Curata da Francesca Barbi Marinetti, questa esposizione coinvolgente si sviluppa attraverso 24 imponenti opere che dialogano direttamente con i magnifici saloni e le statue del palazzo. Con il suo straordinario lavoro pittorico e di ricerca, Veneziano offre una prospettiva contemporanea sulle rivoluzionarie indagini di Cavalcaselle sull’arte medievale e rinascimentale italiana.
Veneziano rende omaggio a Cavalcaselle, uno dei padri fondatori della moderna critica d’arte, reinterpretando i suoi schizzi e famosi taccuini. Le opere esposte danno nuova vita e vigore alle creazioni di celebri artisti come Cimabue, Antonello da Messina, Piero della Francesca e Raffaello, intrecciandole con gli appunti e le deduzioni scientifiche di Cavalcaselle. Questo percorso espositivo non solo celebra il contributo di Cavalcaselle alla storia dell’arte, ma mette anche in luce il suo approccio metodico e innovativo che ha profondamente influenzato la moderna storiografia artistica.
La mostra “Corrado Veneziano. Dipingendo Cavalcaselle, di tersa mano” beneficia degli auspici della Presidenza della Commissione Cultura della Camera, del patrocinio del Ministero della Cultura e dell’ICAS (Intergruppo parlamentare Cultura, Arte e Sport). Inoltre, è sostenuta dall’associazione D.d’Arte, dalla Iacovelli and Partners e dall’associazione Civita, riflettendo un impegno congiunto per la promozione della cultura e dell’arte.
Cosa l’ha spinta a dedicare una mostra a Giovanni Battista Cavalcaselle? Qual è stato il punto di partenza del suo interesse per questo studioso?
Un “caso” fortuito, e (come spesso accade, in parallelo) una “necessità”. Ho incrociato Cavalcaselle nel 2019, grazie a una pagina del Domenicale del Sole24. Ignoravo l’esistenza di questo storico dell’arte, ma averne letto alcuni stralci biografici, e aver guardato gli schizzi riportati, mi ha dato una fortissima sollecitazione estetica e culturale. Ho colto subito la sua personalità geniale e originalissima, e ho “visto” (nel senso immaginifico del termine) i suoi schizzi diventare, nel mio lavoro interpretativo, tele ricche e dense, potenti. La necessità era quella invece di cercare una continuità con il mio precedente ciclo pittorico, dedicato al Codice Atlantico di Leonardo da Vinci.
Anche in quel caso mi era sembrato di poter prendere tratteggi straordinari leonardiani (appunti, disegni preparatori) e renderli opere piene di colore, di bilanciamenti prospettici, pienanente artistiche. Leonardo: un uomo del Rinascimento che realizza schizzi straordinari; Cavalcaselle: un uomo del tardo Ottocento che studia (soprattutto) il Rinascimento attraverso la medesima tecnica: lo schizzo che diventa progetto.
Può descrivere il processo creativo che ha portato alla realizzazione delle ventiquattro tele esposte?
Ho evitato di cimentarmi con il disegno e i suoi contorni, e mi sono lanciato subito nella costruzione cromatica: il colore dello sfondo. Poi, con colori a olio, e spesso con la mano accarezzando la tela, ho creato le figure evocando il tratto sfumato della matita. Ho dipinto a olio pensando ai pastelli, ai colori a cera. Ho inoltre sempre rigovernato, secondo il mio gusto, le immagini, dando loro un nuovo ordine compositivo, senza tradire quello originario.
Come ha selezionato gli schizzi e i taccuini di Cavalcaselle da reinterpretare?
È stato un lavoro lungo che mi ha permesso di apprendere elementi di storia dell’arte a me sconosciuti, e scoprire personaggi minori e interessantissimi. Ne ho studiato le opere, ho compreso il percorso indagativo di Cavalcaselle, e le ho selezionate in base al mio piacere personale ma anche alla luce delle novità che portavano nella riscrittura dell’arte italiana, e non solo.
Quale artista in particolare l’ha ispirata maggiormente nel rivisitare gli appunti e perché?
Sicuramente Tiziano. Cavalcaselle gli ha dedicato una lunga serie di pagine di enorme complessità e originalità. Ha chiarito i nessi con i suoi discepoli e con la sua bottega, facendo emergere le dinamiche di opere (celeberrime) che Tiziano ha talora solo impostato ma non dipinto, e altre di cui lui ha realizzato il prototipo ma non le altre varianti, e che (anche erroneamente o strumentalmente) riportano invece Tiziano come unico autore. Sono stato costretto (ed è stato bellissimo) a studiare dettagli cromatici ed espressivi, il rapporto tra bellezza pudica ed erotismo, e tutta una simbologia connessa a questa altalena, compreso il problema di inserire la bellezza femminile nelle opere religiose.
Quali tecniche e materiali ha utilizzato per le sue opere? In che modo ha cercato di rimanere fedele alla tradizione rinascimentale e medievale pur mantenendo un approccio contemporaneo?
Nelle opere ho utilizzato principalmente colori a olio e tele di lino. In due quadri invece, dedicati ai bestiari medievali, ho preferito dipingere sulla pergamena, cioè sulla pelle animale. Si tratta dunque di materiale classico, anche molto consueto, ma con l’obiettivo di conciliare tensioni differenti: una base classica e tradizionale, e un senso innovativo nell’uso dei tratti e dei contorni delle figure: linee spesso antitetiche e libere, che cercano una terza via tra la prospettiva del ‘400 e la precedente centralità delle immagini medievali, per esempio giottesche, indifferenti a rispettare esatte proporzioni geometriche.
Mi sono sentito felicemente libero.
Quali sono state le principali sfide nel reinterpretare il lavoro di Cavalcaselle? Ha scoperto qualcosa di nuovo o inaspettato durante il suo studio degli schizzi e dei taccuini?
Come già dicevo, la sfida è stata quella di cercare una terza strada tra il modello classico e quello più contemporaneo, tra la duplice adesione (verso il quadro originale e verso lo schizzo cavalcaselliano) e allo stesso tempo il non ridurre la mia spinta sperimentale e creativa. Leggendo e studiando i suoi taccuini, ho notato anche l’enorme importanza data alle qualità del supporto (tela, muro, legno) e alla loro preparazione. Cavalcaselle ci avverte: in assenza di una buona lavorazione dei supporti, il quadro è destinato a deteriorarsi. È per tutti noi artisti una grande lezione di lungimiranza. Poter dire “sto dipingendo anche per i posteri, e non posso utilizzare strumenti e basi che non garantiscano la vitalità delle mie opere nei prossimi secoli!”.
La mostra è stata curata da Francesca Barbi Marinetti e ha ricevuto il patrocinio di varie istituzioni. Come ha influito questa collaborazione sullo sviluppo e la realizzazione della mostra?
È grazie a Francesca Barbi Marinetti e alla storica dell’arte Lucia Calzona che abbiamo avuto la possibilità di presentare un’anteprima parziale della mostra alla Biblioteca Nazionale Marciana di Venezia (laddove è custodita la maggior parte dei taccuini di Cavalcaselle), e dopo pochi mesi presentare la mostra integrale a Palazzo Altemps. Siamo stati particolarmente fortunati giacché il Direttore della Marciana Stefano Campagnolo, e quello di Palazzo Altemps Stéphane Verger sono persone di enorme sensibilità e competenza, e attenzione, ma d’altro canto era comunque necessaria la forza comunicativa ed esplicativa della Curatrice, senza la quale non avremmo realizzato queste importanti esposizioni.
Anche il convinto sostegno della Commissione Cultura della Camera e l’apporto di due gruppi privati (l’associazione Civita e l’azienda Iacovelli and Partners) ci hanno permesso di avere una serie di facilità nell’allestimento e nella visibilità. Per fare cultura, dico una cosa ovvia ma che conviene ripetere, c’è bisogno di uno sforzo congiunto e di appassionata professionalità.
In che modo la figura di Cavalcaselle continua a influenzare il suo lavoro e la sua visione dell’arte? Ci sono altri studiosi o artisti del passato che considera particolarmente ispiranti per il suo percorso artistico?
Cavalcaselle mi è rimasto attaccato addosso, con stimolante vitalità. È, nel mio percorso professionale, il lavoro che ha impegnato maggiore tempo di preparazione delle opere (5 anni, tra studio e pittura), e mi ha insegnato a esercitare il rigore nel modo più ferreo e sereno. Ho imparato quella forma benevola di convivenza che unisce pensiero logico-analitico e pensiero creativo e fantastico. Ovviamente sono legatissimo anche ad altri studiosi italiani e stranieri, ma il legame che si è creato con Cavalcaselle credo sia insuperabile.
Questa mostra avrà poi un seguito, magari in altre città d’Italia?
La mostra a Palazzo Altemps mi ha dato quella felicità infantile che si prova (finalmente, dopo tanti pensieri e sogni) nel ritrovarti in un luogo vagheggiato e di cui diventi (anche se in parte) protagonista. Palazzo Altemps è il Museo rinascimentale meglio conservato al mondo, ma è anche il luogo che custodisce gruppi scultorei come il Trono Ludovisi, il Galata suicida e il Sarcofago della battaglia tra romani e barbari, vere icone dell’immaginario classico occidentale. Le mie opere sono ora accanto a questi splendori dell’arte antica, in un dialogo secondo me ricco e produttivo. Ovviamente non voglio mettere le mie tele sullo stesso piano di questi capolavori, ma credo ci siano convergenze e affinità tese a vivificare il senso piu profondo dell’arte, al di là di frontiere temporali. Insomma, spero che il visitatore di Palazzo Altemps abbia ulteriori elementi di riflessione e piacere estetico. E spero di meritare questo atto di fiducia della Direzione del Museo nei confronti miei e di Francesca Barbi Marinetti. Per il futuro, siamo già in contatto con la National Library di Londra (dove sono archiviati molti altri taccuini di Cavalcaselle e del suo amico e collega Arthur Crowe), e sono ottimista nel portare le tele in Germania, dove c’è un’attenzione particolarmente alta verso il nostro geniale studioso.