Il vermocane, noto scientificamente come Hermodice carunculata, è un verme marino che vive nelle calde acque del Mediterraneo. Di aspetto colorato e affascinante, questo organismo è dotato di piccole spine chiamate “chete”, che possono causare irritazione e dolore se vengono a contatto con la pelle umana. Sebbene sia sempre stato presente lungo le coste del Sud Italia, è recentemente salito agli onori della cronaca per un suo ipotetico potenziale impatto sulla balneazione e sull’attività dei pescatori.
In questa intervista, abbiamo parlato con il Professor Luigi Musco dell’Università del Salento, un esperto di biologia marina. Il professor Musco ci fornisce una panoramica dettagliata sul vermocane, una creatura marina che ha attirato l’attenzione recentemente sulle coste italiane. Grazie alla sua conoscenza e esperienza, il Professor Musco ci aiuta a capire meglio questo organismo, sfatando miti e fornendo preziose informazioni sulla sua presenza nel Mediterraneo.
L’anno scorso fu il granchio blu ad “allarmare” l’estate italiana. Quest’anno pare sia il vermocane. Ci sono delle similitudini tra i due casi?
Non ci sono analogie o similitudini significative, eccetto che entrambi sono organismi marini. Il granchio blu è una specie aliena, non nativa dei nostri mari, che è arrivata qui vari anni fa, ma la cui popolazione è esplosa di recente diventando invasiva, come spesso accade a specie di nuova introduzione. Il vermocane, invece, è sempre stato presente nel Mediterraneo. Abbiamo reperti museali che lo testimoniano. È tipico delle acque calde del Mediterraneo, più comune in Grecia, Turchia, Cipro, Creta e lungo le coste Ioniche, tra Salento, Calabria e Sicilia. C’è sempre stato. Pescatori anziani qui in Salento mi hanno detto di ricordarselo da quando erano bambini. L’allarmismo di oggi mi pare esagerato. L’unica precauzione è non toccarlo.
Che animale è il vermocane e perché è salito improvvisamente agli onori della cronaca?
Il vermocane è un anellide polichete marino, un parente dei lombrichi, con caratteristiche particolari. Ai lati del corpo possiede delle strutture chiamate “chete”, che sono piccole spine che, a contatto con la pelle, possono provocare dolore e irritazione. È un animale che è sempre stato presente lungo le coste del Sud Italia senza mai provocare allarmi o particolari problemi per i bagnanti. Vive soprattutto in brevi tratti di costa rocciosa o in fondali marini con scogli e rocce. Il problema è che conosciamo ancora poco il mare e gli organismi che lo abitano; quindi, ogni nuova “scoperta” può essere accolta in modo allarmistico. Infatti, negli ultimi anni alcuni gruppi di ricerca italiani hanno portato alla ribalta il vermocane, con la creazione di una mappa della sua distribuzione disegnata anche grazie alle segnalazioni dei cittadini, soprattutto attraverso i social, ma la mappa è solo una fotografia della distribuzione della specie, che potrà essere usata in futuro per capirne l’evoluzione. Alcune ricerche ipotizzano che, a causa del surriscaldamento delle acque, il vermocane possa spostarsi più a nord, ma ciò è ancora da dimostrare. È plausibile, come per altre specie marine tipicamente “meridionali” che si osservano sempre più di frequente a nord, nell’alto Tirreno e nel Mar Ligure perché trovano condizioni sempre più favorevoli. Un esempio sono le tartarughe marine, il cui areale di nidificazione si sta spostando sempre più verso nordovest. È necessario continuare a monitorare le coste per alcuni anni ancora per capire se una vera e propria espansione verso nord si stia verificando. È vero, tuttavia, che il caldo favorisce la riproduzione del vermocane, come dimostrato da una recente ricerca dell’Università del Salento.
È una specie aggressiva? È un rischio per la balneazione?
No, il vermocane è un animale lentissimo e, se non stuzzicato, non è assolutamente una minaccia. Si nutre di organismi marini molto lenti o in difficoltà. Può accadere che un pescatore lasci la sua rete nei pressi di una costa rocciosa, dove il vermocane vive, e che questo animale si impigli nelle reti per cercare di predare i pesci intrappolati. L’unico problema rilevato al momento è questo, legato alla pesca. Per la balneazione tradizionale, in spiaggia o in mare, non rappresenta un rischio. È molto più probabile imbattersi, per esempio, in meduse o tracine che si nascondono sotto la sabbia, che incontrare un vermocane, che tra l’altro non è presente sui litorali sabbiosi. Sulle rocce dove vive, il vermocane non si nasconde, è ben visibile grazie ai suoi colori sgargianti. Per essere punti dal vermocane, bisogna toccarlo volontariamente.
È invece un pericolo per l’attività dei pescatori?
Sì, può rappresentare un problema per i pescatori di alcune aree limitate delle nostre coste. Se lasciano le reti per lungo tempo nei pressi di coste rocciose o fondali con rocce, c’è il rischio che si raccolga il vermocane. Pescatori salentini mi hanno detto che già 60 anni fa sapevano che nelle reti lasciate a lungo in acqua in alcuni punti ben definiti della costa avrebbero trovato questo animale, attratto dall’odore del pesce catturato. Tuttavia, i pescatori delle zone dove è presente lo conoscono bene, sanno che per estrarlo dalle reti vanno usati i guanti e che non va spezzato e ributtato in mare, poiché dai singoli pezzi si possono rigenerare nuovi individui.
Il vermocane ha dei predatori?
Ha pochissimi predatori. Proprio perché è protetto dalle sue chete acuminate, è difficilmente predabile da altre specie marine.
Cosa rischia l’uomo qualora dovesse calpestarlo o toccarlo? Come bisogna comportarsi in caso di puntura?
Si ritiene che alle chete del vermocane siano associate delle tossine che irritano la pelle. Toccando il verme, questa sorta di spine rimangono infilzate nella pelle e le tossine vengono iniettate nella cute. Bisogna non sfregare la cute, rimuoverle con una pinzetta, come si farebbe con gli aculei dei ricci di mare, oppure applicare del nastro adesivo e lentamente farle staccare. La parte interessata dovrebbe poi essere immersa in acqua calda per avere sollievo, poiché probabilmente le tossine delle chete perdono effetto con il calore.
Foto Cover credit: Michele Solca