
Sono passati decenni dall’ultima mostra dedicata a Munch a Roma. Sebbene sia uno degli artisti più amati nel mondo, l’unico ad avere generato un’emoticon con la sua opera più nota, L’Urlo, è anche uno degli artisti più difficili da vedere rappresentato nelle mostre perché la quasi totalità delle sue opere sono custodite al Munch Museum di Oslo che, eccezionalmente, ha acconsentito per questa occasione ad un prestito senza precedenti. E così fino al 2 giugno 2025, a Palazzo Bonaparte di Roma sarà possibile ammirare cento capolavori di Edvard Munch, tra cui le meravigliose La morte di Marat (1907), Notte stellata (1922–1924), Le ragazze sul ponte (1927), Malinconia (1900–1901), Danza sulla spiaggia (1904), nonché una delle versioni litografiche de L’Urlo (1895). L’esposizione, che ha avuto una precedente tappa a Palazzo Reale di Milano dove ha registrato un record assoluto di visitatori, racconta l’intero percorso artistico di Munch, dai suoi esordi fino alle ultime opere, attraversando i temi a lui più cari, collegati gli uni agli altri dall’interpretazione della tormentata essenza della condizione umana. “Siamo onorati ed orgogliosi di aver potuto realizzare questo grandioso progetto” commenta Iole Siena, Presidente di Arthemisia organizzatrice dell’evento in collaborazione col Munch Museum di Oslo. “Munch mancava da molti decenni in Italia ed il grande successo riscosso nella prima tappa a Milano ci ha confermato quanto grande sia l’amore del pubblico verso questo artista immenso, capace di darci emozioni fortissime.” Tra i principali artisti simbolisti del XIX secolo, dalla vita segnata da grandi e precoci dolori, Munch fin da subito è stato in grado di instaurare con lo spettatore un’immediata empatia, facendo percepire, oltre che vedere, la sofferenza e l’angoscia raffigurate. La perdita prematura della madre a soli cinque anni e della sorella, la morte del padre e la tormentata relazione con la fidanzata Tulla Larsen sono stati il materiale emotivo attraverso il quale l’artista ha cominciato a tessere la sua poetica, la quale si è poi combinata con la sua passione per le energie sprigionate dalla natura. I suoi volti senza sguardo, i paesaggi stralunati, l’uso potente del colore, la necessità di comunicare dolori indicibili e laceranti angosce, sono riusciti a trasformare le sue opere in messaggi universali e Munch uno degli artisti più rappresentativi dell’Ottocento. Sgomento, visioni, violenza emotiva si sono tradotte in immagini potenti, dall’emotività a volte diretta, altre soffocata, reiterate con l’intento ossessivo di riprodurre il più fedelmente possibile l’impressione delle scene incise nella memoria. Munch è uno degli artisti che ha saputo meglio interpretare sentimenti, passioni ed inquietudini della sua anima, comunicandoli in maniera potente e diretta. Plasmato inizialmente dal naturalista norvegese Christian Krohg, che ne incoraggiò la carriera pittorica, negli anni Ottanta del Novecento si recò a Parigi dove assorbì le influenze impressioniste e postimpressioniste che gli suggerirono un uso del colore più intimo, drammatico ma soprattutto un approccio psicologico. A Berlino contribuì alla formazione della Secessione Berlinese e nel 1892 si tenne la sua prima personale in Germania, che fu reputata scandalosa: da quel momento in poi Munch venne percepito come l’artista eversivo e maledetto, alienato dalla società, un’identità in parte promossa dai suoi amici letterati. A metà degli anni Novanta del XIX secolo si dedicò alla produzione di stampe e, grazie alla sua sperimentazione, divenne uno degli artisti più influenti in questo campo. La sua produttività ed il ritmo serrato delle esposizioni lo indussero a ricoverarsi volontariamente nei sanatori a partire dalla fine degli anni Novanta del XIX secolo. Relazioni amorose dolorose, un traumatico incidente e l’alcolismo lo porteranno ad un crollo psicologico che cercò di recuperare in una clinica privata tra il 1908 ed il 1909. Dopo aver vissuto gran parte della sua vita all’estero, l’artista quarantacinquenne tornò in Norvegia, stabilendosi al mare, dipingendo paesaggi ed iniziando a lavorare ai giganteschi dipinti murali che oggi decorano la Sala dei Festival dell’Università di Oslo. Tele, le più grandi dell’Espressionismo in Europa, che riflettono il suo sempre vivo interesse per le forze invisibili e la natura dell’universo. Nel 1914 acquistò una proprietà a Ekely, Oslo, dove, da celebre artista internazionale, continuò il suo lavoro sperimentale fino alla morte, avvenuta nel 1944, appena un mese dopo il suo ottantesimo compleanno. Questa mostra, dunque, assume un valore importante perché ruota intorno al grido interiore di Munch, al suo saper costruire, attraverso blocchi di colore uniformi e prospettive discordanti, lo scenario per condividere le sue esperienze emotive e sensoriali: un processo creativo che sintetizza ciò che l’artista ha osservato, quello che ricorda e quante emozioni ha provocato.