Carl Brave e Franco 126, aka Carlo Luigi Coraggio e Franco Bertollini, sono “due fiori cresciuti in mezzo ai sanpietrini”, espressione viva e vitale di una Roma che rivendica la sua identità e il desiderio di esprimersi e farsi sentire. Oggi, questi due musicisti, prima di tutto amici e compagni nella “Love Gang”, quella 126 Crew che richiama, con vivace orgoglio di appartenenza, il numero dei gradini della scalinata di via Dandolo a Trastevere, si confermano come una delle coppie rap più apprezzate della scena musicale italiana. Con il loro album d’esordio “Polaroid”, partendo dal grande vivaio creativo della capitale, sono “sbocciati” e hanno letteralmente conquistato il pubblico nazionale, ottenendo da Rolling Stone il riconoscimento per il miglior disco del 2017, e poi certificazione oro, concerti sold out, milioni di visualizzazioni sul web. Un’ascesa irresistibile che culmina questa estate con la partecipazione al grande appuntamento di Rock in Roma: il 12 luglio, accompagnati da una “big band” che vestirà i loro brani con un sound ancora più d’impatto e straripante di groove, i due “pischelli” vivranno il loro rito di passaggio per diventare finalmente grandi, regalando ancora una volta al pubblico degli “scatti colorati in musica” che fermano la realtà in attimi purissimi di emozione condivisa.
Quando e come si sono incrociate le strade di Carl Brave e Franco 126?**
Franco 126: La nostra collaborazione dura da molto tempo, non mi ricordo nemmeno quasi più quando abbiamo iniziato di preciso. Posso dire che ci siamo trovati, innanzitutto dal punto di vista umano. Abbiamo scritto una marea di pezzi prima di decidere di far uscire qualcosa di nostro, all’inizio c’era stato il tentativo di mettere insieme una proposta più trap, mai pubblicata, ma che cominciava ad avere quelle caratteristiche presenti in “Polaroid”, il nostro primo album in studio, ovvero una scrittura sviluppata prevalentemente per immagini. Ci siamo trovati, ecco tutto, siamo prima di tutto amici, credo sia davvero questa la cosa più importante. Per noi il rapporto umano è la base di una collaborazione musicale riuscita.
Carl Brave: È vero, tutto è partito un po’ per caso, dalle collaborazioni con i ragazzi della Love Gang, come Ketama e Pretty Solero. Franco dice di non ricordare precisamente come è iniziata, ma io sì: stavo lavorando al mio disco “Fase REM” e il primo featuring era proprio con lui. Lì ci siamo resi conto che funzionavamo insieme, il pezzo girava e così abbiamo deciso di restare in duo, di fare un disco firmato da entrambi.
Un momento, abbiamo capito bene? Prima di trovare la vostra cifra, anche voi vi siete lasciati ammaliare dalla famigerata “onda trap”?
Franco 126: Quell’idea trap iniziale era molto più cupa del nostro lavoro attuale, si soffermava su altri aspetti e non sulla vita cittadina e sulla romanità, che rappresentano le tematiche su cui invece abbiamo deciso di focalizzarci. Saranno almeno tre anni che faccio “coppia fissa” con Carl, prima avevamo seguito dei percorsi differenti, ma poi ad un certo punto ci siamo incrociati. Nella nostra crew, i 126, la Love Gang, siamo tutti solisti però ci troviamo spesso a collaborare, abbiamo tutti quanti una nostra cifra stilistica particolare.
Riprenderete mai in considerazione quella originaria ispirazione trap?
Franco 126: Assolutamente no. Quello era un esperimento che faceva parte del nostro percorso per trovare la nostra voce, la nostra ispirazione personale. Ci capita di esplorare i territori della trap, come è successo per il pezzo Borotalco con Noyz Narcos, oppure per alcuni pezzi del disco di Ketama e di Drone, ma il nostro modo di scrivere canzoni, la nostra sensibilità artistica restano altro dalla trap. Nei testi non affrontiamo le tematiche trap per eccellenza, come i soldi e le donne trattate in un certo modo: questo tipo di espressione semplicemente non ci appartiene, anche se non possiamo negare l’influenza di quel percorso sul nostro lavoro.
Carl Brave: Confermo, niente trap, assolutamente no. Abbiamo trovato un sound un po’ diverso e abbiamo capito qual era la migliore strada da seguire per noi. Quello trap è un sound che ormai ha troppa gente e non ci rispecchia veramente, è una roba americana, non ce lo dimentichiamo.
L’utilizzo del dialetto rappresenta l’essenza dell’autenticità dei vostri testi, non vi ha limitato nella diffusione della vostra musica?
Franco 126: Il dialetto è l’espressione più diretta della nostra realtà, senza il vincolo di dover essere assolutamente capiti da tutti. Scriviamo come parliamo, ma ugualmente siamo riusciti a non rimanere confinati nel nostro perimetro di appartenenza. Ormai tutto il mondo è paese, soprattutto grazie ai social network, che creano innumerevoli canali di connessione tra i più giovani: il modo di vivere dei ragazzi è simile da Roma a Milano. La romanità è una cornice, ma noi vogliamo raccontare situazioni di vita in cui può ritrovarsi chiunque.
Carl Brave: Usiamo lo slang per far uscire fuori la parte più vera di noi. Non c’è più una zona comfort e il nostro modo di esprimerci non ci limita, ci siamo resi conto che possiamo davvero essere apprezzati dappertutto. Milano, Napoli, Sicilia: sono tutti terreni fertili perché ognuno può ritrovarsi nelle nostre canzoni. Ad esempio, io parlo del Nasone romano che “scorre sempre e non la smette”, mentre a Milano hanno il dragone, che è praticamente la stessa cosa: la musica quindi può legare il paese molto più di quanto si possa immaginare, mettendo in evidenza le cose in comune, accorciando le distanze, ammorbidendo le differenze.
Come nascono le vostre canzoni?
Franco 126: Io sono un po’ più cervellotico, Carlo invece è più impulsivo. Io segno le cose che vedo per strada oppure delle parole che mi piacciono e da lì mi lascio guidare per comporre una canzone. Anche Carlo parte dalle immagini per comporre e far quadrare un testo. È un modo di lavorare molto visivo il nostro.
Carl Brave: I nostri testi sono legati profondamente anche alle basi, ci piace lasciarci ispirare, seguendo il mood della base strumentale. Da lì si scatenano emozioni che portano a sviluppare un brano compiuto. Roma è fondamentale per trovare la giusta ispirazione: i testi raccontano la città e i suoi abitanti. Roma è ricca di sfaccettature, caotica e paciosa al tempo stesso: ci dà davvero l’opportunità di parlare di tantissime cose diverse. Noi cantiamo il quotidiano, le possibilità sono davvero infinite.
Come state vivendo la preparazione del vostro concerto a Rock in Roma, il più grande palcoscenico estivo per la musica in Italia, a cui partecipano star del calibro di Roger Waters?
Franco 126: Suonare a Roma è sempre una grande emozione, perché il pubblico è ancora più caldo, si sente ancor più rappresentato dalle nostre canzoni. Io sono romano da parecchie generazioni per parte di padre, precisamente trasteverino: il mio bisnonno aveva casa nel cuore di Trastevere, il legame con il quartiere e con tutta la città è profondissimo. Approdare a Rock in Roma ci fa stare super bene: è un palcoscenico davvero importante e ci teniamo più del solito a fare bella figura.
Carl Brave: Per Rock in Roma siamo sotto con le prove, suoniamo con un gruppo che rappresenta la nostra forza. Abbiamo chitarre, fiati e ci stiamo allenando per essere all’altezza di un obiettivo che ci eravamo prefissati da tempo.
Elisabetta Pasca