Si raggiunge in aereo o percorrendo la mitica Transiberiana. Il lago di Baikal è così, come se per una volta nella vita si finisse dentro un documentario. Un bacino antichissimo dalle acque pure e cristalline che permettono di guardare fino a quaranta metri di profondità. Lungo 620 chilometri, largo tra i 20 e gli 80, profondo circa un chilometro e mezzo, racchiude il 20% delle acque dolci della Terra. Tra lago e bacino sono 3.700 le specie endemiche vegetali e animali studiate, una delle più caratteristiche è la Nerpa o foca del Baikal, oggi protetta dopo un lungo periodo di caccia indiscriminata. Già dal 1996 è riconosciuto patrimonio Unesco e annoverato tra le Sette meraviglie della Russia. Ma c’è anche dell’altro. Sono in molti a chiamarlo “Il Mare” o “Il Vecchio Uomo”, perché si racconta che nei sui fondali si nascondano spiriti magici a cui rivolgersi per chiedere prodigi.
Le sponde del lago nella parte più settentrionale sono costeggiate da boschi fitti di betulle, pioppi, conifere e la taiga siberiana. In altri punti, invece, ci sono piccoli centri industriali, villaggi di pescatori e, in una contaminazione tra Oriente e Occidente, insediamenti in cui si possono trovare templi buddhisti e chiese russo-ortodosse accanto a quelle battiste.
E poi sono arrivati i turisti, in numero sempre maggiore negli ultimi anni, attratti dalla bellezza di questi luoghi incontaminati. Stime precise non ce ne sono attualmente, ma il flusso va all’incirca dai 500 mila al milione di arrivi annui. Cifre che pesano sull’ecosistema e di cui i ricercatori sono seriamente preoccupati. Se in un primo momento si trattava solo di sportivi e avventurosi per lo più americani, ora, invece, c’è un’alta affluenza di russi e cinesi che investono in trasporti e infrastrutture di ricezione turistica. Certo, sono pur sempre soldi, ma rischiano di compromettere l’equilibrio di questi territori, snaturando gli insediamenti tradizionali e minacciando la biodiversità del lago.