Nel cuore delle Piccole Antille, fra il mar dei Caraibi e l’Oceano Atlantico, l’arcipelago della Guadalupa è costituito da 7 isole principali e una moltitudine di isolotti tutti da scoprire, per una superficie totale di 1780 kmq.
Un invito al viaggio fra paesaggi inattesi e sorprendenti.
Dalle maestose Cascate del Carbet alle spiagge di sabbia bianca, dorata, nera, dalle acque turchesi ai giardini di corallo. Mare e montagna, un’’idea affascinante. Salire alla Soufrière in mezzo alla foresta tropicale, con una vista da favola sul mare dei Caraibi. E poco dopo tuffarsi nelle acque trasparenti, fra pesci colorati. Davvero le isole della Guadalupa sono le isole di tutte le scoperte.
La Guadalupe è formata da due isole maggiori, Grande-Terre e Basse-Terre, che si aprono con ali di farfalla nel blu del Caribe, e da una serie di isolette minori: Marie Galante, Les Saintes, Petite Terre, la Désirade. Il paesaggio si presenta vario e contrastante: Basse-Terre, dominata dalla massa del vulcano Soufriére, offre foreste pluviali, bananeti e cascate, Grande-Terre propone un microclima più secco e palmeti ma anche isolotti avvolti dalle mangrovie e grandi rocce protese verso l’azzurro dell’oceano. L’immenso potere della natura tropicale domina incontrastato, condiziona ogni attività, plasma caratteri ed abitudini. Le stagioni sono sostanzialmente due: la “Careme”, da Gennaio ad aprile, caratterizzata da cieli tersi e clima asciutto, e l’hivernage, da luglio a novembre, con caldo umido e piovaschi quotidiani. La temperatura, costantemente mitigata dagli alisei, resta stabile per tutto l’anno: 28° gradi per l’aria, 27° gradi per l’acqua. Potrebbe essere un piccolo paradiso, ma i Tropici sono il regno del provvisorio e dell’imprevedibile e la natura equatoriale incanta, soggioga, e colpisce ad ogni sguardo.
Un lembo di Francia immerso nelle Antille
L’anima caraibica è qualcosa di profondo ed esclusivo, si legge nel cuore, nella pelle e nel sorriso di un’etnia bellissima, figlia d’incroci spesso sorprendenti tra indiani antillani e precolombiani, bucanieri e pirati di ogni parte del mondo, asiatici, coloni francesi, neri africani. Tutti conoscono il francese ma amano parlare il creolo: una lingua che mescola Africa e Francia con forme verbali che richiamano anche inglese, olandese e spagnolo.
A Guadalupe il colore della pelle propone una serie infinita di tonalità, le varie sfumature di questo melange la dicono lunga sulla secolare avventura umana degli abitanti. Quando Cristoforo Colombo scoprì l’arcipelago, nel 1493, lo trovò presidiato dai bellicosi indiani Caraibi, una popolazione dedita all’antropofagia che, giungendo dal Venezuela, aveva completamente soppiantato la preesistente civiltà precolombiana degli Arawak. Gli spagnoli non riuscirono mai ad avere completamente ragione della resistenza indiana e la loro occupazione fu poco più che sporadica. Tra il 1635 e il 1639 la Guadalupe fu conquistata dai francesi guidati da Liénard de l’Olive e da Duplessis d’Ossonville; l’operazione si concluse con il completo sterminio dei feroci indigeni. Nel 1664 venne introdotta la coltivazione della canna da zucchero ed il fabbisogno di manodopera diede origine alla tratta degli schiavi provenienti dall’Africa. Seguirono anni in cui fiorì il mercato delle spezie, del rhum e del tabacco; un’epoca in cui l’arcipelago fu a lungo conteso da inglesi e francesi, questi ultimi se ne assicurarono il definitivo dominio a partire dal 1816. La schiavitù fu ufficialmente abolita nel 1794 ma scomparve definitivamente solo nel 1848.
La Grande Terre
La varietà del paesaggio, le bellissime spiagge, la foresta, i villaggi e la gente suggerirebbero un viaggio di almeno due settimane; se poi si dispone di un’imbarcazione, o si vogliono visitare anche le isole minori, l’arcipelago può essere il luogo ideale per una lunga vacanza. In questa sede si preferisce proporre un itinerario “minimo”, che non trascuri nessun aspetto o luogo essenziale ma che possa essere realizzato anche con soli sette-otto giorni a disposizione. Il primo impatto con la Guadalupe è costituito dall’aeroporto di Le Raizet, a pochi chilometri da Pointe-à-Pitre, la città più animata dell’arcipelago. Basse Terre e Grande Terre sono due isole distinte ma sembrano quasi congiungersi proprio in questa zona, ci si trova quindi nelle condizioni ideali per fissare la base del proprio soggiorno. Le buone strade, e una certa inconsistenza dei mezzi pubblici, obbligano al noleggio di una vettura; l’operazione, semplificata dalla presenza delle più importanti società del settore, si può effettuare direttamente all’aeroporto. Si trovano ottime sistemazioni alberghiere in entrambe le isole maggiori.
Mercati coloratissimi, case in legno e ferro ma anche grattacieli, folla, rumori e profumi bene evidenziano i contrasti e le suggestioni di Pointe-a-Pitre, vivacissimo punto di partenza per ogni tour di Grande-Terre.
Le bancarelle di place de la Victoire offrono spezie, frutta e fiori in un variopinto caos tropicale. Uscendo da Pinte-a-Pitre ci si può seguire la costa meridionale di Grande Terre e, dopo una ventina di chilometri, arrivare a St. Anne, dove casette coloniali e un’atmosfera rilassata fanno da preludio ad una delle più belle spiagge dell’isola. La barriera corallina spezza le onde dell’oceano, minuscole anse creano piscine naturali dove ci si può immergere senza avvertire escursione termica, alte palme e spiaggia finissima completano l’incanto.
Proseguendo verso la Pinte des Chateaux si trovano altre spiagge, ma nessuna bella come quella di St. Anne, accoglienti villaggi tropicali ed un paesaggio che si fa sempre più secco, quasi arido. L’estremità dell’isola è un luogo di estrema suggestione. In una piccola ansa selvaggia si affrontano quotidianamente onde e venti dell’oceano; sabbia bianca e granulosa, mare e cielo di un blu intenso inviterebbero ad una balneazione che però suggeriamo solo ai più esperti ed avventurosi. Risalendo verso nord si trova Le Moule, con le sue belle spiagge riparate dalla barriera, e la cittadina di Morne-a-l’Eau celebre per il suggestivo cimitero.
Il culto dei defunti, particolarmente sentito in tutta l’isola, si manifesta con delle strutture cimiteriali particolarissime: una sorta di città nella città, centinaia di costruzioni rivestite di piastrelle bianche e nere che una volta all’anno, durante la celebrazione dei defunti, vengono illuminate da un numero infinito d icandele e lumini. I nomi, le iscrizioni,questa curiosa architettura, creano nel visitatore un sentimento di profondo e rispettoso raccoglimento. Risalendo ancora verso nord si incontrano gli straordinari paesaggi naturali di Lagun de la Porte de l’Enfer: un braccio d’acqua marina blu cobalto che si infila tra due ripide pareti di roccia. Ancora un piccolo tratto di strada e si giunge alla Pointe de la Grande Vigie; da ottanta metri di altezza sul livello del mare si gode un paesaggio grandioso dove le rocce, gli strapiombi e la policromia delle acque marine si esibiscono nel silenzio, nel vento, nel sole.
Tornando verso Pointe-a-Pitre dalla costa settentrionale vale una sosta Port Luis, un delizioso borgo di pescatori dalle caratteristiche case in legno dove il tempo sembra essersi fermato. Procedendo verso il ponte che separa le due isole il panorama sull’oceano cambia nuovamente offrendo la prospettiva del Grand Cul de Sac Marin: acquitrini salmastri, paludi, foreste d’acqua e mangrovie creano un’altra suggestione, un’ulteriore curiosa prospettiva ambientale.
La Basse Terre
Basse Terre è circondata da un’ottima statale costiera che si può imboccare a nord procedendo verso Ste. Rose in una cornice ancora dominata dal paesaggio marino palustre. Quando si supera il capo settentrionale dell’isola per piegare verso Deshaies si viene accolti da alcune tra le più belle spiagge dell’arcipelago e forse di tutti i Caraibi: Plage de Clugny, Anse de la Perle e, soprattutto, la Grand Anse. Quest’ultima presenta una striscia di sabbia bianca di circa otto chilometri incorniciata da una superba foresta di palme; lo strepitoso paesaggio naturale sembra veramente non aver subito ritocchi dal giorno della creazione. Scendendo verso sud troviamo il coloratissimo borgo di Pointe Noire e la riserva sottomarina dell’Ile du Pigeon. Questo straordinario parco sommerso, che si deve all’intraprendenza organizzativa del capitano Cousteau, consente l’esplorazione dei fondali con immersioni libere, guidate o semplicemente utilizzando barche col fondo di vetro. Arrivati a questo punto si può decidere se proseguire direttamente verso sud, continuando a costeggiare l’isola, oppure se deviare verso sinistra attraversando il Parc National de la Guadeloupe. Quest’ultimo percorso prende il nome di Route de la Traverseé e permette una completa immersione in un paesaggio naturale di rara bellezza. La lussureggiante foresta pluviale si chiude sulla striscia d’asfalto come una galleria, si apre all’improvviso offrendo squarci su vallate verde smeraldo, si colora con migliaia di fiori tropicali incantando il visitatore ad ogni curva. Dopo pochi chilometri si valica il Col des Deux Mamelles, se la fitta nuvolosità che spesso copre le alture lo consente si può godere di un completo panorama sull’arcipelago. Suggeriamo una piacevole sosta al ristorante Gites Des Mamaelles (tel. 261.675, chiuso nelle serate di domenica e lunedì): atmosfera calda ed accogliente, ottima cucina creola, paesaggio dalla curiosa commistione montano-tropicale. Proseguendo si giunge alla Maison de la Forest, base di partenza per tre piacevolissime escursioni nel cuore del parco; i sentieri sono ben indicati, le piante di maggiore interesse dispongono di cartellini segnaletici, la passeggiata può durare venti minuti o più di un’ora assecondando tempi e desideri del visitatore. Ancora pochi chilometri e si giunge alla Cascade aux Ecrevisses, il balzo delle acque copie un dislivello modesto ma l’aspetto scenografico del luogo è di struggente bellezza; ci si può tuffare senza pericolo godendosi il piacere di una nuotata sotto il getto spumeggiante. La Route de la Traverseé conclude la sua corsa sul lato orientale di Basse Terre all’altezza di Petit-Bourg; per completare il perimetro completo dell’isola si può scendere verso sud per poi risalire la costa occidentale. Punto di partenza ideale per questo itinerario è il Parc Floral De La Guadeloupe- Domaine De Valombreuse. Creato nel 1990, a 200 metri di altitudine in uno scenario naturale tra i più belli dell’arcipelago, il parco consente di ammirare lo spettacolare flora caraibica ed alcuni aspetti della fauna locale. La mano dell’uomo si è mossa con estrema discrezione limitandosi ad assecondare, e a rendere fruibile, un patrimonio che comprende 300 specie, e oltre 200 sottospecie, di fiori e piante; i visitatori più attenti non avranno difficoltà a scorgere i colibrì o ad osservare le evoluzioni dei numerosi granchi di terra. Il parco vanta una superficie di quattro ettari e mezzo e propone anche un ottimo ristorante: Le Pipirite (tel. 955.050, aperto tutti i giorni a pranzo e la sera solo su prenotazione), dove si può gustare una cucina creola gustosa e genuina con un ottimo rapporto tra prezzo e qualità. Proseguendo verso sud la strada che costeggia l’isola ci porta a Ste. Marie, dove un monumento ricorda il luogo dello sbarco di Cristoforo Colombo, e a Capesterre-Belle-Eau; a questo punto si svolta a sinistra verso il vulcano Soufriere. La zona presenta almeno tre escursioni: di notevole interesse l’ascensione alle pendici del vulcano, il percorso che si snoda tra i grandi stagni di montagna e la passeggiata che porta alle cascate di Corbet. La scalata, semplice e suggestiva, si compie in 4/5 ore attraverso un paesaggio che alterna il verde dei tropici all’arido frutto delle eruzioni; con un percorso di 6 chilometri, anche in questo caso le ore di marcia sono 4 o 5, si possono esplorare gli affascinanti e malinconici stagni situati ai piedi dei Monti Caraibi. Le cascate del Grand Corbet, che impressionarono anche Cristoforo Colombo, sono le più alte delle Piccole Antille e si raggiungono attraverso un’ora di passeggiata nella foresta pluviale. L’impressionante getto presenta tre balzi, l’ultimo dei quali, di ben 110 metri, va a tuffarsi in maniera spettacolare in un piccolo stagno ribollente di acque spumeggianti. Per raggiungere le pendici della Soufriere si attraversano ampie vallate ricoperte di banane e si può sostare con piacere nei numerosi ristorantini che costeggiano la strada. I migliori sono i più semplici; propongono spesso la sola frutta accompagnata da qualche bevanda, musica reggae e tanta cordialità. Riprendendo la strada principale che costeggia Basse-Terre, e continuando a scendere verso il vertice meridionale dell’isola, si arriva al Parco Archeologico Des Roches Gravées: un ettaro circa di vegetazione rigogliosa, situata in un bastione naturale a picco sul mare, raccoglie le più significative testimonianze della civiltà precolombiana degli Arawaks. Grandi lastre di pietra scolpite, risalenti al 300 e al 400 A.C., ricordando la presenza dei primi abitanti dell’arcipelago in una cornice naturale che depone a favore del loro buon gusto nelle scelte. Doppiato la punta di Vieux Fort si può risalire l’isola dal lato Occidentale e raggiungere la città di Basse Terre, capoluogo amministrativo dell’arcipelago e vivace centro dall’aspetto coloniale. Da non perdere le curiose opere pubbliche, palazzo di giustizia e prefettura in testa, dell’architetto tunisino Ali Tur. Lasciandoci alle spalle vulcano e verdi vallate si può completare il periplo di Basse Terre visitando i piccoli e vivaci centri di Vieux Habitants e Bouillante.
Rhum, sapori di mare e ritmi africani
Quando, a due passi dalla spiaggia di St. Anne, Charly Abraham inizia a far rullare il suo tamburo, spiegando una voce che sa di Africa e di mare, ha inizio un rito, prende corpo una magia. E’ il Gwo-ka, una miscela di ritmi e suoni che affonda le radici nella più profonda anima africana dell’arcipelago.
La cucina locale è tra le più interessanti e gustose dei Caraibi: mescola ai classici sapori delle Antille influenze indiane, africane e francesi. Il piatto nazionale è il Colombo, si tratta di uno stufato al curry che può essere realizzato con carne di pollo, maiale o agnello. L’accras, una frittellina a base di cipolle, spezie ed erbette, è indubbiamente l’antipasto più diffuso. Sono ottimi anche i “boudin créole”: piccoli sanguinacci speziatissimi e decisamente piccanti. Naturalmente è ricca l’offerta di pesce e molluschi e in questo caso la cucina creola presenta cotture semplici, spesso alla griglia e condimenti speziati. Da non perdere i lambis, grandi conchiglie, e le celebri aragoste dell’arcipelago.
Nelle zone dove impera la foresta pluviale si possono provare gli ouassous, gustosissimi gamberoni d’acqua dolce. In tutto l’arcipelago è quasi impossibile non notare la presenza dei numerosissimi granchi che, naturalmente, costituiscono un piatto forte della gastronomia locale. Sono particolarmente appetitosi quelli di terra, notevoli nelle dimensioni e dalla polpa prelibata. Un discorso a parte merita la frutta, deliziosa come in ogni terra baciata dai Tropici: avocado, ananas, mango, goyave, pomme-cannelle e, naturalmente, le imperdibili banane di piccolo formato possono arricchire, o addirittura sostituire, ogni pasto.
Partire da Guadalupe senza aver conosciuto lo strepitoso rhum locale è un peccato che non merita remissione. Il prezioso frutto della fermentazione della canna da zucchero era originariamente la bevanda degli schiavi africani e si chiamava guildive o tafia. Oggetto di commercio con i principali stati europei, il rhum vanta una storia che è quella della Guadalupe stessa; amato da corsari e bucanieri, bevanda nazionale per generazioni di creoli, è ancora oggi il prodotto simbolo di tutte le Antille. Ne esistono due varianti: il rhum industriale, ottenuto dal succo della canna dopo l’estrazione dello zucchero, che è il più diffuso al mondo pur essendo considerato dai locali un prodotto di seconda scelta, ed il celeberrimo rhum agricolo. Quest’ultimo si ottiene direttamente dalla distillazione del succo di canna fermentato e si trova in commercio “bianco” oppure invecchiato. Il rhum bianco si può bere liscio, ma con tutti i suoi 55° è tutt’altro che uno scherzo, meglio utilizzarlo per un’infinita serie di cocktail.
Con l’aggiunta di sciroppo di canna, succo di frutta o una scorza di limone, serve per realizzare il Ti-Punch, l’aperitivo più amato dell’arcipelago.
La natura incombente, con tutti i suoi prodotti, ha finito per condizionare gli abitanti delle isole nella realizzazione delle proprie case. Se escludiamo i centri maggiori, e quelli con una più densa concentrazione turistica, non abbiamo difficoltà ad individuare numerose abitazioni in legno circondate dai tradizionali “jardin créole”. Si tratta di semplici dimore aperte sui lati, per consentire alle famiglie di godere della frescura degli alisei, e circondate da piante, fiori e alberi che costituiscono un sistema ecologico perfetto. In questo piccolo universo, popolato anche da granchi ed animali da cortile, troviamo piante commestibili ed officinali, talune coltivate altre assolutamente autoctone. Il “jardin créole” assicura alla famiglia l’autosufficienza, costante contatto con la natura, ed un’alimentazione adeguatamente variata.
La Guadalupe vanta anche una tradizione musicale di prim’ordine. I Gwo-ka rappresentano le più ancestrali radici africane, la quadrille, con violini e fisarmoniche, richiama l’epopea dei filibustieri baschi, e la Biguine, con le sue danze ondeggianti, rimanda agli anni sessanta. Ma oggi i ritmi alla moda, spruzzati di disco e ragamuffin, impongono lo zouk. E’ il fascino dell’incrocio e della contaminazione; nella musica, come nella storia, la carta vincente di queste isole.