C’è un racconto di amore e passione che dal 1600 si rinnova nelle terre lussureggianti della Sabina, regione storico-geografica dell’Italia centrale, collocata all’interno del Lazio, che prende il nome dai suoi antichi abitanti, i Sabini, terra che nella sua storia millenaria ha sempre dato risalto alla produzione dell’olio d’oliva, vero e proprio oro verde, patrimonio di cultura e sapore dalle innumerevoli proprietà benefiche. Questo racconto è quello della famiglia Agamennone, proprietaria dell’azienda agricola Capo Farfa – il cui nome identifica la zona di pertinenza dell’azienda stessa, traendo origine dal fiume Farfa – da oltre 400 anni, la quale coltiva e produce, nel pieno rispetto della coltura biologica, l’olivo caratteristico del territorio, di varietà “Carboncella” e la Mennonia. A capo della famiglia e dell’azienda oggi c’è Marco Agamennone (nella foto in alto), alfiere dell’olio di qualità, custode di storie, tradizioni e conoscenze che affondano le radici nel passato, ma con lo sguardo sempre vigile e pronto sul futuro.
La nostra intervista a Marco Agamennone, proprietario dell’azienda agricola Capo Farfa, realtà eccellente italiana
“Capo Farfa significa letteralmente inizio del fiume Farfa, poiché qui sotto ci sono proprio le sue sorgenti, che danno acqua potabile anche ad alcune zone di Roma. Tutto il territorio è sotto tutela per proteggere la falda acquifera e l’Azienda Agricola Capo Farfa è appunto orgogliosamente biologica” sottolinea Marco Agamennone. L’Azienda Agricola Capo Farfa si colloca nella parte più alta della Sabina, precisamente nel territorio di Poggio San Lorenzo, e oggi costituisce un vero caposaldo nel settore agricolo, producendo un olio extra vergine d’oliva di qualità straordinaria, frutto del binomio riuscito tra sapere antico e tecnologie avanzate. Insieme a Marco Agamennone, abbiamo compiuto un vero e proprio viaggio ideale, sospeso tra le suggestioni della storia passata e la concreta esperienza del lavoro e dell’impegno presente, per conoscere meglio la ricchezza e la bellezza di un’eccellenza italiana invidiata nel mondo.
Mennonia
“Nel 1840, così come si tramanda nella nostra famiglia – ricorda Marco Agamennone – il mio bisnonno Odoardo curava in modo particolare alcune piante di olivo, di cui era molto geloso e ogni anno le utilizzava esclusivamente per estrarne l’olio per la scorta annuale destinata alla propria famiglia. Mio nonno Agamennone Agamennone, da noi chiamato per brevità nonno Mennone, continuò la cura di queste poche piante di olivo, usandole sempre e solo per produrre “l’olio per la casa”. Da queste premesse, scaturisce il tesoro prezioso della famiglia Agamennone: “mio padre e io – continua Marco – incuriositi da questa varietà particolare, iniziammo a fare ricerche e scoprimmo che non ne esisteva nessun’altra uguale. Quest’olivo lo possedeva (e tutt’ora lo possiede) solo la famiglia Agamennone!”. Nel 1985 buona parte dell’azienda viene danneggiata da una terribile gelata, ma quelle poche piante così speciali incredibilmente superano indenni il terribile evento. “Dovendo decidere quali piante utilizzare per colmare i danni causati dal gelo, decidemmo di analizzare l’olio prodotto da questa pianta così resistente e amata dai miei avi. Ci vollero più di due anni per capirne la composizione e le sue caratteristiche. Nel 1988 decidemmo di impiantare parecchi ettari con questa varietà d’olivo e, in ricordo del nonno, decidemmo di “battezzarla” con il nome di Mennonia, registrandola come nuova varietà al CNR di Perugia” conclude Agamennone.
Dal 1989 il nome Mennonia identifica così una varietà d’olivo da cui l’Azienda Agricola Capo Farfa estrae un olio extra vergine unico e particolarmente pregiato: geneticamente si tratta di una mutazione della tipica “carboncella” della Sabina, ma questa varietà ha la capacità eccezionale di amplificare i sapori dei cibi, invece di sovrastarli, soprattutto quelli delicati come il pesce.
Un po’ di storia…
Il paese di Poggio San Lorenzo è collocato in una posizione privilegiata e strategica sull’antica Via Salaria e tutto il territorio circostante, punteggiato da maestose piante d’olivo e dominato da infinite gradazioni di verde, è uno scrigno incredibile di reperti storici risalenti al periodo romano e medievale, tanto che è possibile godersi dei pregevoli “itinerari storico-botanici” proprio percorrendo il tracciato romano dell’antica via Salaria che attraversa la Sabina. La famiglia Agamennone, che ha acquisito la proprietà dei terreni di Capo Farfa nel 1600, è originaria di Arquata Del Tronto: nello stemma di famiglia non a caso troviamo tre stelle, l’ancora e il mare, segno di una possibile provenienza dal versante adriatico. Dal momento che Arquata del Tronto era un luogo strategico per lo Stato Pontificio, da proteggere, è ipotizzabile che la famiglia Agamennone abbia servito il papato difendendo l’avamposto e quindi abbia ricevuto come ricompensa il possedimento dove sorge l’azienda agricola attuale, in cui risalta, come un antico signore ancestrale, l’olivo impollinatore di Capo Farfa, piantato circa 600 anni fa e in grado di fecondare circa 30.000 olivi in un raggio d’azione di 6/7 km. La famiglia Agamennone ha sempre lavorato la terra e il suo frantoio non ha mai perso una stagione. Il frantoio viene edificato nel Medioevo sopra la villa di epoca romana di Laberia Crispina ed è un piccolo gioiello che ha seguito le fasi della storia restando attivo fino a oggi: la sua bellezza risiede nelle forze che si sono avvicendate per il funzionamento della macina, dal somarello all’energia dell’acqua, del vapore, fino al motore a scoppio e all’elettrico e, di fatto, tutte queste fasi hanno lasciato testimonianze tangibili, contribuendo a renderlo un vero e proprio monumento vivo dell’evoluzione agricola del territorio. Inoltre, quando venne costruita la villa romana, la Domina volle avere le terme al suo interno e cosi ordinò agli schiavi di scavare un acquedotto, lungo 1 km e mezzo: l’acquedotto, risalente al II secolo d.C. fornisce ancora acqua al comune di Poggio San Lorenzo. Nel frantoio degli Agamennone è custodita inoltre una macina vecchia di duemila anni: la datazione è stata desunta dal pavimento circostante, risalente appunto al secondo secolo dopo Cristo, contemporaneo dunque alla costruzione della villa romana.
Le antiche macine in pietra del frantoio sono catalogate dal Ministero dei Beni Culturali Italiano, mentre il piccolo museo curato dalla famiglia Agamennone, tra le tante curiosità, espone imponenti giare in terracotta anticamente utilizzate per la conservazione dell’olio, chiamate Bettine e prodotte fino al 1750. Nell’area dell’azienda troviamo un’altra testimonianza storica di grande pregio, i ruderi di un antico castello, costruito intorno al 900 d.C. e immerso tra gli olivi, il castello di Capo Farfa appunto, a diretta gestione dell’abbazia di Farfa, e la chiesetta che fungeva da cimitero del castello, costruita intorno al 1100. L’Abbazia ha conservato tutte le informazioni relative al suo castello: dalla rendicontazione del sale fornito al castello da parte dell’Abbazia, gli studiosi hanno dedotto che la sua capienza massima era di circa 300 persone. Il castello fu poi abbandonato intorno al 1700 e la popolazione di Capo Farfa venne assorbita dal castello Orsini di Poggio San Lorenzo.
Per cento anni nessuno era più salito sulla rocca del castello, divenuta una zona impenetrabile a causa della fitta vegetazione: a febbraio 2020, poco prima del lockdown per la pandemia di COVID-19, la famiglia Agamennone ha deciso di ripulire l’area da tutta la vegetazione, riportando alla luce diversi oggetti come stampi per fondere le armi e vasellame. La Torre del castello di Capo Farfa è tornata ad ergersi dominando un panorama mozzafiato: partendo da Nord, troviamo il monte Terminillo, da qui a Farfa con soli due passaggi si potevano avere informazioni di invasioni dalle parti dell’Adriatico. Qui si biforcano le strade romane Cecilia e Salaria: perdere questo castello significava dunque perdere un punto strategico cruciale e una comunicazione rapida sulla situazione del versante adriatico.
Le proprietà benefiche dell’Olio Extravergine d’Oliva
L’Olio EVO viene estratto esclusivamente con mezzi fisici, senza utilizzare nessun tipo di additivo chimico. Non a caso l’EVO risulta digeribile al 100%, al contrario di prodotti ormai esageratamente sdoganati come l’olio di arachidi, digeribile solo all’81%, l’olio di girasole, digeribile solo all’80%, e l’olio di mais, con un tasso di digeribilità pari a un misero 36%. Per la sua composizione, l’Olio Extravergine d’Oliva è l’unico grasso vegetale più simile al grasso presente nel latte materno e non tutti sanno che le foglie dell’ulivo sono addirittura ottimi coadiuvanti nel trattamento di patologie importanti come l’ipertensione, mentre, se guardiamo al cuore dell’olio EVO, possiamo scoprire che all’interno delle sue preziose gocce è racchiuso un bouquet di elementi preziosissimi e utili per sostenere uno stato di salute ottimale. Ad esempio, prendiamo l’acido oleico (75%), ovvero l’acido grasso più importante, in grado tra l’altro di prevenire i tumori al seno, riducendo il livello di Her-2neu: la presenza di acido oleico nel sangue riduce il livello di colesterolo cattivo e aumenta quello buono, protegge dai tumori al colon e alla prostata, riduce il rischio di infarti e regola le funzioni del fegato. Abbiamo poi i preziosi acidi palmitico (10%), stearico (2%), linoleico (3%) e alfa linoleico (3%), per non parlare degli steroli, famosi per bloccare l’assorbimento del colesterolo nell’intestino.
L’apporto di olio d’oliva è importante anche per i bambini, poiché costituisce per loro una fonte di acidi grassi essenziali. L’introduzione di questi acidi grassi nell’alimentazione infantile è fondamentale per lo sviluppo e il funzionamento del cervello e delle strutture nervose in generale, per la protezione della salute cardiovascolare e di quella visiva. Due cucchiai al giorno di olio d’oliva, pari circa a 10 grammi, favoriscono sia l’assorbimento di sostanze utili per la crescita che la mineralizzazione ossea. È importante sottolineare poi che l’Olio extravergine d’oliva ha un punto di fumo molto alto, per cui risulta essere molto adatto e più sano per la frittura dei cibi. Gli oli estratti a freddo si difendono infatti meglio dall’ossidazione.
Il progetto Bitter EVO
Presso l’Azienda Agricola Capo Farfa, le olive vengono molite nello stesso giorno in cui vengono raccolte, utilizzando due coppie di antiche macine in granito e rispettando le basse temperature. Successivamente, l’olio extra vergine d’oliva viene estratto con macchinari di ultima generazione e infine una soffice filtratura lo spoglia di tutte quelle particelle che nel tempo possono danneggiarlo. Questa “estrazione a freddo” garantisce un prodotto assolutamente non contaminato, dotato di una bassissima acidità e ricco di vitamine, enzimi, polifenoli e antiossidanti naturali che lo conservano in modo naturale nel tempo e l’Azienda Capo Farfa è certificata per la dicitura “estratto a freddo”, usata nell’etichettatura. Insieme all’organismo di ricerca privato Eko Group, finanziatore del progetto, l’azienda agricola sta collaborando, come sede dei lavori, ad una ricerca per aumentare gli antitumorali nell’olio, con la partecipazione dell’Università degli Studi della Tuscia di Viterbo e dell’Università La Sapienza di Roma. Il procedimento di diluire, dopo la frangitura, la pasta di olive con acqua potabile è stato sostituito dai ricercatori con la stessa acqua delle olive chiamata acqua di vegetazione. Recuperando per questo scopo direttamente l’acqua del chicco dell’oliva, già tiepida a 27 gradi (sotto questa gradazione l’olio non si estrae). I ricercatori si sono resi conto che con questo procedimento, oltre al processo energetico che vede ridursi considerevolmente la quantità di energia utilizzata, avvengono interessanti cambiamenti rispetto agli antitumorali presenti in natura nelle olive: la carica polifenolica e le molecole antitumorali infatti aumentano in maniera sensibile. Nasce così il progetto Bitter Evo, in risposta alla necessità di conservare nell’olio extravergine d’oliva i preziosi antitumorali, i quali con l’estrazione in parte venivano persi. Riutilizzando l’acqua di vegetazione, ovvero la parte acquosa presente in natura nelle olive, come da intuizione dei ricercatori, si aprono dunque nuove importanti prospettive per la salute pubblica e anche per la realizzazione di uno sviluppo produttivo più sostenibile per l’ambiente.