Mai banale, come sul campo da calcio così sul palco musicale. Daniel Osvaldo, ex “calciatore maledetto”, non poteva concludere la sua carriera da futbolista in modo convenzionale ma ha voluto distinguersi così come faceva sul rettangolo verde, teatro di suoi numerosi gol spettacolari, molti dei quali in sforbiciata.
Un’altra rovesciata, l’ennesima, Osvaldo l’ha realizzata pochi anni fa per uscire fuori dal mondo del calcio. Ha rovesciato la sua vita, rinunciando alla fama (e ai soldi) da calciatore per dedicarsi a ciò che lo appassiona più di ogni altra cosa. Niente più scarpini da calcio, ritiri prepartita ed esultanze dopo un gol; spazio al microfono, alla chitarra e a un pubblico di fronte al quale cantare storie di vita. Un taglio rock alla sua carriera, una rivoluzione totale per chi ha calcato campi leggendari come la Bombonera a Buenos Aires, San Siro a Milano o il Camp Nou di Barcellona per diventare protagonista sui palchi di piccoli pub e club in giro per il mondo. Osvaldo ha capovolto così la sua carriera e, a margine del tour italiano dei “Barrio Viejo”, ci ha aperto le porte della sua nuova vita.
Daniel, sei un attaccante da oltre 100 gol. Hai vinto uno scudetto e hai giocato in Nazionale. In molti hanno invidiato la tua carriera, ma tu hai sorpreso tutti lasciando il calcio ancora giovane. Cosa aveva smesso di darti il calcio e perché la decisione di diventare frontman?
Il calcio è diventato un business dove non c’è spazio per i sentimenti e ormai mi sentivo in gabbia, non più libero. Il calcio mi ha dato tanto ed è uno sport che continuo ad amare ma tutto l’ambiente intorno non faceva più per me. Amo la musica da sempre ed ho incominciato a scrivere canzoni e testi già nei miei anni da calciatore, durante i ritiri con le squadre e nei lunghi viaggi verso gli stadi di tutto il mondo.
Era un’idea che avevi già da molto o l’hai maturata solamente nell’ultima parte della tua carriera?
Ci pensavo da un po’, ma la decisione è stata repentina. Ho deciso di smettere e allo stesso tempo di formare una band, ci sono voluti pochi attimi.
Come è nata la tua attuale band, Barrio Viejo?
Conoscevo Agustin e Taisen dai tempi in cui giocavo nell’Espanyol di Barcellona. Li andavo a veder suonare in club e pub della città e col tempo siamo diventati amici. Quando ho deciso di fondare una band mi sono presentato a casa di Agustin e gli ho detto: “Suoniamo insieme, formiamo un gruppo”. Un mese dopo avevamo registrato il nostro primo album. Per completare la band ho chiamato un altro amico di vecchia data, il batterista argentino Sergio Vall che in patria ha suonato in molte famose band.
Cosa ti sta dando la musica che non ti ha dato, o che non hai trovato, nel calcio?
La libertà e la felicità che cercavo da tempo. L’atmosfera è più rilassata, certo è molto faticoso anche andare in tour, viaggiare e suonare tutte le sere, ma almeno fino ad ora me la godo e sono molto contento.
Foto dalla pagina Facebook ufficiale dei Barrio Viejo
Sei sempre stato definito un “pazzo”. Ti rivedi in questa definizione? Ora la tua vita come e in cosa è cambiata?
Spesso ti vengono date etichette che rispecchiano o meno la verità. Certo per il mondo del calcio posso essere visto come un pazzo mentre in quello della musica sono uno come gli altri. Molti mi criticano e mi danno del folle anche perché ho rinunciato a molti soldi per inseguire una passione, un sogno, ma io sono contento della mia scelta. La cosa più preziosa che abbiamo è il tempo e quello fisiologicamente è limitato, dunque voglio passarlo facendo qualcosa che amo e soprattutto con gente che mi piace.
Con il tour dei Barrio Viejo hai toccato varie città italiane. Com’è stato tornare in Italia e guardarla dal palco anziché dal campo? Eri emozionato per il tuo ritorno a Roma, ma da rockstar?
Sul palco sono molto più teso di quando entravo in uno stadio. Per scelta suoniamo in posti piccoli e la gente è molto vicina, ti buca con gli occhi. Tornare a Roma, dove ho giocato 2 anni, è sempre molto emozionante perché è una città che amo e dove ho molti amici. Il concerto ha registrato il tutto esaurito e questo ci ha spinto a replicare una data nella Capitale a inizio febbraio.
Sei anche autore di testi, ti ispiri a qualcuno nella scrittura o hai uno stile tutto tuo?
I testi sono opera mia mentre la musica la scrive Agustin Blesa, il chitarrista, nonostante in qualche brano gli abbia dato una mano. Scrivo di storie di vita, storie d’amore (ma non come nei film di Hollywood, sempre a lieto fine), problemi sociali. La vita di tutti i giorni è la mia ispirazione.
Avrai sicuramente avuto dei compagni di squadra con un animo più rock degli altri. In una ipotetica band, chi sceglieresti per farti affiancare sul palco?
Il giocatore più rock che con cui ho condiviso lo spogliatoio è Cristian Álvarez, il portiere dell’Espanyol di Barcellona, altri sinceramente non me vengono in mente. In effetti è un po’ poco per formare una band (ride, ndr).
Progetti personali e di carriera per il tuo futuro?
Al momento sono concentrato sulla musica e sui Barrio Viejo. Spero di riuscire a far apprezzare la nostra band e di avere sul palco una seconda carriera lunga e duratura.
Alessandro Creta