Eugenio Boer. La rockstar dell’alta cucina

Eugenio Boer. La rockstar dell’alta cucina

Anelli, barba da hipster consumato, tatuaggi. Se non indossasse la giacca da chef Eugenio Boer potrebbe essere scambiato per il frontman di una rock band. Niente chitarra, però, per lui che esegue i migliori assoli tra i fornelli.

Se è vero che i cuochi, per ambire a diventare grandi chef, devono viaggiare e girare il mondo, allora di Eugenio Boer non possiamo mettere in dubbio le qualità in cucina. Boer, infatti, è forse il prototipo perfetto dello chef “pellegrino”. Impossibile il contrario dopotutto se hai un padre olandese e una madre per metà siciliana e per l’altra metà ligure, hai vissuto per 8 anni in Olanda prima di tornare in Italia tra Liguria e Sicilia, tappe “obbligate” che hanno preceduto il periodo a Berlino e, nuovamente, quello nel Belpaese.

La strada che porta alla cucina Eugenio l’ha trovata prestissimo, a 3 anni, e a 12 già si destreggiava a livello professionale tra fornelli e pentole. Una strada che si è rivelata sì in salita, tra grandi e severi maestri della cucina italiana e internazionale, ma che alla fine ha portato lo chef ad ottenere, tra i vari riconoscimenti, la stella Michelin.

La gavetta, dura come ammette direttamente lo chef, la ricorda col sorriso, ripensando alle ore passate ad ascoltare i consigli dei grandi, alle prime idee elaborate, i primi piatti prima solamente disegnati, abbozzati su un foglio di carta, poi finalmente realizzati anni dopo. Un sorriso spunta anche quando ricorda sua nonna, prima vera maestra di un Eugenio ancora bambino e che l’ha aiutato in quel percorso che lo ha portato direttamente nel gotha della cucina italiana.

Chi meglio dello chef, però, per farci raccontare la sua storia? Lo ha fatto durante l’ultima edizione di Identità Golose a Milano …

Eugenio, padre olandese e madre ligur/siciliana: sei cresciuto in Olanda prima di trasferirti in Italia. Come hai sviluppato la tua idea di cucina?

Lasagnetta vegetariana

La cosa che aiuta molto a offrire un buon prodotto, una buona esperienza gastronomica, è il fatto di aver assorbito tante contaminazioni. Vivere ancorati al passato e a una sola cultura sarebbe un grande errore, ma allo stesso tempo è sbagliato prendere il passato e buttarlo via. Diciamo che su questo ho fondato molto della mia idea e, come dice un maestro come Massimo Bottura, bisogna saper guardare le cose da un altro, nuovo, punto di vista. Ogni volta che mi avvicino a un ingrediente lo studio, lo analizzo, e mi chiedo in quale modo poterlo preparare, come se fosse sempre la prima volta. Mi faccio queste domande tutte finalizzate alla definizione del gusto complessivo. Puoi anche mettere in discussione un tuo stesso piatto, riproporlo e rivisitarlo così come rivisiti te stesso.

Hai iniziato giovanissimo ad armeggiare dietro ai fornelli. Sembra che tu non abbia mai avuto dubbi su quale percorso fare.

Sono stato molto fortunato, ho iniziato a cucinare a 3 anni e a livello professionale a 12. Sono 29 anni che faccio il cuoco e non ho mai avuto dubbi sul mio percorso professionale.

Come è stata la tua gavetta?

La gavetta ora la ricordo in modo piacevole, con una grande felicità. Dico e dirò sempre che va fatta, ma è importante non bruciare le tappe, perché la fretta non serve a nulla specialmente in un lavoro che è fatto di storicità, di grandi tradizioni e di una cultura non solo nostra ma anche di altri paesi. Bisogna essere in grado di riconoscere bene questi aspetti, perseguendo la perfezione, non raggiungendola magari ma avvicinandosi il più possibile. Questo è estremamente stimolante, il motore di tutto. Durante la gavetta bisogna fare quello che viene chiesto, farlo bene ma allo stesso tempo è importante iniziare a pensare autonomamente: prendere appunti, segnarsi le idee e non lasciarsele scappare perché potrebbero servire in un secondo momento, anche per vedere come la propria mentalità è cambiata e si è evoluta.

Risotto alla cenere, salmerino di montagna e le sue uova

Cover

Da Alberto Rizzo in Sicilia a Norbert Niederkofler in Alta Badia, hai avuto grandi maestri e in terre diversissime. Quanto hanno contribuito ad affermare la tua idea di cucina?

Tutti ci sono riusciti a loro modo. È stato un percorso cercato, voluto, il carattere forte delle persone che sono state miei maestri mi ha messo alla prova come essere umano e come professionista. Non parlo solamente dei grandi chef dai quali ho imparato, ma dico prima di tutto da mia nonna, la mia prima vera maestra che mi ha avvicinato a questo mondo. Io ho avuto la fortuna di avere una nonna che faceva la cuoca di mestiere. In lei ho visto il cercare di trasmettere amore attraverso un gesto: il cucinare, e da lì è partito tutto.

Per chiudere, è insolito vedere uno chef con così tanti tatuaggi. Che significato hanno?

Sono legati alla mia vita. Mi sono tatuato la prima volta a 15 anni, non l’ho fatto per moda e ho ricominciato a tatuarmi dopo esser diventato uno chef autonomo. Questo per rispetto dei miei maestri: non avrei mai fatto una cosa che avrebbe dato loro fastidio e a me, eventualmente, arrecato danno. Ho messo da parte negli anni tutte le ispirazioni, le idee, e le ho “marchiate” sulla mia pelle una volta diventato indipendente.

Cover ph from the official website www.restaurantboer.com

Bu:r di Eugenio Boer

Via Mercalli ang, Via S. Francesco D’Assisi, Milano

Alessandro Creta