È uno scambio tra opere d’arte quello che trapela dagli “Scatti ritrovati” in cui Claudio Abate racconta Gino De Dominicis. Con una mostra fotografica, che dal 4 giugno al 24 settembre si terrà presso gli spazi dell’associazione Mara Coccia Arte Contemporanea, l’autore − fotografo romano, figlio di un pittore amico di De Chirico, ma soprattutto creativo puro innamorato fortemente dell’arte − rende omaggio ad uno degli artisti più complessi ma geniali della seconda metà del Novecento.
Quattordici scatti, molti dei quali inediti, fanno rivivere l’estro di un artista controverso, a tratti dissacrante, sempre alla ricerca di sorprendere se stesso prima che il suo spettatore. L’obiettivo di Abate immortalò le opere del provocatorio De Dominicis, quelle che lui ideava ma anche distruggeva. L’artista anconetano soleva infatti dare una forma alla sua vena artistica, concepire creazioni, porle nello spazio e nel tempo, per poi improvvisamente sterminare tutto ciò a cui si era dato precedentemente una sorta di concretezza fastidiosa, da commutare con quell’inconsistenza forse a suo parere ancor più durevole. Un artista, De Dominicis, intorno a cui aleggia un’atmosfera leggendaria, spesso ricordato per le sue provocazioni, per il suo essere maledettamente iconoclasta, piuttosto che per il suo vero talento. Il ragazzo down posto a fissare un cubo invisibile a una biennale veneziana, il pupazzo impiccato con un pennello in erezione: questi alcuni azzardi dell’artista presto e facilmente diventati scandali. Ma Gino De Dominicis è molto di più, e il fotografo romano, con gli “scatti ritrovati”, va oltre: con tale mostra si propone infatti di fornirci gli strumenti necessari per conoscere un protagonista dell’arte forse un po’ bizzarro, sicuramente contrario ad esser rinchiuso nelle strette gabbie che identificano l’appartenenza ad ogni possibile movimento o tendenza, ma dall’indiscusso valore creativo.
Abate con un lavoro sapiente, arricchito da incontri, conversazioni e rapporti personali, riuscì a cogliere l’indole dell’amico Gino e l’inventiva dell’artista De Dominicis, riuscendo oggi a regalarci immagini fotografiche che riproducono lavori unici. Quelle di Claudio Abate sono foto che immortalano opere d’arte, ma diventano al contempo esse stesse capolavori, grazie alla tecnica e alla professionalità di un maestro della fotografia. Ed è qui che sta lo scambio: l’arte s’infiltra nella fotografia e insieme adottano quello stesso linguaggio straordinariamente poetico.
Non solo le opere, ma anche la persona viene fotografata da Abate, così da restituire un ritratto completo di De Dominicis, il quale viene fuori dagli scatti in bianco e nero in tutta la sua enigmaticità. Basta osservare una foto come Il tempo, lo sbaglio, lo spazio per cogliere le tematiche principali della sua attività artistica: nello spazio espositivo della Galleria L’Attico di Via Cesare Beccaria, uno scheletro umano disteso con i pattini ai piedi e uno scheletro di cane al guinzaglio occupano la superficie del pavimento. L’idea di De Dominicis, fotografata da Abate, ruota intorno al tema della morte, ma anche dell’immortalità del corpo: tematiche dicotomiche, ma rese compatibili dalla singolare concezione del tempo, legata in questo caso al significato metaforico dei pattini. L’artista anconetano, difatti, sottolinea come l’uomo, impotente nell’arrestare quel tempo che gli permetterebbe di allungare la propria vita, sia ricorso all’invenzione di mezzi in grado di renderlo più veloce, e “intervenendo così sullo spazio, indirettamente è riuscito ad intervenire sul tempo”. Lo scatto è eccellente. Una perfezione che non viene a mancare in altre opere, quali L’asta in equilibrio e Gemelli, così come in Sono sicuro che voi siete (e sempre sarete) all’interno o all’esterno di questo triangolo. Tutte immagini fotografiche che palesano lo spirito di De Dominicis e la sua ironia, la stessa che si racchiude in quel ghigno dell’artista che compare sul suo volto mentre De Chirico abbandona perplesso la sala della Biennale. Un momento esplicativo − quest’ultimo − meravigliosamente immortalato da Abate; nell’espressione di De Chirico si legge l’impossibilità di non riconoscere l’acume delle opere del giovane artista ma anche la difficoltà di accostarsi completamente al loro significato: il solito effetto contrastante che aderisce bene alla figura di Gino De Dominicis.
L’obiettivo di Abate riesce a trasferire alle opere originali una maggiore forza e intensità, così come avviene ad esempio nel celebre Zodiaco: oggetti, persone, animali vivi e morti riproducono i segni zodiacali. Abate offre alla performance un valore aggiuntivo attraverso il punto di vista da cui scatta la foto, riuscendo a includere in essa la totalità dei soggetti, i quali − grazie alla particolare prospettiva − appaiono allineati lungo un semicerchio senza fine. Indubbiamente, un’opera nell’opera.
Quattordici scatti ridanno vita a De Dominicis, alla sua arte singolare, a quel linguaggio estremamente metaforico; note distintive che si sintetizzano e vengono raccontate nel curioso Ritratto di Gino De Dominicis: una finestra socchiusa, la cui maniglia rievoca l’usuale papillon dell’artista, “indossa” i suoi occhiali scuri. Un’inconsistenza seducente che rappresenta esattamente un artista privo di contorni e definizioni: è l’immagine perfetta, poiché − proprio nell’invisibilità allegorica riprodotta da Claudio Abate − riusciamo a vedere Gino De Dominicis.
Elisa Rodi