I musulmani nel Belpaese sono impegnati maggiormente nella ristorazione, nei servizi di catering, nell’edilizia, nell’import-export e nell’industria tessile, con attività che incidono positivamente sull’andamento del nostro sistema produttivo
Si possono definire i “musulmani d’Italia”, sono, infatti, gli stranieri di religione islamica che vivono e lavorano nel nostro paese. Tra le prime dieci nazionalità, tre sono del Nord Africa (Marocco, Tunisia ed Egitto), due asiatiche (Pakistan e Bangladesh), due dell’Africa subsahariana (Senegal e Nigeria) e ben tre europee (Albania, Kosovo e Macedonia), la comunità più numerosa è quella marocchina, che vanta 450.000 residenti, seguita da quella albanese, con circa 300.000 presenze, e quella bengalese, con poco meno di 100.000. In Italia un terzo degli stranieri è di religione musulmana (1,6 milioni); stando all’identikit socio economico tracciato dalla Fondazione Leone Moressa, le tasse versate dai contribuenti islamici raggiungono un miliardo di euro, gli albanesi, da soli, raggiungono 323 milioni di euro di gettito. Per quanto riguarda l’attività lavorativa, i settori in cui sono maggiormente impegnati i musulmani in Italia sono quelli della ristorazione, servizi catering, edilizia, import-export e industria tessile; il dato emerge da uno studio del Centro internazionale antiterrorismo israeliano, sottolineando che la maggioranza è di giovane età. Nelle statistiche riguardanti l’occupazione nel 2008, su 531.426 lavoratori musulmani, 81% erano impiegati, 17% datori di lavoro e appena il 2% erano disoccupati o in cerca d’occupazione. Nella categoria degli imprenditori stranieri: marocchini, senegalesi, bangladesi ed egiziani, hanno fatto strada dopo essere venuti in Italia in cerca di un’occupazione, con i marocchini in testa fra i gruppi etnici per maggior impiego e maggiore capacità imprenditoriale; essi, infatti, rappresentavano il 38% dell’intera fascia dei lavoratori musulmani autonomi. Fra gli iraniani, invece, il numero di datori di lavoro superava il numero di lavoratori dipendenti.
Il Marocco, stando a un rapporto sull’immigrazione e l’imprenditoria del 2014 stilato dal Centro Studi e Ricerche IDOS (Dossier Statistico Immigrazione), risulta al primo posto fra i paesi stranieri con maggior numero di titolari di ditte individuali; lo studio evidenzia anche che quasi un terzo delle imprese individuali, in campo commerciale, gestiste da stranieri è marocchino (29,2%), mentre gli egiziani prediligono l’attività di ristorazione (11,0%), e, tra gli stranieri titolari di ditte di noleggio, agenzie di viaggio e servizi alle imprese oltre un quarto ha origini bangladesi o egiziane. Quanto detto riguarda i lavoratori maschi, mentre da quanto emerge dal già citato identikit socio economico tracciato dalla Fondazione Leone Moressa, solo una bassa percentuale di donne sono occupate.
In Italia il 36% degli imprenditori stranieri (oltre cinquecentomila) è proveniente da paesi a maggioranza islamica; questo dato è emerso da uno studio del CRIF, rilevando anche che, nel solo mese di ottobre 2014, ben 2.000 aziende sono state avviate da imprenditori musulmani. Un approfondimento sulle imprese con titolare proveniente da paesi di maggioranza islamica è stato presentato nel corso dell’evento “MIGRANT BANKING E FINANZA ISLAMICA” organizzato dalla business school di CRIF, la CRIF Academy, durante il quale si è evidenziato come la finanza islamica e la banca islamica rappresentino un’opportunità per l’economia italiana ancora non adeguatamente esplorata; infatti la posizione geografica del nostro paese potrebbe costituire un ponte naturale fra l’economia dei musulmani e il resto d’Europa, se si considera anche il fatto che l’Italia è da molti anni il primo partner commerciale di quasi tutti i paesi a sud del mediterraneo e di quelli del Golfo. Si pensi che l’industria dei servizi finanziari islamici, presente in 65 nazioni nel mondo, oggi gestisce fondi per più di 1.800 miliardi di dollari e continua a crescere a un ritmo del 10%-15% l’anno; sarebbero 360 le banche totalmente islamiche e dotate di un proprio sportello, più di 250 i fondi d’investimento che seguono i principi della Sharia, mentre il mercato dei titoli islamici conta quasi cento emittenti corporate e pubblici; dunque un’ottima risorsa per l’Italia, e non solo.
Paola De Donato