Feltri vs Vespa

Feltri vs Vespa

Voglio parlare di Feltri, il Travaglio della stampa italiana che sta dall’altra parte della barricata. Voglio parlarne anch’io, perché ormai su facebook lo fanno tutti. I comunisti di oggi, modaioli e superficiali, sparano a zero, pubblicano link, condividono pensieri condivisibili. Fomentati come sono dagli ultimi eventi.

Voglio parlare di Feltri anch’io. Però con attenzione fenomenologica, senza utilizzare il passaparola glamour di un social network, senza servirmi di stereotipi no-global. Voglio analizzarlo correttamente per quello che è. Delinearlo poi anche per ciò che non è mai stato. Ergo: cerco urgentemente antagonista del suddetto Vittorio. Preferibilmente un collega. Per restringere il campo, vista e considerata la quantità di inimicizie che costui colleziona. E per coerenza di argomentazione.

Uno di sinistra? No. Sarebbe retorico e ordinario. Qualcuno di destra? Si. Magari che stima incondizionatamente la stessa persona. Quel capo del governo che comincia per B, come direbbe Fede. Ah ecco, Emilio.

No. Emilio non va a pensarci bene. E’ in discesa libera di popolarità. E poi non è un vero e proprio collega, si è ormai scrostato di dosso le sembianze di giornalista moderno ed è rimasto nudo al Tg4. Con addosso soltanto le sue tipiche teatralizzazioni della notizia. Foglie di ficus incapaci di nasconderne le vergogne.

E allora Vespa. Si: è un’antitesi plausibilissima del sopracitato Feltri sotto poligonali punti di vista. Chiacchierato anch’egli. Recentissimamente, per una puntata del suo “Porta a Porta” finita peggio: con un insolito 13% di share. E cominciata male: con le polemiche per l’incredibile sospensione del legittimo Ballarò.

In quei giorni Vittorio, sistemava l’unico ciuffo lievemente scompostosi, dopo le dimissioni del direttore Boffo e la querela ricevuta in omaggio da Gianfranco Fini. Si, perché lui, uomo tutto d’un pezzo, viene fuori in condizioni impeccabili da ogni terremoto. E probabilmente in quel catastrofico Abruzzo raccontato ancora una volta da Vespa lo scorso settembre, sarebbe rimasto impassibile in poltrona a fumare la pipa e accarezzare il gatto attendendo tra le macerie la fine della noiosissima pioggia di calcinacci.

Tiratissimo nel look, sapiente nella progettazione di un personaggio rigoroso e dettagliato: abbigliamento qualificante, occhiali con montatura classica e seriosa, e il vezzo aristocratico e intellettuale del tabacco da pipa. Tutti lo accusano di servilismo: si sbagliano. Può uno come lui, essere servile? Chiaro che no.

Feltri non è un berlusconiano. O perlomeno, non principalmente. Perché prima di tutto è un feltriano. Che poi diriga il quotidiano di famiglia del Premier sparando rischiosamente a zero sulla presunta immoralità di cattolici e ex-fascisti, poco importa.

Io me lo immagino ancora in poltrona, armato di misura gestuale, motivare le sue prossime mosse editoriali al caro Premier, persuadendolo in dodici minuti netti che non c’è nulla da temere.

Altro che Mario Giordano, equivocabile concentrato di estrogeni. E soprattutto: altro che Bruno Vespa. Dov’è la tempra di Feltri quando accendiamo Raiuno in seconda serata? Quello che vediamo è un uomo che si scalda ripetutamente le mani, senza tener conto del polso che ci vuole. Per moderare un qualsiasi dibattito politico. Timorato dal proprio Dio, non fa mai voce grossa. Si limita ad invitare: i suoi ospiti a suonare il campanello midi della trasmissione, il fonico dietro le quinte a far partire stralci sonori di “Via col vento” e il colourist a saturare ancora di più l’azzurro della scenografia, che fa molto Forza Italia.

Guardare l’abito per credere: guardaroba insapore che dimostra ancora l’astensione da ogni forma di gusto e giudizio. Un uomo Oviesse che ce la mette tutta per sembrare invisibile solo per poter infiltrare più facilmente la propria propaganda subliminale. E’ la sua strategia, decisamente più ipocrita dell’elegante e insieme brutale Feltri. Che non vuol star simpatico a nessuno, né tantomeno è qui per farsi degli amici.

Pseudonimo