“Forse lo schermo era veramente uno schermo, schermava noi, dal mondo. Ma ci fu una sera, nella primavera del ’68, in cui il mondo finalmente sfondò lo schermo”
Recita così una delle battute più celebri di “The Dreamers”, il film diretto da Bernardo Bertolucci e basato sul racconto The Holy Innocents di Gilbert Adair.
Protagonista il sentimento sovversivo dei giovani d’oltralpe che nel maggio 1968 diede vita alla cosiddetta “Primavera francese”: quattro mesi, tra marzo e giugno, dominati da battaglie culturali e politiche che interessarono anche gran parte del resto d’Europa.
Dagli studenti agli operai, un mondo pronto a scrollarsi di dosso il vecchio, la pedante tradizione, quella società borghese ormai priva di ogni fascino.
Oltre che dei valori tipicamente sessantottini, la Francia si fa carico del malcontento nei confronti dell’operato di Charles De Gaulle, baluardo di tutte, o molte, delle cause per cui i francesi si battono.
La scintilla la scatena la riforma proposta da Christian Fouchet (ministro dell’Educazione nel governo gollista di Georges Pompidou), che punta a stringere un legame tra università e lavoro prediligendo le facoltà tecniche e scientifiche. Questo progetto “tecnocratico” dà vita, il 22 marzo, al primo atto di protesta: 200 studenti occupano la facoltà di Lettere dell’Università di Nanterre, nella banlieue nord-ovest di Parigi.
Lo sgombero predisposto dalla polizia si fa piuttosto violento e gli studenti, per tutta risposta, si trasferiscono in una nuova Università, la Sorbona, dove nascono molti degli slogan che li accompagneranno per tutta la lotta sociale e che rimarranno incisi nella memoria storica mondiale.
“Il est interdit d’interdire” (“vietato vietare”), sotto la guida di Dany il Rosso, al secolo Daniel Cohn-Bendit, un anarchico nato in Germania.
Le forze dell’ordine intervengono prontamente per ristabilire l’ordine, causando però l’effetto contrario. Il seme della rivolta è ormai germogliato e il 13 maggio la situazione si complica. Mentre gli studenti continuano a occupare la Sorbona, Parigi viene bloccata da un corteo di 800 mila operai che sfilano al grido “Ce n’est qu’un debut, continuons le combat” (“È solo l’inizio, continuiamo la lotta”).
La rivoluzione dei giovani studenti universitari diviene ispirazione per l’intero Paese: molti gli scioperi e le fabbriche occupate in una situazione di quasi totale anarchia.
La visione moderna e sovversiva dei sessantottini sembra non avere limiti né confini, in grado com’è di mettere a ferro e fuoco la Francia, persuadere tutta la classe operaia e guidare il malcontento di un’intera generazione, quella del dopoguerra.
L’ampiezza della protesta e la sua significativa durata sono tali da creare il movimento sociale più importante nella storia francese del XX secolo.
Eppure anche questa primavera ha una fine, quando violenze e cortei spregiudicati iniziano a preoccupare i francesi. L’entusiasmo si spegne e le manifestazioni che prima gridavano al cambiamento, al rinnovamento culturale, inneggiando alla lotta sociale, ora si fanno più calme e posate, chiedendo il ritorno alla normalità. Il 25 maggio si registrano due morti, un manifestante e un poliziotto, sangue che pesa non poco sull’animo dei francesi. Il giorno successivo, ecco un’altra grave notizia: la benzina dovrà essere razionata a causa dei frequenti scioperi e dei disordini che intralciano il rifornimento.
Il vento cambia, i cortei pure. “Ordine subito” esclamano i manifestanti. Un’aria nuova che fa male ai sogni dei rivoluzionari, fa male a chi ha creduto in un rinnovamento. In questa parte finale del maggio ‘68 le ferite delle botte si fanno sentire più prepotentemente. La rivoluzione sta fallendo, non ci saranno giorni di unità e pace come si augurava il socialista François Mitterrand, leader dell’opposizione al governo gollista.
Sarà proprio De Gaulle a fermare il vento della primavera. Appare in tv, scioglie l’Assemblea nazionale (Camera) e convoca nuove elezioni per fine giugno. Il partito gollista stravince. La tanto odiata generazione tradizionalista vince ancora contro sogni e lotte.
Una sconfitta per tanti è vero, ma gli animi di tutte quelle persone, l’entusiasmo e il fervore culturale che caratterizzò il maggio 1968 non si esaurirono, ma si radicarono e i cambiamenti, in futuro, ci furono. La gente era diversa, lo schermo era stato rotto, finalmente si vedevano le cose, si chiamavano per nome e il vento della primavera soffiava ancora.
“E se credete ora che tutto sia come prima perché avete votato ancora la sicurezza, la disciplina, convinti di allontanare la paura di cambiare verremo ancora alle vostre porte e grideremo ancora più forte per quanto voi vi crediate assolti siete per sempre coinvolti.” Fabrizio De André – Canzone del Maggio.