Un gioco di alchimie, il risultato di formule, prove, errori e continui miglioramenti.
La pasticceria è questa, prendere o lasciare, e dietro ad ogni nostro morso ad una fetta di torta, un bignè o un pasticcino ci sono ore e ore di tentativi, azzardi e calcoli matematici da parte di chi vuole riuscire ad azzeccare dosi, combinare gusti, per realizzare il dolce perfetto. Lo sa bene Andrea Tortora, pasticcere classe 1986, che nonostante la giovane età è uno dei maestri di questa branca così difficile, ma così gustosa e irrinunciabile, della cucina. Ora le sue mani realizzano i dolci per i fortunati ospiti dell’hotel Rosa Alpina, in Alta Badia, e del Restaurant St. Hubertus, regno dello chef tristellato Norbert Niederkofler.
“I miei maestri mi hanno indicato la direzione” afferma Andrea, “dicendomi dove guardare, ma non cosa vedere. Li ho ascoltati con rispetto e con la libertà di procedere in modo personale e creativo”. Il resto del percorso poi Andrea Tortora se l’è costruito da solo, a suon di ricette, tentativi, fallimenti e successi.
In fondo per realizzare grandi dolci non bisogna limitarsi ad essere “solo” pasticceri, bisogna diventare architetti, creatori, designer e scultori delle opere che si realizzano. Solo così si riesce a conquistare il pubblico ed il suo palato. In poche parole Iginio Massari, il re dei pasticceri italiani, descrive quella che è una vera e propria arte: “La pasticceria nel suo essere è la tentazione del peccato di gola. È il cibo della trasgressione, del corpo per accontentare l’anima”. Perché, per mettere d’accordo tutti, alla fine basta solo un buon dolce…
Parola a chi, a 30 anni, è stato eletto “Miglior Chef Pasticcere” dalla Guida di Identità Golose e da quella del Gambero Rosso.
- L’attuale momento della cucina italiana è il migliore di sempre, quanto crede che la pasticceria abbia contribuito a raggiungere questo risultato?
La pasticceria è un elemento dell´orchestra, e a lei sono affidati due momenti molto particolari dell’esperienza in ristorante: l’accoglienza, attraverso il pane, ed il commiato, attraverso la piccola pasticceria. Fondamentale è il suo essere in piena armonia con la strada indicata dallo Chef di cucina.
- La pasticceria è forse l’arte più difficile della cucina, quanto studio e precisione ci vogliono per preparare un dolce di livello?
Non basta una vita. Un dolce oggi potrebbe essere perfetto ma già domani potrebbe aver bisogno di accorgimenti, anche solo per l’allargarsi del nostro punto di vista. Lo scopo è raramente statico, quindi ad Identità Golose abbiamo introdotto il termine “scopo evolutivo”: il più profondo potenziale creativo per portare qualcosa di nuovo alla vita, per contribuire in modo energico, prezioso al mondo. È quell’impulso con cui vogliamo entrare in sintonia.
- Cosa consiglierebbe ad un giovane aspirante pasticcere?
Consiglierei di fare esperienza, rimanere umile e girare il mondo. Perché solo la contaminazione di altre idee ed il confronto con altre culture possono portare a migliorarti sempre di più.
- I panettoni che portano il suo nome, ad oggi, sono il suo vanto più grande?
Vanto no, diciamo che è un prodotto in cui ho sempre creduto e che ho sempre mangiato da bambino perché veniva realizzato anche in famiglia. È sicuramente un qualcosa che ho nel cuore e al quale mi sento legato. Credo che oggi sia un prodotto che vada molto di moda, ma la qualità non è una moda. Per questo i miei panettoni sono sfornati in tiratura limitatissima e ogni esemplare, fatto artigianalmente con macchinari importanti, passa nelle mie mani. Il fattore umano quindi rimane preponderante.
- Lei lavora in un ristorante tristellato. Le 3 stelle Michelin sono sicuramente una grossa soddisfazione, ma mettono anche altrettanta pressione?
Nel mondo siamo 7 miliardi di persone, e in tutto il pianeta ci sono appena 110 ristoranti 3 stelle: sicuramente la pressione c’è però credo che continuare a lavorare con costanza e qualità sia la cosa giusta da fare dopo aver conseguito un riconoscimento come questo. Alla terza stella ho pensato “E adesso?”, perché ho lavorato con Norbert Niederkofler per 10 anni, avevamo questo obiettivo, l’abbiamo raggiunto e ora c’è desiderio di qualcos’altro, di una nuova sfida. Come dicevamo prima, lo scopo è in continua evoluzione.
- Oltre a quelle all’interno della sua famiglia, ha avuto altre fonti di ispirazione?
Sicuramente la famiglia mi ha dato il via, poi ogni esperienza che ho fatto, positiva o negativa, mi ha dato qualcosa e mi ha formato. Un’ esperienza non si valuta nell’immediato ma solo dopo 4-5 anni, tutto quello che ho fatto lo rifarei, perché ha contribuito a farmi diventare ciò che sono oggi.
Alessandro Creta