I Caraibi che non ti aspetti: 365 isole dimenticate, la loro natura e la popolazione Kuna, antica civiltà precolombiana che conserva ancora oggi le proprie antiche tradizioni
Era la mattina di Natale di molti anni fa e Alfio Alimar – marinero delle San Blas nel Caribe panamense – stava rientrando alla sua isola di Corazon de Jesus con la barca carica di merci destinate alle tiendas del villaggio.
Il mare qui, solitamente calmo, è in realtà pieno di insidie a causa dei rapidi passaggi che si incontrano navigando tra laguna interna, barriera corallina ed Oceano aperto.
Certo, dopo tanti anni, per Alfio non esistevano più segreti. Ma quella volta successe un fatto insolito, imprevedibile. Una tromba d’aria all’improvviso si alzò minacciosa verso il cielo e scatenò una vera e propria tempesta. La barca ed il suo carico vacillarono paurosamente ed a lungo, senza poter riprendere la rotta. Solo dopo un po’ di tempo alcuni pescatori – Hector Ramirez ed i suoi figli – poterono intervenire in soccorso del naufrago e portarlo al sicuro sull’isola di Tigre, dove lo accolsero nella loro casa, una delle più povere del villaggio.
Commosso da tanta bontà d’animo, Alfio prese tutti gli alimenti del carico e improvvisò un allegro pranzo natalizio con i suoi salvatori in segno di ringraziamento e di amicizia.
La notizia si sparse rapidamente tra la gente semplice di Tigre ed altre famiglie si unirono al banchetto.
La piccola festa per il suo spirito schietto e la sua spontanea armonia, così aderenti alla essenza del Natale, restò impressa tra gli abitanti dell’isola al punto da essere ripetuta negli anni seguenti, fino a diventare un’ autentica tradizione, ancora oggi molto sentita. Il giorno della Navidad infatti tutta la comunità, dal Sahila – il capo-villaggio – fino al più umile degli artigiani, si ritrova in piazza per il rituale pranzo. Nell’occasione tutti indossano i vestiti tipici della festa, ogni famiglia porta cibi e bevande secondo le proprie possibilità, si scambiano doni ed auguri e tutti insieme festeggiano la ricorrenza più importante dell’anno.
Le San Blas sono un mondo a sé nella variegata realtà dei Caraibi. 365 isole di piccole dimensioni: “Una diversa per ogni giorno dell’anno”, recita un antico detto di qui… Galleggiano di fronte alla costa atlantica di Panama, Paese al quale appartengono pur godendo di una autonomia tutta propria sancita da una identità etnica ed amministrativa: la Comarca de San Blas.
La maggior parte di questi solitari lembi di terra è ancora oggi disabitata: solo ciuffi di palme, sabbia bianca e mare cristallino, secondo l’immagine più classica di queste latitudini. Una cinquantina di esse, invece, a partire dall’ ‘800, sono abitate dai Kuna, popolazione di origine colombiana. Indigeni fieri della propria cultura e delle proprie tradizioni, preservate nel tempo e tuttora vivissime.
E’ il colore ciò che più colpisce arrivando alle San Blas e che resterà impresso nella memoria del viaggio. Il colore intenso della natura nella quale l’arcipelago è immerso. Il colore delle barche con le quali gli uomini affrontano il mare per le attività della pesca o per raggiungere la costa, regno della caccia, della coltivazione dei campi o della raccolta delle noci di cocco. Ma soprattutto il colore delle donne e dei loro costumi: dai foulards-copricapo alle camicie, dai parei usati come gonna ai fili di perline che decorano curiosamente le braccia e le gambe.
Si percepisce immediatamente che quello delle San Blas è un mondo in cui la figura femminile è preminente, deputata a scandire i momenti più significativi della vita sociale.
Adelmio Kapìa, il Sahila di Tigre, dice che per i Kunas non c’è niente di più importante che la continuità della propria razza. E la donna, proprio per questo ha un ruolo assoluto, rappresentando la fertilità, le nuove generazioni, il futuro. Quando nasce una bambina il villaggio è in festa per diversi giorni. E quando a sua volta diventerà donna, le verrà solennemente attribuito un nuovo nome, finalmente potrà indossare gli abiti della tradizione e portare alle narici l’olo, l’anello d’oro simbolo del sole, della salute, del bene.
Ma le donne Kuna sono anche espressione di laboriosità e di fantasia. L’esempio più tangibile di queste qualità restano sicuramente le molas. Preziosi quadrati di stoffa, intarsiati e ricamati, che esse realizzano attraverso un lungo e paziente lavoro nel quale il colore – in questo caso dei diversi tessuti sovrapposti – risulta ancora una volta elemento di forte impatto visivo.
Ma anche le immagini non sono da meno. Semplici e suggestive, si ispirano prevalentemente al mondo naturalistico: fiori, pesci, uccelli. O tracciano geometrie con linguaggio sorprendentemente attuale.
Il risultato di tutto questo è davvero stupefacente al punto che le molas stanno diventando dei veri oggetti di culto, ricercati dagli appassionati d’arte etnica e spontanea di tutto il mondo.
In effetti la mola è il frutto di un lavoro fatto di perizia e creatività sulla cui origine c’è tuttora del mistero.
Ana Supila, studentessa Kuna di storia naturale a Washington, racconta che “come per tanti altri aspetti, anche in questo caso non esistono testi sui costumi e le usanze che rimandino al passato. Ancora oggi tutto è tramandato attraverso testimonianze orali di madre in figlia (sottolineando con ciò, ancora una volta, il carattere matriarcale della etnia). Molti saggi e studiosi ritengono però che un tempo i nostri avi amassero, come altri popoli indigeni, decorare il proprio corpo con segni dai colori vivaci. Furono i missionari ad imporre loro l’uso dei vestiti e da qui la naturale trasposizione di questa pratica sui tessuti”.
Infatti la mola – che nella lingua kuna significa appunto “blusa” – è innanzitutto una forma di decorazione della camicia, alla quale viene abitualmente cucita.
La sera cala presto ed improvvisa alle San Blas. All’imbrunire le famiglie si ritirano nelle loro capanne costruite in legno con i tetti ricoperti di foglie di palma. All’interno l’ambiente è molto semplice. Spesso non c’è neanche un letto, solo delle amache (anche queste coloratissime) che pendono dal soffitto e sulle quali i Kuna amano riposare. In un angolo arde il fuoco, acceso per la cena ed è qui intorno che tutti si ritrovano dopo una giornata di lavoro.
E’ così tutte le sere, anche ad Achutupo, nelle San Blas Orientali. Ma in una delle capanne questa sera accade qualcosa di diverso: due ragazzi – Alis e Yuma – hanno deciso di sposarsi. Nel rispetto della tradizione Kuna non è prevista alcuna particolare cerimonia che sancisca questa nuova unione, ma solo un piccolo trasloco: il ragazzo, Alis, ha preso i suoi attrezzi della pesca ed i suoi pochi indumenti e si è trasferito a casa di Yuma. Da stasera – con il semplice assenso dei genitori e del Sahila – saranno marito e moglie e vivranno in seno alla famiglia di lei.
Un episodio semplice e spontaneo che coglie un passaggio altamente significativo della vita e dell’essenza stessa della civiltà Kuna, così diversa, lontana. Oltre il tempo.
Testo e foto di Raffaele Bernardo