Classe ‘72, figlio di due insegnanti inglesi e padre a sua volta di quattro bambini (avuti da due donne diverse, Sadie Frost e Samantha Burke), Jude non è solo un interprete versatile, capace di passare dal ruolo di Amleto a blockbuster come Sherlock Holmes senza mai perdere di credibilità, ma anche un convinto attivista che oltre a campagne di raccolta fondi di vario tipo non esita ad andare in Africa per dirigere, ad esempio un’opera di Shakespeare in un orfanotrofio. O a partire per l’Afghanistan, per documentare le missioni di pace (nel film The Day After Peace). Membro e ambasciatore di svariate organizzazioni umanitarie, ma anche animaliste e ambientaliste, Jude sfoga tutto il suo lato oscuro, oltre che nelle turbolenti relazioni sentimentali, nel suo lavoro. Così, invitato a commentare il lavoro di doppiaggio nel film d’animazione ‘Le 5 Leggende’, dichiara apertamente: “I miei ruoli preferiti sono quelli da cattivo”.
Ritiene che i cattivi siano più affascinanti?
Anche, ma soprattutto perchè interpretare un malvagio è liberatorio. Puoi dare finalmente sfogo a tutti i tuoi istinti più cupi e oscuri, e nessuno si azzarderà mai a giudicarti. Anzi, ti diranno: “Bravo, eri proprio verosimile!”
Non a caso in questi giorni è sul set del noir Dom Hemingway, dove interpreta un criminale.
Sì, ma non è uno che ha l’anima da killer: è un furfantello, uno che ha passato molto tempo in prigione perchè non ha voluto spifferare ciò che sapeva rispetto a una rapina. Uno che accetta di scontare una pena lunga quasi dodici anni per colpe altrui. E quando esce di prigione sembra che il mondo sia cambiato, diverso, di sicuro non si ricorda più di lui. A quel punto torna in contatto con sua figlia, che intanto ha ventidue anni. Ma non voglio svelare oltre la trama: diciamo che interpreto un bravo ragazzo. Che però in fondo sa di essere cattivo.
Dalla cattiveria non se ne esce, quindi.
Al cinema è interessante rappresentarla. In Le 5 Leggende ho dato voce all’Uomo Nero, l’essere inquietante per definizione, quello che spaventa i bambini, provoca incubi, diffonde la paura del buio. Certo, in un film d’animazione il confine buono/cattivo è molto netto, nella vita è tutto più sfumato.
E in Anna Karenina, presentato al Torino Film Fest e dal 21 febbraio nelle nostre sale?
Anche lì, siamo stati a attenti insieme a Tom Stoppard a non dipingerlo solo come il cattivo tout court. Il mio Karenin è piuttosto un introverso, un inespressivo, sarà che mi è sempre sembrato il personaggio più complesso e con le dinamiche interiori più mature di tutta l’opera.
Lei che è un avido lettore, sa dirci quanto il film è fedele al libro?
Molto. E mi preme aggiungere che come il romanzo è altrettanto fedele alla vita: la letteratura migliore, secondo me, è quella in cui ogni personaggio contiene trionfi e fallimenti propri di tutti i noi. Lo stato umano è per essenza fatto di alti e bassi, e così per me doveva essere Karenin: sia buio che luce.
Ecco, ha mai conosciuto il buio, la paura, la sensazione di non farcela?
Sì, ma per me la paura e la sensazione di non riuscire sono il motore del mio successo: il timore di non sentirmi all’altezza di un ruolo è lo stimolo più grande. Per questo finisco per accettare ruoli impensabili, per vedere fin dove riesco ad arrivare.
Ha mai provato, magari a inizio carriera, la sensazione di essere invisibile?
Certo, li passiamo tutti momenti del genere, impossibile non rapportarcisi nella vita. Però l’importante è andare avanti, tenendo bene a mente che riguadagnare uno stato di benessere è sempre possibile.
E’ questo che cerca di insegnare ai suoi figli?
Anche. Per deformazione professionale tendo a ricavare la vita e l’energia creando mondi immaginari. Sono uno che crede a fondo nelle cose, che deve saper fingere che alcune realtà siano vere, anche le più incredibili. Quindi di sicuro, in generale, tendo a spingere i miei bambini alla fantasia come mezzo per costruire attorno a loro universi sani.
Se le chiedessi che tipo di padre è?
Le direi che preferirei rispondessero i miei figlia alla domanda. Anche se loro sono critici feroci nei miei confronti, basta vedere come giudicano i miei film. Di sicuro sono più indomiti e coraggiosi di me, che da piccolo ero un bambino pauroso, e di questo ne vado fiero.
Senta, le arriva un copione, in base a cosa sceglie se accettarlo o meno?
Penso al ruolo, perchè mi piace tutto quello che non ho mai fatto prima. Penso al regista, perchè cerco sempre di mettermi nelle mani di uno che mi sprona. E poi penso alla location: è ancora più bello fare film in un posto che sa ispirarti.
Ultima curiosità: riprenderà Amleto a teatro?
No, ho fatto duecento repliche, basta così. Ciò non significa che abbandonerò l’amore per il palcoscenico e Shakespeare: il prossimo autunno a Londra porterò in scena l’Enrico V.
di Claudia Catalli