**Una lunga storia ai confini dell’isolamento…
Dopo 500 anni di colonizzazione portoghese le isole di São Tomé e Príncipe dal 1975 sono uno stato indipendente. Ma ovunque restano tangibili i ricordi di quell’epoca.**
È un piccolo arcipelago sperduto nell’Oceano Atlantico al largo del Golfo di Guinea, proprio sotto la linea dell’Equatore e all’altezza del Meridiano Zero. Un’Africa dimenticata, fuori del tempo. Quello che colpisce i pochi visitatori giunti fin qui sono i valori ambientali, la sicurezza elevata, il mare incontaminato, le spiagge deserte e i prezzi contenuti.
Arrivo da Lisbona a São Tomé, l’isola principale quella più abitata. I villaggi, con le loro case di legno colorate, sorgono in prevalenza lungo la costa e nei dintorni della Cidade Capital.
Príncipe invece, eletta dall’UNESCO riserva mondiale della Biosfera, è la più piccola e remota, conta appena 7000 anime. Il suo capoluogo –Santo Antonio– è poco più che un villaggio.
Su entrambe restano numerosi edifici coloniali dai colori sbiaditi ma sempre carichi di fascino.
Lungo le strade, spesso di terra e di sassi, avvolte dalla natura, s’incontrano uomini in cammino che portano sulle spalle caschi di banane, fasci di verdura, legna da ardere… Le donne hanno sempre sul capo recipienti in sicuro equilibrio e l’immancabile bambino stretto alla schiena da un foulard colorato. Qui la natalità ha ancora indici molto elevati.
Ovunque il retaggio più visibile dell’epoca portoghese sono le Roças, sorta di microcosmi, un tempo autosufficienti, disseminati sul territorio.
Erano aziende agricole dedite alla produzione di cacao e caffè, la grande ricchezza della “Colonia”, grazie alla fertilità del suolo e al lavoro di migliaia di schiavi, tradotti qui dai Paesi della costa africana, dai quali discende l’attuale popolazione multietnica. Un lavoro, quello delle piantagioni, spesso disumano, fuori da ogni regola – come racconta Miguel Sousa Tavares nel suo bel libro “Equatore”- ma che fece la fortuna di tanti proprietari terrieri e commercianti di Lisbona.
Dal 1975, con la fine della colonizzazione e le mutate condizioni economico-sociali (effettiva fine dello schiavismo, fuga degli investitori…), tutto il sistema delle Roças ha subìto un inesorabile tramonto. La gran parte di esse sono finite nel degrado, poche altre continuano la loro attività ma in forma molto ridotta rispetto al passato. Acquisite dallo Stato e gestite da piccole cooperative di lavoratori, esse restano in tutti i casi depositarie di un inestimabile patrimonio storico e umano, la più autentica testimonianza di un’epoca. Tra le antiche architetture, spesso in rovina, s’intrecciano ancora piccole e grandi storie senza tempo.
A São Tomé ho incontrato João Carlos Silva che ha ereditato dalla sua famiglia la bella Roça São João dos Angolares, che sorge in posizione alta e suggestiva tra la foresta del Pico Maria Fernandes e la vasta baia di Santa Cruz, tagliata dal Rio Grande.
Si deve a lui l’attento recupero con fini del tutto innovativi dell’antica struttura che ha preservato ogni segno del ricco passato: l’atmosfera coloniale, gli arredi e le decorazioni originali, l’attività agricola, l’ospedale. “Oggi l’agricoltura non è più sufficiente – è la sua riflessione – si produce poco di ogni cosa. Bisogna integrarla con altro”.
È nato così il progetto della prima Roça turistico-culturale del Paese. Un luogo dove non viene assicurata semplicemente ospitalità rurale ma tutta una serie di opportunità coordinate che consentano agli ospiti di immergersi nello spirito del luogo e nelle sue tradizioni.
La gastronomia qui a São João è attività preminente che valorizza le risorse della terra e del mare. Ogni giorno João Carlos cura personalmente le ricche degustazioni basate sull’accostamento insolito di svariati ingredienti e sapori: frutta, verdure, pesce, spezie. Contaminazioni che assicurano risultati sorprendenti.
Il programma prevede poi corsi di storia delle isole e delle Roças; escursioni nell’ambiente più selvaggio di São Tomé e Príncipe alla scoperta di flora e fauna endemiche; artigianato e trasformazione dei prodotti locali. E in particolare spazi d’arte contemporanea dedicati alla sperimentazione per tanti giovani artisti delle isole.
Infatti seguendo questa traccia che scopre la spontanea vocazione artistica di studenti, pescatori, agricoltori, senza alcuna formazione ma dotati di naturale talento, João Carlos ha recuperato nella zona del porto il padiglione dell’ex-Officina per le opere pubbliche, che versava in uno stato d’abbandono. Il grande spazio è stato trasformato in un centro polivalente di varie espressioni: pittura, scultura, musica, teatro, artigianato, danza, formazione.
Si chiama CACAU, Casa das Artes Criação Ambiente, Utopias, ed è oggi il motore di diversi progetti di assoluto rilievo, come la Biennale d’Arte di São Tomé, che segnalano sempre più spesso il Paese e la sua cultura sulla scena internazionale.
L’esempio di João Carlos sta determinando, con spirito di emulazione, un fervore sconosciuto in passato. Altre Roças si stanno lentamente ristrutturando anche in funzione del turismo – Micondo e Monteforte nell’isola maggiore, Belo Monte a Príncipe – mentre altre iniziative sono già nate.
Tutto ciò mostra un volto nuovo e propositivo dell’arcipelago che sembra così finalmente uscire dal suo letargo secolare.
Sulla costa occidentale di São Tomé ho incontrato anche una coppia di italiani, Mariangela e Tiziano. Arrivati qui alcuni anni fa a seguito di un progetto di cooperazione, si sono innamorati del posto e hanno deciso di restarvi.
La loro casa nelle alture di Neves e affacciata sul mare si è aperta poco a poco a turisti di passaggio. Oggi Mucumblì è una pousada tra le più accoglienti e rinomate. Anche in questo caso, accanto all’ospitalità, si stanno sviluppando diversi progetti di cui beneficia l’intera collettività. Il più interessante è la “Scuola di Turismo” di cui São Tomé e Príncipe hanno estremo bisogno per poter avviare tanti giovani verso un lavoro qualificato e assicurare agli ospiti servizi migliori.
Testo e foto di Raffaele Bernardo