardare il mondo con occhi diversi

La fotografia ha il potere di fissare attimi e emozioni comunicando, in maniera diretta, attraverso le immagini. La Natura è lo sfondo dei nostri pensieri. Appartiene a tutti allo stesso modo ma interpreta sentimenti per ognuno diversi. Stati d’animo di gioia e accoglienza, sofferenza e solitudine.

Un’esperienza del cuore e della mente per ritrovare se stessa, attraverso la bellezza della natura, è la straordinaria arte della fotografa paesaggista Barbara Dall’Angelo.

Da sempre a contatto con cinema e televisione, ha fondato ed è amministratrice della società di distribuzione “Dall’Angelo Pictures”. Collabora, dal 2011, con la Rivista “National Geographic Italia” e ha pubblicato libri celebrando la bellezza e l’estrema fragilità del pianeta, da fotografare a tutte le latitudini. Le sue opere sono state esposte in mostre individuali e collettive in Europa, in gallerie d’arte e collezioni private. di Londra. Ha ricevuto riconoscimenti in prestigiosi concorsi fotografici. Prima donna a vincere il concorso internazionale di fotografia naturalistica “Asferico” con gli “Alberi danzanti” indonesiani, è stata premiata nel “Wildlife Photographer of the Year”, promosso dal Museo di Storia Naturale di Londra, con una fotografia scattata in Andalusia che ritrae campi allagati durante il ciclo di coltivazione del riso.

Fino al 16 giugno, la mostra fotografica “Zefiro, vento di primavera”, curata e organizzata da Tina Vannini presso “Margutta Veggy Food & Art” di Via Margutta, a Roma, presenta venticinque scatti narrando la natura attraverso un viaggio di emozioni. Dall’Italia, con le sue foreste dolomitiche e la costa tirrenica, alla Camargue e all’Andalusia, dalle cascate di Iguaçu, in Brasile, alla foresta di allori a Madera e agli scenari della Louisiana. Messaggio intimo dell’autrice per riflettere su se stessa e sul rapporto tra uomo e pianeta e per il rispetto dell’ambiente.

Le immagini di Dall’Angelo catturano per l’intensità non solo estetica. “Esperienza di connessione profonda con la natura, un momento di contemplazione e riflessione che può ispirare un nuovo modo di guardare il mondo”, spiega la curatrice della mostra Tina Vannini. “La natura è un racconto senza fine, fatto di luce, vento e silenzi che parlano a chi sa ascoltare”, afferma l’artista. La mostra è, dunque, “un invito a immergersi nella bellezza selvaggia del mondo e a riscoprirne l’armonia”.

E’ il cammino personale della donna, prima che dell’artista, per superare prove e affrontare pericoli, seguendo la propria interiorità. Percorso verso una conquista di armonia e di equilibrio ricercata in una natura che non delude mai e sempre rinasce.

Il viaggio è osservare la realtà da prospettive diverse e guardarla con occhi sempre nuovi, ricorda Marcel Proust.

Per Barbara Dall’Angelo, il viaggio è arte fotografica. In una ricerca continua di appassionanti emozioni, ritrae paesaggi, non scene predatorie, durante gli avventurosi viaggi. Fissando l’incanto della natura, è portatrice di messaggi per il rispetto dell’ambiente.

L’artista mi accoglie a via Margutta, nel percorso espositivo della mostra. Conquistano subito il sorriso avvolgente e l’eleganza naturale del suo stile. Descrive le opere con un entusiasmo che travolge, condividendo contesti e dettagli degli splendidi scatti. Ognuno ha una storia che affascina, in un linguaggio che si fa via via più poetico.

Ecco le sue parole.

D. Fotografa per “eredità” familiare. Fotografa per passione. Viaggiatrice, insieme alla sua macchina fotografica. Un connubio indissolubile. Alla scoperta del mondo o alla scoperta di sé?

Ho cominciato a fotografare perché volevo ritrarre i miei viaggi, quindi, la mia passione fotografica era subordinata a quella per i viaggi, alla scoperta del mondo. Scoprendo il mondo, in realtà, sono andata a ritrovare me stessa perché la fotografia mi ha regalato un nuovo sguardo. E’ il mio modo di vedere il mondo, va ben oltre il lavoro. Mi sono rivista nella natura che fotografavo, quindi, dalla scoperta del mondo sono passata alla scoperta di me stessa. C’è un’immagine, in particolare, che lo esprime. E’ la fotografia delle mangrovie, scattata sull’isola Sumba poco conosciuta dell’Indonesia. Non facilmente raggiungibili, quelle piante mi incuriosivano e le ho osservate per una settimana riposizionando la macchina fotografica. Sono delle mangrovie molto piccole che, a differenza del resto del mondo, sono isolate e distanziate tra loro ma si cercano come in un abbraccio, aspettando la bassa marea, in quel gesto manifestano la loro voglia di resistere e essere resilienti. Sembrano danzare ma, in realtà, sono schiacciate dal peso dei venti, dal cambio della salinità, dalla ricerca dell’acqua, e con grazia rispondono alla potenza di quegli elementi che le vorrebbero spezzate.

D. C’è sensibilità, empatia, resilienza, tecnica, nei suoi scatti. Una ricerca di sé fortemente voluta? E’ una fotografia al femminile?

Penso che la fotografia delle mangrovie sia emblematica nel mio percorso perché rispecchia pienamente il mio modo di interpretare un paesaggio. L’eleganza e la resilienza che ho colto in quell’immagine, forse, un uomo non può vederla. In me, si intreccia anche in relazione ad una condizione personale. Convivo da molti anni con una malattia cronica eppure, anche tra difficoltà e sofferenza, ho continuato con passione il mio lavoro. Non ci si può fermare. La passione per la fotografia è la mia forza e mi spinge ad andare avanti con entusiasmo.

D. Le sue opere esprimono serenità e pace ma anche tormento. Insomma, la fotografia metafora della vita. Cosa prevale?

Ho sempre ricercato una natura tormentata che, nonostante tutto, resiste. In Lapponia, ad esempio, ho ritratto alberi curvi sotto il peso della galaverna, che trasforma il vapore in ghiaccio, ma che in estate risplendono e si rialzano di nuovo. E’ una natura che rinasce e, nella mostra “Zefiro, vento di primavera”, è la natura che sboccia con i suoi colori e dona gioia. La natura non delude mai. Siamo noi fragili e ciò che facciamo si riversa anche su di noi, non solo sulla natura.

D. Attraverso la bellezza delle sue opere, si coglie anche un forte messaggio civile.

Preferisco far amare la natura attraverso la bellezza piuttosto che denunciare attraverso opere più “sconvolgenti”. Passare attraverso l’amore piuttosto che “scioccare”. Un’arma gentile per risvegliare le coscienze, per il rispetto dell’ambiente.

D. Una fotografia pienamente femminile, l’amore noi donne lo mettiamo in tutto. E dopo tanti viaggi avventurosi alla ricerca di dettagli inediti, c’è un orizzonte che, alla fine, può placare l’inquietudine personale?

Mi piace andare sempre alla ricerca di nuovi mondi, esperienze, sguardi. E’ un modo per spingermi oltre i miei limiti e mettermi davanti a nuove prove. Non fotografo il viaggio che faccio, viaggio per fotografare. Prima di partire ho già un’idea di ciò che voglio fotografare, cosa voglio fare. Il mio prossimo viaggio sarà in Alaska, in camper, insieme a mio marito, tra l’autunno e l’inverno, stagione abbastanza aggressiva.

D. Un viaggio che parte dall’anima, quindi, e attraverso l’arte della fotografia tira fuori l’intima profondità dei luoghi. Un approccio affascinante. Ma questo modo diverso, una fotografia così gentile, è qualcosa che, secondo lei, è da riconoscersi come prerogativa femminile?

Penso che lo sguardo femminile abbia sempre qualcosa in più da aggiungere, non perché lo sguardo maschile non sia importante, semplicemente perché è diverso. In un periodo così complesso per il pianeta avere uno sguardo anche femminile che lo racconta è sicuramente qualcosa in più. Ho vinto il concorso internazionale “Asferico” nel 2024 con una fotografia molto essenziale, “Alberi danzanti”, mangrovie tutte bianche, senza sfumature, ritratte all’alba in uno scatto particolare che ne ha accentuato il disegno grafico dell’abbraccio. La giuria era interamente maschile. Evidentemente anche gli uomini si sono specchiati in quell’immagine, in quell’abbraccio.

D. Prima gli studi in lettere e filosofia, poi la formazione in regia. Una cultura fotografica non improvvisata?

Le mie fotografie sono molto pensate. Ho studiato regia al centro sperimentale e la narrazione dell’immagine attraverso il singolo scatto mi appartiene. È una ricerca anche culturale, la fotografia. Auspicio per una società che vuole riflettere e migliorare. E’ il messaggio di una natura che chiede rispetto e non delude mai, perché sempre si risveglia e sboccia.

D. La sua fotografia è ricerca di armonia e equilibrio. Ha definito la semplicità come la più complessa sofisticazione. Che cosa significa?

Quando faccio una fotografia vado sempre alla ricerca delle linee, dei volumi, dei colori che si coniugano tra loro, quindi ricerco proprio l’essenziale. Un lavoro che, in alcuni scatti, sembra poter andare verso un mondo onirico nel quale cose e colori appaiono quasi sfocati. La ricerca della semplicità fa la differenza. Quest’armonia offre un senso di serenità nella perfezione della natura. Rappresento una natura che non aggredisce. Anche quando riprendo un’eruzione vulcanica, cerco di inserirla in un contesto che ne attenui la violenza. Nella magia di una notte stellata, quasi fiabesca, o del vapore in vulcani attivi, con la lava incandescente che si tuffa nell’oceano. Cristallizzando un momento magico anche nella violenza della natura, ricerco equilibrio e armonia.

D. Quasi un’esigenza di trasformare il male e il dolore in qualcosa di bello e di buono. Ma questo sguardo femminile così sensibile e complesso, ritiene sia valutato positivamente?

Non mi sono mai sentita sminuita dal mio sguardo femminile. Sia nell’attività di distribuzione di prodotti televisivi che nella fotografia mi ritrovo, ai vertici delle aziende, in un mondo maschile ma, ora, molti posti chiave sono ricoperti anche da donne. Nelle giurie dei concorsi di fotografia naturalistica, nei palchi, fino a poco tempo fa composti da solo uomini, c’è una presenza femminile. Probabilmente, nel passato vincevano sempre gli uomini, spesso con soggetti predatori, perché mancava anche lo sguardo femminile a giudicare. In un concorso come Wildlife Photographer of the Year, dedicato alla fotografia naturalistica promosso dal Natural History Museum di Londra, nel quale sono presenti anche donne giurate, una mia fotografia scattata in Andalusia è stata premiata e sta facendo il giro del mondo.

D. Quale messaggio possiamo offrire alle giovani donne che hanno dei sogni, non soltanto nella fotografia?

Perseverare. Nel caso della fotografia, il vero scatto, lo scatto che funziona, non è necessario andare a ricercarlo in capo al mondo, lo puoi vedere ovunque. E, poi, mettersi comunque alla prova. Il viaggio, per me, è una continua rinascita. Giro il pianeta perché il mio sguardo deve sempre rinnovarsi.

D. Le donne hanno coraggio e determinazione e vanno incontro alla vita. Ma, forse, abbiamo bisogno di maggiore fiducia e anche di quella solidarietà femminile che, a volte, manca. Come si supera questo limite?

Penso che la solidarietà femminile debba veramente essere al primo posto, sempre, in un mondo maschile. Basta guardarsi, sostenersi tra donne. Non giudicarsi o mettersi a confronto. Questo è il segreto. Sono contenta se vedo una donna bella nella sua complessità, una donna di successo. Non la vedo come una nemica. Non bisogna sminuire o disprezzare una persona per risplendere. Bisogna splendere di luce propria, senza spegnere le stelle degli altri.