crediti fotografici: Francesco Orini Photographer.
Una cuoca di frontiera, una donna che si è guadagnata il rispetto di tutto il mondo della cucina, tanto da diventare una delle chef italiane più stimate da colleghi e critica. La stella Michelin, poi, l’ha resa ancor più grande.
Questa strada, per diventare grande, Antonia Klugmann (trentina di nascita e friulana d’adozione) ha iniziato a percorrerla da molto giovane, affidandosi a tre elementi principali. Coraggio, fiducia in sè, e incoscienza: questi sono gli ingredienti della ricetta di Antonia Klugmann per diventare una delle principali rappresentanti della nostra cucina. Coraggio e incoscienza perché, da universitaria, ha deciso di mollare gli studi per abbracciare il mondo della cucina. Il tutto orchestrato da una profonda fiducia in se stessa perché, nonostante tutto, sentiva che quello sarebbe diventato il suo mondo. Un mondo che, con il ristorante “L’Argine” di Vencò (Gorizia), ha saputo arricchirsi anche della stella Michelin.
Abbiamo incontrato chef Klugmann in occasione di un’asta di formaggi di Malga in Val di Sole (Trentino Alto Adige) e, poco prima di conquistare a suon di rialzi una forma di questo straordinario prodotto, ci ha rivelato la sua visione di cucina…e di vita.
Chef, come si è avvicinata alla cucina e quando ha capito che avrebbe conquistato la sua vita?
Quando ho lasciato l’università per la ristorazione sono stata un kamikaze. Non sapevo a cosa andavo incontro, perché mai e poi mai una persona può intuire cosa sia questo mestiere finché non c’è dentro. Mi ricordo però che, dopo una settimana di lavoro nella mia prima cucina, in un momento in cui ero in giardino e guardavo l’interno del locale ho pensato: “Io questo lo farò per tutta la vita”, e non mi sono mai pentita in 18 anni. La sensazione di pienezza che avevo, la felicità autentica, mi è rimasta inalterata.
Che cosa vuol dire per Antonia Klugmann cucinare?
Cucinare per me è sostanzialmente poesia. Diciamo che inizialmente pensavo che fare il cuoco significasse fare lo chef. Invece non è così per il 90% delle persone che intraprendono questo mestiere. La parte creativa in questo lavoro è fondamentale per me, e ho subito capito di dover diventare il capo per curare questo aspetto, che per me è quello più importante. Per fortuna ho raggiunto il mio scopo: dopo 5 anni che mi ero tuffata in questo mondo sono riuscita ad aprire il mio ristorante, e da quel momento ho iniziato a occuparmi dell’aspetto creativo. Fin quando sei un esecutore ovviamente la creatività non ti compete.
In passato si è definita una donna egoista, severa, egocentrica. Cucinare però significa innanzitutto dedicarsi, e pensare, agli altri…
La cucina in quanto mezzo di espressione è uno strumento per esternare se stessi, e questo non per forza deve avere a che fare con la generosità. Il fatto di poter cucinare per i propri cari invece, nella propria cucina, a casa, presuppone il voler regalare qualcosa ai propri affetti. Questo però non ha niente a che fare con la cucina professionale.
Il mondo della cucina, dall’esterno, sembra prevalentemente di stampo maschile. È effettivamente così?
Credo che questa maggiore visibilità corrisponda ad una maggiore possibilità dell’uomo di poter viaggiare e di comunicare se stesso, alla donna da sempre è stato insegnato invece che l’autopromozione sia qualcosa di non positivo. Questa invece fa parte di qualunque mestiere, dall’avvocato al giornalista, passando per lo chef: raccontare se stessi fa parte del marketing, e fa parte del proprio lavoro. Sicuramente la possibilità fino a pochi anni fa era maggiormente preclusa alle donne, rimaniamo tuttavia il Paese con il maggior numero di cuoche stellate. Credo che ci si debba dare solamente un po’ più di tempo per arrivare a una vera parità.
La sua cucina nasce da ingredienti, apparentemente semplici, come le erbe. Qual è il loro segreto?
La varietà delle erbe che oggi noi possiamo acquistare al mercato è infinita, però un’erba selvatica, anche la più comune possibile, raccolta in campo con sapienza dalla mano del cuoco, non è acquistabile altrove. Questo discorso vale anche per le verdure dell’orto: per esempio un germoglio di un cavolo nero colto e tagliato per tutta la stagione in un certo modo, non è acquistabile. E quello, per me, è lusso, cioè qualcosa che si può ottenere solamente a livello artigianale e in precisi territori. Per me è lusso tutto ciò che non può essere acquistato e che può essere ricercato solo in un particolare luogo, commercializzato da pochi.
Capitolo tv, lei ha lasciato Masterchef per, la citiamo “non dimenticarsi del perché si cucina”. Cosa vuole dire esattamente?
Per riuscire a fare le riprese avrei dovuto chiudere di nuovo il locale, oppure trasferirmi completamente a Milano, e questa cosa non era possibile per chi, come me, ama stare costantemente in cucina. Chef Locatelli, che mi sostituirà, in compenso è una persona che stimo tantissimo e dal punto di vista umano mi ha fatto un’ottima impressione. Sono sicura che farà bene.
Si aspetta un funerale stile Cracco?
Credo che quell’episodio sia stato un unicum, fatto una volta non verrà ripetuto. Tra l’altro l’autore capo di Masterchef è una donna e una persona che ammiro tantissimo, quindi chissà cosa avrà riservato per “eliminare” la Klugmann…
Per concludere, riesce mai a staccare la spina dal suo lavoro?
Devo dire che il senso di colpa rispetto alla mia vita privata è un po’ mitigato dal fatto che il mio compagno lavori con me. Mi ricordo che quando ero una cuoca alle prime armi, gli dicevo: “Dovessi scegliere tra te e il mio lavoro io sceglierò sempre il lavoro”. Questa è una sorta di vocazione “di famiglia”: in particolare mio papà è stato quasi un modello per me, un medico che ha dedicato tutta la sua vita al lavoro. Il lavoro per me è un modo per esprimere la parte più profonda, non esiste una divisione tra la Klugmann privata e la Klugmann cuoca, io sono quello che faccio e in questo c’è il mio piacere.
Alessandro Creta