Nell’attraversare i pionieristici percorsi culminanti nell’utopia comunista di Marx ed Engels e nella rivoluzione anti-autoritaria avente come baluardo la meritocrazia, la creatività ed il talento del singolo, le mie reminiscenze di storia greca si imbattono nell’innovativa riforma democratica di Clistene che trova la sua massima espressione nella bule, una sorta di Consiglio di 500 membri non troppo dissimile da una qualunque azienda moderna. La bule era divisa in dieci sezioni, secondo il numero delle tribù, e ciascuna di esse aveva la pritania, ovvero la presidenza della bule, per una decima parte dell’anno. I pr?tani nominavano nel loro seno un presidente che durava in carica un giorno e una notte e possedeva in consegna il sigillo dello Stato, presiedeva la bule e l’assemblea popolare, redigendo l’ordine del giorno per le adunanze della bule e dell’ecclesia. Pertanto, lungi dall’avere un vero e proprio capo, ogni decisione del consiglio ruotava attorno alle qualità governative dei singoli cittadini, parti integranti di un governo fatto dalle idee dei membri della polis.
Oggi quel mito democratico, quell’esemplare baluardo di civiltà prende forma nel cuore del capitalismo americano, emergendo dalle punte più avanzate dell’industria, soprattutto sulla West Coast. Il titolo di una recente inchiesta pubblicata sul Wall Street Journal recita «Welcome to the Bossless Company», una nuova realtà che investe sul management partecipativo al fine di accrescere la flessibilità e la competitività di un’azienda che sceglie di investire sui membri piuttosto che sul talento di un singolo capo. Nonostante gli illustri pionieri di tale fenomeno appartengano all’industria in senso proprio e tradizionale, avendo iniziato a sperimentare la rivoluzione anti-autoritaria già qualche decennio fa, il titolo di primus inventor spetta probabilmente alla W. L. Gore, la società che ha brevettato e dato il nome alla fibra speciale Gore-Tex, tessuto impermeabile usato nell’abbigliamento. Pur vantando un chief executive, la Gore investe su un organigramma piatto, assunto come modello di flessibilità e innovazione, che trova il suo punto di forza nel fruttuoso bacino delle risorse umane. All’interno di un simile contesto lavorativo le nuove idee non vengono necessariamente dall’alto: tutti possono contribuire al successo; il lavoro è organizzato per squadre che si formano e si disfano su singoli progetti. Alla tradizionale “catena di comando” si sostituiscono “ruoli da leader” riconosciuti di volta in volta «a chi si guadagna la stima dei colleghi e viene riconosciuto come aggregatore». La Gore riconosce, inoltre, un alto valore ai cosiddetti “buoni gregari”, collaborativi compagni di squadra, ben disposti ad integrarsi nel gioco di gruppo.
E così accade dalla Toyota alla Volvo, l’industria automobilistica ha dato il via ad esperimenti di “qualità totale” che riconoscevano una responsabilità diffusa alle maestranze, dissacrando la rigidità del fordismo. Sulla scia della “missione bossless” la General Electric ha abolito i capireparto, oltre ad alleggerire di numerose gerarchie le filiali del settore aerospaziale. Un solo leader ha il compito di assegnare gli obiettivi di produzione, ma non ha il potere di scandire e disciplinare i ritmi quotidiani di lavoro. Nato come esperimento su scala ridotta, il lavoro senza capi della General Electric abbraccia oggi 83 stabilimenti e 26mila dipendenti. Una struttura “mobile” già lanciata da Google, già avvezza a squadre che si formano e si disfano su singoli progetti e ad una strategia per così dire “introspettiva” che obbliga i dipendenti a dedicare il 20 per cento del tempo di lavoro retribuito “ a se stessi”, ovvero alla riflessione libera, scintilla di fantasia progettuale.
Stesso discorso per i 300 dipendenti della Valve di Bellevue, i quali, sin dalla fondazione avvenuta nel 1996, non hanno mai conosciuto la parola chief executive e sono essi stessi a provvedere al reclutamento dei collaboratori sulla base di singoli progetti. Una mobilità che si concreta in un assetto architettonico caratterizzato da scrivanie montate su rotelle, pronte ad essere spostate a seconda dell’epistàtes (il vecchio presidente in seno alla bule di Clistene e traducibile con ‘capo’) di turno. Sono, infine, i colleghi a comporre le pagelle che determinano lo stipendio dei singoli dipendenti, secondo il metodo della peer review o controllo dei tuoi pari di grado, diffuso nel mondo accademico americano. Un’arma a doppio taglio, certo, facilmente adoperabile nel caso di eventuali antipatie e che potrebbe dar luogo a fenomeni di ostracismo dettato dalla lunatica indole di una coalizione.
Uno studio delle università dell’Iowa e del Texas ha comunque dimostrato che le squadre di dipendenti che si autogestiscono e si controllano da sole, in media, hanno una produttività superiore. D’altronde investire sul singolo genio è il segreto del successo…un genio che emerge più facilmente vedendo concretamente riconosciuti e valorizzati gli sforzi finalizzati al successo personale e dell’azienda. Questa era stata anche l’intuizione dello statista Clistene, l’illustre antenato della storia democratica dell’occidente.
di Samantha De Martin