Dal 1° novembre di quest’anno i pescatori sportivi (ovvero non professionisti) della Regione Lazio si devono dotare di un tesserino segna catture, come disciplinato dal regolamento 7/2019, su cui annotare giornata e luogo di pesca, specie ittica pescata e numero o quantitativo dei pesci catturati per specie.
Il Lazio è ricco di incantevoli mete per la pesca: fiumi, laghi, torrenti. E poi, ancora, il mare laziale, con i suoi complessivi 361 km di coste. Fiumi come il Tevere, l’Aniene, il Nera, il Paglia, il Velino, il Liri, l’Amaseno sono ben conosciuti ai pescatori. Altrettanto famosi sono i laghi, artificiali e non, Turano, Salto, Bolsena, Bracciano, Vico, Fondi, Scandarello. E, ancora, una miriade di acque minori, ma solo per classificazione, e certamente non per importanza, per i pescatori!
“I veri pescatori sono soli con la loro malattia, come i cinesi con la pipa d’oppio”, così lo scrittore Stefano Benni descrive gli appassionati di pesca nel suo libro “Bar Sport”.
I familiari dei pescatori lo sanno bene! Interminabili nottate di preparazione con esche (ben nascoste da qualche parte in frigorifero) e altri mille oggetti (canne, bobine di filo, galleggianti, piombini, ami, slamatore ecc.) e sveglie all’alba, caratterizzano questa grande, indiscutibile passione.
Ma l’avvento di Internet e, soprattutto, la comunicazione attraverso i social, come ha modificato la pesca, che i cugini d’oltralpe definiscono maliziosamente ‘il secondo dei piaceri della vita’?
Qualcosa è cambiato, inutile negarlo.
I vecchi pescatori custodivano gelosamente i segreti di un impasto, di una montatura, o, ancor di più, di un luogo di pesca. Fornivano ai giovani indicazioni vaghe su cosa fare e dove andare. Ore passate ad ascoltare racconti di mirabolanti catture, di cestini fantastici ma senza riuscire a carpire dai vecchi ‘guru’ della pesca i segreti del dove e del come.
I negozi di pesca erano i luoghi ove nascevano e si sviluppavano leggende e fantasie: “stanno prendendo dei lucci enormi in un canale vicino a Fregene”, oppure “sul Tevere risalgono i salmoni: io ne ho agganciato uno che non sono riuscito a portare a riva”. “Ho visto cose che voi umani neanche immaginate”, avrebbe detto il replicante di Blade Runner*.*
Ma ora è il tempo in cui i negozi di pesca non esistono quasi più. E pullulano i laghetti di pesca sportiva, che assicurano raggiungibilità, confort. E, soprattutto, il ‘pescato’!
Oggi il pescatore 2.0 è, spesso, dotato di account Facebook ed Instagram e, con una punta di narcisismo esibizionista, pubblica foto di catture record, di cestini pieni di pesci e di imprese degne di Ernest Hemingway.
Hai bisogno di una tecnica per risvegliare trote apatiche, devi realizzare una lenza particolare per il luccio, cerchi un luogo di pesca per il sabato? Non andare dall’amico o al negozio tal dei tali. Cerca aiuto su Youtube, dove esperti (e sedicenti tali) ti apriranno, rapidamente e gratuitamente, le porte del loro sapere, magari suggerendoti l’acquisto di una nuova canna (fra quelle trenta o quaranta che già hai, ovviamente, non c’è quella giusta) o di un nuovo mulinello o di chissà quale altra diavoleria.
Purtroppo tutto sembra già visto, già provato, già documentato. E ci interroghiamo se tutta questa tecnologia non abbia ristretto gli orizzonti, anziché allargarli. “La vita è sogno”, scriveva nel 1600 il drammaturgo Calderòn de la Barca. Tutti, anche nell’epoca 4.0 e del cambiamento dei paradigmi tecnologici e culturali, vorremmo ancora sognare.
Ricordo una striscia di B.C. (i cavernicoli, nel 1958, del fumettista statunitense Johnny Hart, alle prese con problemi quotidiani ed esistenziali di ogni genere) che diceva così:
- “Cosa fai?”, chiede un cavernicolo al suo amico seduto con una canna in riva al fiume.
- “Pesco”
- “E perché peschi?”
- “Perché il tempo passato in riva al fiume non sarà sottratto a quello assegnato alla tua vita”
- “Bello, e chi te lo ha detto?”
- “Il mio commerciante di esche”.
Ecco come vorrei ancora pensare al pescatore del futuro: sognatore, illuso. E solo minimamente connesso.
Elvira Frojo