In Italia la violenza di genere ha colpito sei milioni e 700 mila donne (fonte Istat), di cui l’80% nelle mura domestiche. Nel 2018, i maltrattamenti, in casa, denunciati sono stati 17.453, il valore più alto dell’ultimo quinquennio (più 11,77%).
Omicidi, stupri, stalking. Cresce il numero dei reati che hanno come vittime le donne. I dati della Procura di Roma, in occasione dell’anno giudiziario, denunciano una città violenta. Solo a Roma, tra luglio 2018 e giugno 2019, i casi di femminicidio sono stati 17, di cui 4 consumati e 13 tentati. E la violenza sessuale, sempre nella Capitale, è cresciuta del 15%.
Sono dati drammatici, di vite distrutte, o cancellate per sempre.
Una violenza trasversale che non ha uno status economico, né un livello culturale. Il corpo della donna bersaglio di un paradigma maschilista che vuole minare qualsiasi libertà femminile.
II femminicidio è il dramma di tante vittime. Le donne uccise brutalmente sono state una ogni 72 ore nel 2018 (fonte Istat). Secondo il rapporto Eures, 142 le donne uccise, in Italia, nel 2018, mai in percentuale così alta (40,3%). In soli 5 anni, 500 mila minori hanno assistito a violenza domestica ai danni delle loro mamme, secondo una stima di Save the Children. Un fenomeno ancora sommerso, la ‘violenza assistita’, che rappresenta la seconda forma di maltrattamento più diffusa sull’infanzia. E poi ci sono i nonni e i parenti più prossimi, distrutti da un dolore inaccettabile.
Oggi siamo qui ad interrogarci su quale ritardo storico e culturale generi tanta violenza nei confronti della donna. Uomini, anche ‘insospettabili, ripristinano la ‘pena di morte’ per ragioni di ‘onore’. Un’offesa al presunto diritto di ‘possesso’. Nonostante le leggi e il ‘codice rosso’.
Un problema strutturale che coinvolge in maniera agghiacciante i minori orfani di femminicidio.
Una giusta prospettiva, quella di WeWorld Onlus: la violenza sulle donne e sui loro figli ha un filo comune e per affrontare il fenomeno occorrono strumenti adeguati, in una ‘visione d’insieme’ e con un approccio culturale unitario. Tre le proposte di prevenzione: aiutare le famiglie con interventi congiunti su genitori e figli per cambiare ‘atteggiamenti culturali e sociali interiorizzati’; istituzione di un fondo specifico per favorire ‘la collaborazione tra pubblico e privato sociale, fra enti erogatori e territorio, fra le associazioni’; infine, l’azione della scuola ‘per sensibilizzare i giovani sul rispetto delle differenze, insistere sulla parità di genere, coinvolgendo anche gli insegnanti e le famiglie’.
Per i minori, circa 2000, privati di tutto, questa terribile violenza definita ‘indiretta’, pur in assenza di segni fisici, lascia tracce devastanti e indelebili per l’esistenza, introducendo elementi di instabilità nel percorso di crescita. Abbandonati fisicamente ed emotivamente, sono oggetto di un ‘danno invisibile’ di difficile rilevazione, negato, sottovalutato. Oggi, tuttavia, la violenza assistita è considerata una ‘violenza primaria’, equiparabile ad un abuso diretto.
Non solo il 25 novembre, nella giornata internazionale contro la violenza sulle donne, ma ogni giorno, nella nostra quotidianità, sosteniamo con determinazione la parità di genere, aderiamo ad ogni iniziativa per promuovere una cultura che abbatta stereotipi che vogliono l’uomo padrone della vita della donna. Cerchiamo la solidarietà anche maschile perché gli uomini non violenti escano dal silenzio e combattano, insieme alle donne, aggressività e volgarità. Insegniamo, sin da bambini, ai nostri figli, il pieno rispetto della persona e delle differenze, perché la prevenzione della violenza in genere è l’unica risposta a un fenomeno così atroce.
Pensiamo concretamente alle vittime ‘invisibili’. Per ora, non sono bastate tre leggi, mancano i decreti attuativi per assicurare assistenza medica e psicologica, orientamento e sostegno a scuola e nell’inserimento al lavoro. I centri antiviolenza, che svolgono un lavoro fondamentale nel supporto alle donne vittime, non hanno risorse sufficienti. Ai provvedimenti normativi, occorre affiancare l’impegno sociale.
Per ogni donna uccisa, spesso c’è anche un bambino che non ha più la propria mamma e che porta con sé le ferite non rimarginabili di una violenza ingiusta ed inaudita. E che attende urgenti risposte.
Elvira Frojo