Un nome importante che, a dirla tutta, non l’ha aiutata granchè: Ahern, cognome di quel Bertie che nel recente panorama politico irlandese ha avuto non poca fortuna. Lei, Cecilia, figlia del più volte premier d’Irlanda, raccoglie con cura la scomoda eredità e la luce riflessa dal padre, ma si scalda a puntino quando qualcuno si azzarda a chiamarla raccomandata.
Un gran numero di riflettori e flash puntati contro suo malgrado. Un inizio carriera difficile, segnato da critiche non proprio clementi e supposizioni melliflue: quando il primo libro della Ahern, P.s. I love you venne pubblicato, si parlò di Chick-lit, ovvero letteratura da pollastra, quella che, per intenderci, abitualmente solletica la curiosità di casalinghe frustrate e scapolone a vita.
Ad un tempo poi, la sua collaborazione breve, ma avida di conseguenze, col gruppo pop “Shimma”, le valse in omaggio l’appellativo curioso di “Britney Spears della letteratura”.
“Se un uomo scrive è narrativa, se una donna scrive un libro è chick-lit. A voler ben guardare, nei miei romanzi non si parla ne di shopping ne di diete ne della ricerca di un marito.”
La giovane scrittrice reagiva così alle pesanti allusioni della critica, interpretando alla lettera il motto di famiglia “Per ardua surgo” (attraverso le difficoltà mi elevo) grazie al quale è riuscita prima a rimanere con i piedi per terra., poi a spiccare il volo.
Oggi è giunta al romanzo numero cinque e, dopo aver rovesciato i giudizi della stampa, ci tiene a lanciare segnali d’autore anche attraverso la trasposizione cinematografica del suo primo lavoro P.s. I love you (con Gerard Butler e Hilary Swank nel ruolo dei protagonisti).
Il suo enorme successo sembra essere sancito dall’incessante lavoro e dall’interesse di Hollywood e della televisione nei confronti dei suoi romanzi: un altro film, tratto dal suo quarto romanzo Un posto chiamato qui, è in fase di lavorazione e lei stessa ha ideato la serie per la Fox Samantha Chi? in onda su FoxLife dallo scorso 10 Settembre. Ma non si ferma Cecilia Ahern, ed eccola impegnata persino in una pièce teatrale.
E, mentre il suo ultimo “Grazie dei ricordi” invade piacevolmente gli scaffali di ogni libreria, lei, con le mani creative in pasta, non lesina risposte agli ultimi, residui detrattori che paragonano i suoi romanzi a certe banali favole d’amore:
“ I miei lavori non sono favole, perché se penso a quest’ultime, ciò che subito mi viene in mente è una storia che ha sempre un lieto fine, dove solitamente un uomo arriva a salvare la donzella, aiutandola a risolvere la situazione. Nella mia narrativa questo non succede. Il tocco moderno che io do ai miei romanzi è costituito dal fatto che le donne protagoniste, inizialmente in una situazione di difficoltà, devono trovare da sole un modo per uscirne fuori: sono loro stesse la via per la loro salvezza.
Sono donne che si aiutano da sé e che trovano da sole la loro strada. Le situazioni descritte, è vero, sono un poco uniche, un poco magiche, ma sono anche profondamente radicate nella realtà, in cui tutti possiamo trovarci”.
E papà cosa ne pensa del successo di Cecilia? Può essere annoverato tra gli ammiratori? “Ha letto solo il primo libro. Per gli altri, gli ho detto che non doveva sentirsi obbligato. Non è roba per lui, come la politica non è roba per me.”
Una fucina di idee. E una stakanovista, a quanto pare:
“Il mio primo libro l’ho scritto in tre mesi, senza mai uscire di casa”.
Altro che raccomandata…
C.A.
(Nella foto Cecilia Ahern)