Poco prima del battesimo dell’edizione 2019 del 6 Nazioni abbiamo intervistato la guida dell’Italrugby Conor O’Shea, ct dal passaporto irlandese ma dal cuore azzurro dopo quasi 3 anni alla guida di Parisse e compagni
La sfida è di quelle difficili, stimolanti, ma allo stesso tempo ambiziose. L’obiettivo, è lui stesso a definirlo, è quello di consegnare al suo successore il gruppo azzurro della palla ovale più forte di sempre.
Conor O’Shea, irlandese che si è fatto “adottare” dall’Italia, non è un uomo banale, e in quanto tale non poteva avere un obiettivo convenzionale. Qualcosa di più di un commissario tecnico, Conor rappresenta quasi un mentore per i suoi ragazzi, un secondo padre severo ma saggio, che sa quello che vuole e che farà tutto il possibile (sportivamente parlando) per raggiungerlo. Un uomo dall’aspetto freddo, come fredda è la sua Irlanda, ma mosso da una passione quasi mediterranea. In Italia Conor ha trovato la sua seconda casa e, alla vigilia dell’edizione 2019 del 6 Nazioni, ci ha parlato degli obiettivi che si è prefissato con un gruppo di ragazzi che nel corso di questi anni ha reso uomini, pronti a scendere in battaglia per lui e con lui, senza paura di sporcarsi di terra e di sangue quella maglia azzurra tanto desiderata. It’s rugby after all…
- Mister, siamo nell’anno del Mondiale. Quale bilancio a pochi mesi dall’appuntamento giapponese? Quale reputa l’obiettivo minimo del torneo?
Il 6 Nazioni 2019 sarà uno dei più competitivi di sempre, tutte le squadre sono di altissimo livello. Abbiamo giocato e battuto compagini come Fiji, Giappone e Georgia negli ultimi 18 mesi, ma non siamo riusciti a ottenere vittorie contro le squadre di vertice, che saranno davvero utili a far comprendere appieno il percorso che stiamo compiendo nel rugby italiano e a dare maggior fiducia all’ambiente per muovere un nuovo passo avanti. Stiamo lavorando e continueremo a farlo e a giocare con l’ambizione di raggiungere tutti gli obiettivi che ci siamo prefissati
- Ha lanciato anche molti giovani e molti volti nuovi, dando nuova linfa al movimento azzurro. Il movimento stesso quindi è fertile, e continua a crescere. Qual è il suo giudizio a riguardo e qual è, ad oggi, la sua soddisfazione maggiore?
Daniele Pacini, Stephen Aboud, Franco Ascione sono le figure chiave per continuare a sviluppare il rugby ed il percorso tecnico identificato con la Federazione. Abbiamo tanti giovani di qualità che stanno emergendo nelle franchigie ed in TOP12, segno che il processo di sviluppo funziona e produce atleti.
- Lei viene da un paese con una forte e consolidata tradizione rugbistica. Cosa è riuscito a portare dal mondo irlandese a quello italiano, e a che punto giudica il nostro processo di crescita?
L’Italia è stata, deve e può tornare ad essere una grande nazione di rugby. Negli anni passati è stato fatto molto lavoro, ma non sempre sono state fatte le scelte giuste che adesso, tutti assieme, stiamo indirizzando. Il sistema del movimento è quello corretto, noi vogliamo vincere ed essere competitivi in ogni partita, ma dobbiamo anche essere consapevoli che i risultati non arrivano dall’oggi al domani e che è necessario continuare a lavorare sulla strada che abbiamo intrapreso.
- Parisse è sicuramente il giocatore più rappresentativo della nostra nazionale. Che rapporto ha con lui?
Sergio è un giocatore ed un uomo straordinario, condividiamo la visione del lavoro e gli obiettivi del gruppo, la passione per il rugby e il desiderio di regalare grandi momenti al rugby italiano e di farlo in tempi che permettano a Sergio, ed agli altri veterani del gruppo, di portare con sé dei ricordi indimenticabili.
- Quali erano gli obiettivi che si era prefissato al momento della sua nomina da Ct?
Gli stessi che continuano ad animare il mio lavoro e quello della squadra: portare questo gruppo ad essere la migliore Italia di tutti i tempi.
- Un giudizio sul pubblico italiano che, nonostante i risultati non sempre positivi, continua a riempire l’Olimpico e a seguire con partecipazione la Nazionale?
Il nostro pubblico è straordinario, ha grande passione e siamo consapevoli della responsabilità di continuare a crescere per i nostri fan e per tutto il rugby italiano.
- Disputare un bel 6 Nazioni può essere un buon viatico per approcciarsi al meglio al Mondiale?
Probabilmente il Sei Nazioni non ha mai visto così tante squadre così competitive come quelle di quest’anno. Conosciamo la sfida che ci attende, dobbiamo essere più agguerriti e lavorare ancora più duramente per fare in modo che i momenti chiave di queste partite vadano sulla strada che vogliamo.
- Lei arrivò nel 2016 ereditando da Jacques Brunel una squadra in crescita. Che gruppo spera di lasciare, a sua volta, quando se ne andrà?
Se tra dieci o venti anni ci ritroveremo con Jacques, Sergio (Parisse, ndr) e le tante altre persone che hanno contribuito alla crescita della Nazionale e del rugby italiano per bere una birra insieme e per commentare una grande vittoria dell’Italia nel 6 Nazioni, quello sarà il riconoscimento migliore al lavoro di questi anni.
Alessandro Creta