Dalla carta tira fuori opere d’arte: lo fa con dedizione, attenzione minimale e incredibile senso estetico. Marco Gallotta, italiano di Battipaglia – nella provincia di Salerno – ha scelto la carta per esprimersi e per lasciare messaggi. Sulla carta non scrive, ma la incide in maniera chirurgica attraverso la tecnica del paper cutting, ormai diventata suo segno distintivo. Nel suo studio nel quartiere di Harlem sceglie volti, celebri o meno noti, per farli diventare protagonisti delle sue opere: volti diversi ma tutti accomunati da un senso di straordinario, dal non essere indifferenti nei confronti della società. Marco Gallotta è sì un artista del volto, che realizza ritratti in cui la carta che utilizza viene tagliata, assemblata e sovrapposta, dando vita ad un effetto unico che non si limita ad un qualcosa di estetico, ma diventa una metafora dell’essenza umana. Dietro gli strati della carta che usa intravede la purezza dell’Io ed è anche per questo che nessun lavoro è uguale all’altro: quando usa il suo bisturi per intagliare le opere che crea, i tagli non hanno mai una linea tracciata perché a condurre la sua mano sono più che altro sensazioni e spontaneità. Le incisioni che si creano diventano in qualche modo le vene pulsanti dell’arte.
A New York Marco è riuscito a trovare la sua dimensione, per la vitalità che la città sa offrire, ma ha saputo preservare l’identità italiana che gli ha dato l’ispirazione e la cultura dell’arte. Oggi il suo linguaggio artistico è globale, emotivo ed emozionale, quello che per comprenderlo basta fermarsi ad osservare.
Dalla provincia italiana a New York, da Battipaglia a West Harlem: cosa rappresenta questo movimento nella tua storia artistica?
Quando ho scelto di lasciare la mia città l’ho fatto principalmente per un desiderio di avventura. Ho sempre voluto conoscere nuove cose, scoprire nuovi posti ed essere a contatto con culture diverse dalla mia. New York, con la sua realtà multietnica e multiculturale, è stato indubbiamente il posto che mi ha permesso di arricchirmi e per questo ha avuto un ruolo importantissimo nella mia carriera.
Arrivato a New York, alla fine degli anni ’90, ho cominciato a frequentare degli artisti, perlopiù illustratori, e da lì ho scoperto un mondo nuovo. L’energia era incredibile, l’arte era ovunque e in forme diverse: è qui che, dopo una breve pausa, ho ripreso a disegnare. I miei soggetti non erano più i paesaggi del Trentino e del Veneto, dove avevo trascorso i precedenti anni, ma il caos della metropoli con tutte le sue anime che correvano veloci. New York è stata – ed è ancora – una delle mie più grandi fonti di ispirazione. New York è la piattaforma ideale per l’espressione artistica, è un luogo raro dove la creatività dei vasti movimenti culturali converge, creando sinergie e nuovi stimoli. Le emozioni che provo guardando ciò che accade ogni giorno, le sue persone e la sua architettura suggestiva, si riflettono nelle mie opere. È inevitabile.
La carta è la materia che hai scelto per esprimerti: cosa ti ha condotto a prediligere un materiale fragile e particolare come questo?
Ho amato la carta fin da quando ero ragazzino. Ricordo che spesso visitavo la tipografia del papà di un mio amico ed io felice potevo girare tra i bancali pieni di fogli di carta. C’era la carta liscia, quella ruvida, colorata, da pacchi… per me questo posto aveva un qualcosa di magico. Ora uso qualsiasi tipo di carta: le fotografie, pagine di libri, vecchi manifesti di film, giornali e riviste, carta che trovo per caso. I miei interventi – che effettuo con lame, fuoco e cere – alterano il materiale visivo e scritto, caricandolo di nuovi significati.
In che modo hai lavorato per innovare la tecnica del papercutting?
La mia tecnica è frutto di ricerca continua e sperimentazione. Il mio approccio è stato quello di trasformare una tecnica antica, che ha radici fin nel lontano IV secolo, e renderla moderna e sopratutto unica. I miei lavori, come in un intervento chirurgico, vengono intagliati con un bisturi. Il risultato è una sovrapposizione di immagini, a cui talvolta aggiungo strati di colore e cera.
Il taglio diviene lo strumento per creare opere d’arte: sottrazione e sovrapposizione diventano le formule per fornire la tua personale visione del mondo?
I miei tagli hanno l’obbiettivo di andare oltre la mera apparenza e di cogliere la pura essenza dei miei soggetti. I miei lavori rivelano lo straordinario nascosto e i meticolosi tagli e la sovrapposizione di immagini sono una metafora per rappresentare la frammentarietà della verità e la sua evoluzione.
Hai ritratto personaggi celebri come Will Smith e Leonardo Di Caprio: come scegli i soggetti da rappresentare e cosa vuoi far raccontare ai loro volti?
In alcuni casi, come con Will Smith e Samantha Bee, i ritratti sono frutto di commissioni. In generale, i soggetti che scelgo per le mie opere sono accomunati dal fatto che ognuno di loro è impegnato per la comunità e per l’ambiente. Fra i ritratti più celebri, ci sono volti noti come Lady Gaga, Freddie Mercury, Obama e Spike Lee. Attraverso i miei lavori cerco di invogliare l’osservatore a soffermarsi e a studiare i meticolosi dettagli. I miei soggetti vengono destrutturati e scomposti. Il ritratto diventa così un tramite attraverso il quale si esplorano le emozioni più intime del soggetto.
Nella tua ricerca di artista emerge la volontà di comunicare un messaggio positivo: l’arte ha il potere di cambiare il mondo?
Faccio arte non solo per puro aspetto estetico, ma per il messaggio positivo che lo spettatore può cogliere posando lo sguardo sui miei lavori. Credo che anche piccole azioni possano contribuire a generare grandi cambiamenti. Citando Paulo Coelho, “ogni gesto di un essere umano è sacro e pregno di conseguenze”. Mi considero un artista impegnato nel sociale, che fa arte per costruire un mondo migliore. Spesso metto la mia arte a disposizione di associazioni caritatevoli impegnate in vari campi che vanno dalla lotta allo sfruttamento al traffico di essere umani, fino a quelle impegnate nel rispetto e salvaguardia della natura.
Gli elementi naturali costituiscono un fil rouge potente tra le tue opere: attraverso il tuo lavoro vuoi risvegliare una consapevolezza nei confronti dell’ambiente che ci circonda?
Il tema della natura è spesso al centro dei miei lavori, nella mia arte la relazione uomo-natura è cruciale. I soggetti sono spesso un tutt’uno con la natura e i “tagli” sono ispirati dagli elementi del vento, acqua e fuoco. Il messaggio che voglio trasmettere è un monito per creare una coscienza sull’importanza del rispetto del nostro pianeta. La natura e l’uomo sono un tutt’uno: l’uomo è natura e fa parte di tutto quel che c’è sulla terra in cui viviamo. Non a caso ho vissuto in Veneto e Trentino lavorando come guida alpina, per poi cambiare registro e approdare a New York. In Trentino ed in Veneto ho avuto modo di vivere a stretto contatto con la natura e di apprezzarla in tutto il suo splendore.
Cosa conservi del tuo bagaglio italiano e cosa hai guadagnato dalla tua esperienza americana?
Di certo porto con me un innato senso del bello che caratterizza un po’ tutti noi italiani e che mi ha aiutato non poco nel mondo dell’arte e della moda qui negli States. Il legame con l’Italia è sempre forte, nonostante abbia quasi trascorso più anni della mia vita qui a New York che in Italia. Ho creato un solido ponte tra New York e l’Italia e spesso collaboro con brand, gallerie ed istituzioni italiane. Devo molto a entrambe le realtà: l’una mi ha insegnato la bellezza, l’altra il pragmatismo e la velocità.