Sviluppatasi tra il 1960 e 1970 dapprima in Inghilterra e poi negli Stati Uniti, la Land Art agisce direttamente sul paesaggio alterandone l’aspetto in maniera temporanea e con l’utilizzo di materiali naturali da parte dei creatori, ma ciò che c’è di più entusiasmante nella composizione di queste opere ecologiche, perché è proprio così che devono essere considerate visto l’armonica vitalità della natura con cui l’artista è chiamato a collaborare, è proprio lo scopo, non puramente estetico e rappresentativo: per la prima volta non si tenta di riprodurre la natura ma si prova a trasformarla. Infatti, l’azione iniziale dell’uomo sul territorio prescelto, prevede un “ naturale” e progressivo cambiamento o invecchiamento, che non può essere previsto, in quanto affidato alla dinamismo degli agenti naturali che si avvicendano nel tempo; e proprio il concetto di tempo che generalmente stenta a coesistere con l’idea tradizionale di arte , perché legata al contrario all’ idea di persistenza, è proprio quel tocco che rende unica ognuna di queste maestose opere.
Il critico d’arte Gillo Dorfles osserva: “C’erano già i giardini di sabbia zen, i giardino di muschio e gli stessi Ikebana giapponesi, che facevano di queste attività naturali una forma d’arte a sé stante. C’erano i cimiteri svedesi con i loro recinti di ghiaia rastrellata a disegni geometrici. E c’erano le infinite varietà di parchi all’italiana, all’inglese …ma la particolarità della land art è stata quella di un intervento sulla natura e nella natura non a fine edonistico ed ornamentale, ma per quello che potremmo definire una presa di coscienza dell’intervento dell’uomo su elementi che presentano un ordine naturale e che da tale intervento sono sconvolti e incrinati”. E i primi e i più grandi a cimentarsi in questa disciplina furono gli americani Chirsto e Jeanne Claude, ad i oggi i più importanti rappresentanti della Land Art, anche se sono conosciuti per la maniera crudele e provvisoria con cui hanno compiuto il loro intervento sul territorio: imballando monumenti e stendendo lunghi veli, come fecero nel settembre dell’85 sul Pont Neuf , il più vecchio ponte di Parigi, che venne impacchettato con dei veli in poliestere giallo ocra. Oggi invece le cose sono un po’ cambiate infatti quest’arte non è usata con intenzioni così trasgressive, ma anzi si preferisce dare un’inclinazione educativa e verde: ed è questo che sta succedendo negli Emirati Arabi. Si è dato il via ad un’iniziativa che prevede la collaborazione di architetti e ingegneri da tutto il mondo che combinando istallazioni di land art e dinamiche che consentono di produrre energia pulita, non solo stimoleranno lo spettatore a livello estetico, ma nello stesso tempo cattureranno energia dalla natura che si trasformerà in energia elettrica in grado di alimentare migliaia di case negli Emirati Arabi.
Roberta Cesari