Mauro Uzzeo
Sceneggiatore, regista, organizzatore di festival di successo: Mauro Uzzeo è uno dei centri nevralgici del fumetto italiano, complice una carriera inarrestabile che va spingendosi sempre un tantino oltre il confine raggiunto col progetto precedente. “un agitatore culturale” aveva detto qualcuno qualche anno fa, in occasione del Premio Micheluzzi, e forse quell’epiteto è attuale ancora oggi. Assieme ai suoi soci “Arfers”, infatti, già da qualche anno Uzzeo ha sviluppato e porta avanti il progetto di ARF Festival. Un momento di incontro per il mondo del fumetto a Roma, in cui è forte la volontà sovversiva di rendere al fumetto non solo lo spazio che merita, ma forse anche quella “giustizia mediatica” che non sempre gli si confà, soppresso com’è in un mare di convention “& Games” attaccati in coda alle sempre più numerose fiere e festival che nascono e muoiono in Italia ogni anno. Proprio in occasione della chiusura dell’ultima edizione di ARF, la quinta, abbiamo scambiato quattro chiacchiere con Mauro, sia per capire meglio lo spirito “sovversivo” di ARF, sia per scoprire progetti e piano di un autore quanto mai poliedrico e prolifero.
Allora Mauro, su tutto, perché è importante che in Italia esista una fiera come ARF? Visto che ci troviamo in un momento storico dove le fiere del fumetto sovrabbondano.
Quando l’ARF è nata con lo scopo di essere una fiera dedicata, solo ed esclusivamente, al fumetto, le motivazioni erano più di una. La prima era proprio questo rendersi conto che le fiere del fumetto si stavano trasformando sempre di più in fiere dell’intrattenimento a 360°, e questa cosa stava avvenendo soprattutto a Roma dove, purtroppo, in un modo o nell’altro Romics stava riducendo sempre di più lo spazio dedicato al fumetto, facendo molto bene altre cose, dedicandosi bene all’animazione, molto bene al game, molto bene al fenomeno dei cosplayer, ma dando sempre meno spazio al fumetto. Questa cosa andava in controtendenza col fatto che, invece, proprio a Roma ci fosse un fermento fumettistico enorme, perché solo a Roma (per coincidenza) si sono ritrovati alcuni tra gli autori di fumetto che, in quel momento, erano sulla bocca di tutti. Penso a Zerocalcare, a Gipi, a Giacomo Bevilacqua, a Ceccotti, a Recchioni.
Volevamo quindi creare un momento che fosse dedicato solo al fumetto, partendo da due punti di riferimento importanti: “Più libri, più liberi”, ossia la fiera della piccola e media editoria che c’è a Roma ogni anno e che raccoglie 30.000 persone e che offre veramente un momento di scambio culturale e di intrattenimento importante; e quelli che erano i “castelli Animati” di Luca Raffaelli. Noi, unendo questi due stimoli, abbiamo detto “puntiamo al fumetto”, consci di non voler essere l’ennesima sottomarca di un evento importante.
Un problema non da poco, come lo avete aggirato?
Ci siamo posti, innanzitutto, una domanda: “quante fiere del fumetto rappresentano qualcosa di diverso di un piccolo mercato domenicale?”. Avevamo chiaro che non volevamo essere nulla di simile, e volevamo cercare una linea editoriale su cui sapevamo di poter dire qualcosa. Visto che in vent’anni di esperienza e di professionalità, avevamo tutti i contatti del mondo del fumetto, l’idea era quindi di concentrarci su tutto quello che è il fumetto. Cercando di fare intrattenimento ma, al tempo stesso, alzando anche il livello del discorso. Ovviamente non voglio dire che non ci siano festival che non siano in grado di mantenere alto il discorso sul medium, però va detto che, generalmente, in tutte le fiere di fumetto gli autori si limitano solitamente a partecipare per il bisogno di presentare un nuovo progetto o una nuova pubblicazione. Noi, invece, abbiamo optato per una direzione che non fosse vincolata a questo paradigma, perché crediamo che gli autori di fumetto possano parlare e confrontarsi su temi anche di attualità, o di ordine generale.
Pensi che sia questa idea che abbia portato al successo di ARF?
Non so dirti se sia stato fondamentale o meno, ma credo che oggi l’ARF sia importante e stia diventando sempre più importante per quello che stiamo tentando di fare, ovvero mettere in luce non solo chi i fumetti li fa, ma anche chi lo pubblica e chi li legge, per far capire che non solo c’è una tribù interessante, che è in grado di parlare e discutere in tanti altri ambiti, come già succede per il romanzo, il cinema e tutto il resto.
Ora che questa edizione è finita, quali sono gli obiettivi che vi state proponendo per la prossima edizione? Perché tanto lo so che ci state già pensando.
Guarda, in realtà, ogni edizione finisce con qualche strascico che poi cerchiamo di portare nell’edizione successiva. Ci sono, ad esempio, alcune grandi mostre che personalmente mi piacerebbe portare all’ARF. Per ora mi limiterei a dire che ci sono diverse cose su cui dobbiamo ancora lavorare. Io e i miei soci fondatori (Stefano Piccoli, Paolo Campana, Fabrizio Verrocchi e Daniele “Gud” Bonomo ndr) abbiamo imparato un sacco di cose nel corso di questi anni, e molto è stato possibile grazie al supporto di tante figure importanti che si sono unite al nucleo iniziale, e che ci hanno permesso di crescere. Questo mi porta a pensare che il prossimo anno dovremmo, in qualche modo, rendere ancora più corale l’organizzazione del festival così da riuscire a creare un evento ancora più ambizioso. D’altro canto, dovremo noi stessi alzare di più la posta, ossia cercando autori che rappresentino la storia del fumetto nel suo passato presente, ed in quello che ipotizziamo come il futuro. Inoltre, vogliamo lavorare su una proposta che ibridi sempre di più gli ambiti, e vogliamo che il fumetto parli la stessa lingua di chi fa cinema, di chi fa letteratura, di chi fa televisione. Questo non per creare un ipotetico “ARF Comics & Games & Animation”, ma per far capire al pubblico quanto sia ampio il fermento culturale che c’è nel fumetto.
Visto che abbiamo parlato della transmedialità dell’ARF, più che della sua multimedilità, ne approfitterei per parlare del fatto che ad ARF c’è stato quest’annuncio molto importante che in realtà è una sorta di secondo annuncio relativo alla nascita dell’universo cinematografico Bonelli, in cui tu sei coinvolto, per il film di Dampyr. Perché, secondo te, Bonelli tra tutti i personaggi tra cui poteva scegliere ha scelto proprio Dampyr?
Non posso darti una risposta esatta, ma posso dirti quello che ho dedotto io, da persona che lavora da tanti anni con cinema, televisione, e fumetti. Credo sia una scelta vincente, e molto adatta, anche se parlo dal punto di vista strettamente personale. Innanzitutto Dampyr è ambientato nel nostro mondo dove, appunto, c’è stata la guerra in Bosnia. Il personaggio racconta le inquietudini di un mondo che conosciamo molto, e seppur con le sue venature fantastiche (vampiri, ecc.), racconta una storia ambientata in un contesto reale, inserito com’è in un tessuto sociale realistico e di attualità. Non dimentichiamo, poi, che il trittico di personaggi protagonisti delle storie di Dampyr (Harlan, Kurjak e Tesla ndr.), in cui c’è un eroe che deve scoprire di essere tale, e che deve fare squadra con un grande soldato come Kurjak e una vampira sensuale come Tesla, ha un potenziale narrativo facilmente esportabile in tutto il mondo. Anche la genesi di Harlan, che da cialtrone scopre di essere davvero un Dampyr (un cacciatore di vampiri ndr.), è un qualcosa che ha grande potenziale, e che può aprire la strada ad una serie cinematografica cosa che, ad esempio, verrebbe più difficile ipotizzare per Tex o Dylan Dog, in cui la maggioranza delle storie ha una natura quasi stand alone.
Non va poi sottovalutato un fattore squisitamente produttivo: Girare nei luogi di origine del Dampyr comporta una spesa decisamente più contenuta che girare nella Londra di Dylan Dog o negli splendidi paesaggi alla John Ford di Tex. Lo scenario nei balcani è incredibilmente suggestivo, ci sono alcuni posti dove ci sono ancora i segni della guerra, e sono immediatamente identificabili, il che permette di immergersi subito nel contesto del personaggio. Ecco perché penso che Dampyr sia perfetto, ed anche se molti lamentano la minore popolarità rispetto ad altre icone Bonelli, io penso a quanto fatto da Marvel con Iron-Man che, quando ne annunciò il film, prese quello che era un personaggio all’epoca assolutamente meno noto di altre property infinitamente più popolari, dandogli poi una straordinaria dignità cinematografica.
Non temi che possa succedere quello che è successo per il film di Dylan Dog del 2010?
In realtà no, perché quello non era assolutamente prodotto da Bonelli. La casa editrice non ha partecipato alla lavorazione del film, di fatto lo ha visto al cinema come noi.
Quindi dici che la differenza sarà che questo è un prodotto Bonelli 100%?
Totalmente. Bonelli si sta impegnando a fondo per sviluppare il proprio “Bonelliverse”, dai cartoni animati al cinema, supervisionando ogni prodotto.
Realisticamente Dampyr quando potrebbe uscire?
Il film è stato annunciato per il gennaio del 2020.
Ricapitolando: sei uno sceneggiatore di fumetti, sei uno sceneggiatore di film, sei un regista. Ma quali pensi siano gli abiti che ti calzano meglio? Dove ti senti più a tuo agio?
Me lo sono chiesto tante volte, e devo dire che, per quanto la mia fascinazione totale sia per i fumetti, più vado avanti e più mi accorgo che mi piace stare nei gruppi che portano a termine le imprese. Un esempio è quello del cartone animato dedicato a Dragonero. Lì sto seguendo il progetto sia per gli aspetti relativi alla sceneggiatura con Giovanni Masi e Federico Rossi Edrighi (supervisionati dai grandi Enoch & Vietti) sia affiancando il regista Enrico Paolantonio per capire fin dove, tecnicamente, possiamo spingerci. Mi sta dando grande soddisfazione contribuire fino all’ultimo, collaborando col reparto produttivo e la visione di Vincenzo Sarno, Giovanni Mattioli e Antonio Navarra, confrontandoci passo passo con RAI, fino a consegnare il prodotto finito che va in onda. Il fumetto, se ci pensi, ha una dimensione più “raccolta”, molto personale. A volte si fa in una persona o in due, mentre io sento di riuscire a dare il meglio all’interno di un team di lavoro in cui sia possibile scambiarsi le idee, confrontarsi continuamente. Per questo adoro lavorare a progetti grandi come “Il Confine”, in cui non solo ogni giorno c’è uno scambio continuo coi disegnatori, letteristi, grafici, ma anche e soprattutto col Direttore Editoriale Michele Masiero, fino alla dirigenza rappresentata da Davide Bonelli e Simone Airoldi. Ecco, sì, sono molto più per il lavoro di squadra che per l’autarchia.
Circa un anno fa c’erano gli ultimi strascichi di quella che era una lunga (e periodica) dissertazione sulla situazione del fumetto in Italia. Guardare il lavoro che avete fatto in ARF quest’anno, ed all’aumento delle vostre presenze, mi verrebbe da chiederti se quel pessimismo dello scorso anno si è definitivamente appianato o meno. Il fumetto in Italia come sta secondo te?
Viviamo in tempi interessantissimi, nel senso che siamo in una fase di transizione dei mercati, e lo status quo che vigeva un tempo è cambiato. La vendita si è spostata dalle edicole alle fumetterie, e poi si è spostata ancora verso l’online e verso le librerie. È come se improvvisamente gli addetti della più grande religione del pianeta iniziano a perdere tutti i loro templi, dovendo rifugiarsi in altri luoghi di culto. Questa cosa ha portato ad una trasformazione importante dal punto di vista editoriale, perché, appunto, si transita verso altri mercati, e la migrazione è ancora in corso. Ovviamente io non sono un analista, né un esperto di marketing e vendite, ma da lettore, più che da autore, posso dirti che viviamo tempi interessanti perché, con la fine dello status quo, è nato un enorme fermento creativo.
A questo punto di vorrei chiedere, ma giusto per pizzicarti un po’, come sta messa la critica del fumetto? Riesce a correre insieme a quella che è l’evoluzione delle pubblicazioni? Se i modelli di pubblicazione e di vendita stanno cambiando, possiamo immaginare che cambino anche gli acquirenti. Il fumetto viene diffuso a più persone, ed è più facile che chi non ha mai masticato fumetto se ne cominci a interessare. La critica come si sta muovendo in questo senso?
Personalmente, credo siamo in un momento in cui il fumetto in Italia è artisticamente ai massimi livelli. Il livello medio è incredibile, ed è difficile stare al passo. Io stesso mi rendo conto che sto invecchiando perché vedo nascermi sotto gli occhi realtà editoriali di cui non sapevo niente e che invece sono seguitissime, e credo che non sia tanto differente per la critica. La vedo arrancare, nel senso che, salvo il grande lavoro che fanno alcuni, che hanno tutta la mia stima, mi piacerebbe che la critica in generale trovasse la strada della professionalità, invece di restare relegata alla sfera hobbystica, anche solo per meri motivi economici. Mi rendo conto che probabilmente è un’utopia, perché veramente c’è poca gente che viene realmente pagata per fare critica cinematografica, quindi, figurati se troviamo gente pagata per fare critica fumettistica. Però questo non può, anzi non deve, essere un motivo per abbassare il livello. Secondo me, nasce grande fumetto, se c’è anche una critica che stimola e sprona a far nascere un grande fumetto, cosa che non può succedere se la critica è compiacente.
Anni fa si diceva che i punti di riferimento della produzione fumettistica europea erano la Francia e il Belgio. Secondo te l’Italia ha recuperato questa sorta di “gap intellettuale” nei confronti del restante fumetto europeo?
Non lo so, io devo dirti con grande rammarico che, a parte qualche felicissima eccezione, mi ha sempre abbastanza rotto i coglioni il fumetto francese. Sicuramente oltralpe c’è questo atteggiamento più reverenziale verso il fumetto, ma non so se questa cosa sia sempre un bene e credo che le cose più interessanti nascano soprattutto quando un genere non è totalmente accettato ma è considerato “pirata”. Solo allora gli è concesso sperimentare e fare cose folli. Nonostante questo, va detto che oggi in Italia c’è talmente tanto splendore nei lavori di un Gipi, di un Martoz, ma anche nei lavori di Rita Petruccioli, ed abbiamo avuto produzioni da edicola così belle e raffinate, come Mercurio Loi, che anche chi è abituato ad un certo tipo di fumetto più “alto” resterebbe esterrefatto se si guardasse davvero attorno.
Prima di chiudere parlami de “Il Confine”. Come nasce l’idea di questo coraggioso progetto transmediale?
Sono anni che io e Giovanni Masi (che sta sviluppando il progetto con Uzzeo ndr.) stiamo pensando a sviluppare un qualcosa che sia nostro visto che principalmente, nelle nostre carriere, ci siamo trovati principalmente a lavorare su proprietà intellettuali create da altri. Quando poi abbiamo avuto l’occasione di proporre qualcosa di veramente nostro, abbiamo deciso di sviluppare un qualcosa che potesse far dialogare i diversi frangenti delle nostre reciproche esperienze lavorative, miste tra fumetti, serie TV e cinema. E così, ormai tre anni fa, abbiamo ragionato sull’idea di un mondo, sviluppato in una grande storia, e che fosse declinabile in vari ambiti, tutti al servizio di un prodotto unico, organico e sfaccettato. La nostra esperienza ci ha aiutato anche a capire che direzione prendere dal punto di vista produttivo, una cosa che, ad esempio, ci ha orientato nella scelta dell’ambientazione, che dal mero fine “produttivo”, è poi diventata un’importante elemento narrativo.
Dov’è ambientata l’opera?
Al confine tra Italia e Francia, uno scenario che risulta così anche molto adatto nell’ottica di una serie televisiva, per via delle numerose collaborazioni tv che effettivamente sussistono tra i due paesi. Ovviamente, ragionamenti come questi, intervengono a un livello del tutto “nascosto” agli occhi del lettore, perché, lo scopo è che il lettore si goda la storia e basta, venendone rapito sin dal primo episodio.
Giusto per curiosità: l’idea vi è nata dopo il boom di The Walking Dead?
Sicuramente il riferimento produttivo che si voleva all’inizio era proprio come The Walking Dead, che nasce come serie TV e serie a fumetti, con la serie TV che arriva un po’ dopo, salvo poi camminare di pari passo, arrivando poi ad ulteriori declinazioni. Ne abbiamo parlato a lungo anche con Robert Kirkman stesso, che ci ha dato consigli rivelatisi poi davvero ottimi.
Fino ad ora cosa avete annunciato per questo progetto enorme?
Sono state annunciate la serie a fumetti e la serie TV, Sergio Bonelli Editore ha pubblicato un prestigioso Art-Portfolio che vanta, tra gli altri, autori incredibili come Tanino Liberatore, Gipi, Danijel Zezelj e Shintaro Kago, e annunceremo ben presto altri progetti. Stiamo lavorando anche ad altre declinazioni che per ora devono restare segrete.
Parliamo di una serie regolare giusto?
Al momento abbiamo sceneggiato sedici numeri e stiamo andando avanti ma non ci siamo posti dei limiti. Volendo questa è una storia che può durare cento numeri, non volendo ne può durare duecento.
Caspita! Sedici numeri non sono pochi, siete velocissimi!
Il merito è del coinvolgimento di Federico Rossi Edrighi, che si è occupato dei layout di tutte le storie. Abbiamo dovuto lavorare così perché la storia prevede un plot molto intricato, tutto in continuity strettissima e siamo consapevoli che una produzione del genere non permette errori. Per questo abbiamo chiesto a Edrighi di preparare subito i layout delle storie non appena le sceneggiature fossero pronte. Questo ha portato ad una sorta di fumetto scritto e disegnato quasi in tempo reale, il che ci ha permesso immediatamente di verificare i passaggi della storia, e di mettere appunto le cose che ci convincevano di meno. Considera che Il Confine è una storia complessa, in cui ci siamo divertiti spesso a fornire dei depistaggi per il lettore, sicché ognuno di voi potrebbe intuire una direzione diversa per la storia e per il suo sviluppo. Ovviamente un lavoro del genere ha richiesto, e sta richiedendo, una lunga messa a punto.
Ma avete già pianificato tutto? Anche il finale?
Posso dirti che abbiamo già pronto il finale. Lo abbiamo già scritto, ma non te lo spoilero! Considera che la serie è stata progettata insieme al suo finale, tuttavia abbiamo sviluppato un’idea per cui ne Il Confine sarà possibile raccontare una moltitudine di storie, speriamo, sempre appassionati
Il Confine è un progetto con alle spalle una moltitudine di autori, tra cui Liberatore e Lorenzo Ceccotti, ma persino il mangaka Shintaro Kago. Come li avete selezionati?
In realtà è stato semplice: abbiamo chiamato i nostri autori preferiti, cercando di capire se il loro coinvolgimento fosse effettivamente possibile. Sinceramente non ci saremmo mai aspettati che Tanino Liberatore potesse partecipare, ma quando poi glielo abbiamo chiesto ha accolto l’idea con entusiasmo! Anche per Shintaro Kago è successa la stessa cosa. Glielo abbiamo chiesto pensando ad un rifiuto, ed invece è saltato subito a bordo del progetto, con nostra grande soddisfazione devo dire.
C’è la possibilità che all’interno di questo progetto vengano integrati altri autori?
Non posso dirti chi, ma posso dirti che è già in programma! Siamo ancora in cerca di altri autori, anche perché essendo una serie in progress abbiamo bisogno del supporto di molti artisti, e non è detto che si vada a cercare solo quelli più famosi. Vogliamo coinvolgere le pietre miliari del fumetto ma anche lanciare giovani artisti comunque bravissimi.
Se tu potessi scegliere un artista che ancora non fa parte del progetto, chi sceglieresti?
Senza alcun dubbio Gipi!
Che cosa vorresti proporgli?
Vorrei disegnasse una storia che, in realtà, abbiamo già scritto per lui.
Ok, ma gliel’hai già chiesto?
Ancora no. Però glielo chiederò.
Lo scoprirà con questa intervista, quindi.
Molto probabilmente sì! (ride). Io sono dell’idea che se hai un progetto interessante, non costa mai nulla alzare il telefono o mandare una mail e proporre.
Raffaele Giasi