In testa in tutti i sondaggi potrebbe essere la prima donna a guidare gli Stati Uniti d’America
Luci e ombre accompagnano la campagna elettorale di Hillary Diane Rodham Clinton, nata a Chicago, Illinois, 68 anni fa. Avvocato, ex first lady durante la presidenza di suo marito Bill e per due volte Segretario di Stato dei democratici, ha totalizzato otto anni al Senato e quattro al Dipartimento di Stato. Un curriculum di tutto rispetto dunque, a cui si aggiungono altri punti di forza, a cominciare dalla fondazione di famiglia, che le ha messo a disposizione una vasta rete di relazioni potenti e, quindi, di potenziali finanziatori della sua campagna elettorale. Per Hillary il denaro non è mai stato un problema, un valore aggiunto semmai, grazie anche consolidate connessioni con le banche di Wall Street. Già ad aprile aveva raggiunto quota 45 milioni di dollari, frutto della campagna di fundraising, superiore perfino al record segnato da Barack Obama nella campagna per la rielezione e 37 milioni in più di Bernie Sanders, socialista, suo principale avversario alle primarie. L’obiettivo ideale da raggiungere dovrebbe oscillare tra i 2 e i 2,5 miliardi di dollari, cifra record per un’elezione presidenziale. È chiaro che tale cifra non è da indirizzare interamente alla vittoria delle primarie, ma per contrastare il sostegno che i miliardari repubblicani, i fratelli Koch, daranno a chi riuscirà a spuntarla tra i diciassette contendenti nell’elefantino. Se, come sembra, sarà lei a rappresentare l’elettorato democratico, occorrerà diminuire la presenza mediatica e risparmiare in vista della fase finale della competizione.
L’elemento che più fa sognare le masse sarà sicuramente la possibilità di diventare la prima donna alla presidenza degli Stati uniti d’America, subito dopo l’elezione del primo presidente afroamericano e di un papa sudamericano scelto “quasi alla fine del mondo”. Il settennato rosa potrebbe restare un sogno unicamente democratico, dato che la candidata repubblicana Carly Florina, ribattezzata dai bookmaker l’anti Hillary, secondo i sondaggi è fuori dalla tris dei probabili rappresentanti della destra statunitense, composta da Marco Rubio, Jeb Bush e Donald Trump. E arriviamo alle note negative, a cominciare dall’età. L’8 novembre 2016, data del voto, Hillary avrà 69 anni, un po’ agèe in un’epoca storica in cui va di moda la rottamazione della classe dirigente. Non potrà giocare neanche la carta del cambiamento, considerata la centralità del suo ruolo nei principali negoziati di Washington. Sulla favorita tra gli elettori dell’asinello pende anche lo scandalo delle email pubbliche inviate da un server privato, fatto che oltre l’Atlantico costituisce un reato federale. «È stato un errore – ha ammesso durante un’intervista della Abc –. Mi dispiace. Me ne assumo la responsabilità». Secondo i suoi avversari gli avvocati non hanno consegnato l’intero contenuto del server: l’FBI sta indagando sulla possibilità che alcuni suoi assistenti abbiano cancellato alcune informazioni imbarazzanti o pericolose.
Dita puntate anche verso presunte irregolarità nei pagamenti a un suo assistente, Huma Abedin, negli anni in cui la candidata era ancora Segretario di Stato. Un punto debole su cui batteranno i suoi avversari sarà sicuramente la politica estera, più precisamente sull’attacco al consolato americano a Bengasi nel 2012 e l’intervento in Libia.
Come altri candidati, anche Hillary sa sfruttare il fattore famiglia. Se il marito Bill e la figlia Chelsea non hanno bisogno di presentazioni, la new entry, la nipotina Charlotte, saprà catturare l’affetto degli elettori. Alla dolcezza della neonata spetterà il compito di aiutare la nonna a respingere le accuse di essere rimasta accanto al marito, dopo lo scandalo Lewinsky, solo per logiche di potere. Con l’attuale presidenza invece i rapporti sono abbastanza gelidi, nonostante la calorosa apertura dopo l’annuncio della candidatura. “Sarebbe un presidente eccellente – dichiarò Obama –, anche perché è stata una Segretaria di Stato straordinaria”. Obama e la signora Clinton, avversari alle primarie democratiche del 2008, rappresentano due correnti diverse in seno al medesimo partito. L’ultima terreno di contesa è stata l’approvazione del Trans-Pacific Partnership (TPP), promossa da Obama e Clinton, poi respinta dalla seconda. Oggi l’ex first lady si trova in bilico tra un’identificazione troppo profonda con i due mandati del compagno di partito e una completa disconoscenza del suo operato: equilibrio precario, ma decisivo, perché ha bisogno dei voti della stessa coalizione che permise a Obama di vincere contro John McCain e Mitt Romney.
Immigrati, afroamericani, ispanici, giovani, donne e omosessuali costituiscono, infatti, l’elettorato che dovrà riuscire a riunire. Secondo Eugene Joseph Dionne, giornalista politico, Hillary dovrebbe presentarsi come l’erede diretta di Obama, l’unica con le capacità di portare a termine quanto lui ha solo iniziato: stabilizzare la ripresa economica, implementare il benessere sociale e ristabilire la fiducia negli Stati Uniti d’America agli occhi del mondo intero.
Mirko Giustini