La nuova stagione del Silvano Toti Globe Theatre si è aperta con brio e all’insegna di un’interpretazione originale e ironica della poetica shakespeariana, il 22 giugno scorso, con lo spettacolo “Troppu trafficu ppi nenti”, un godibilissimo adattamento in cui lo scrittore Andrea Camilleri e il regista Giuseppe Dipasquale si sono divertiti a immaginare per il Bardo inglese un’ascendenza tutt’altro che albionica. La pièce, in coproduzione con Teatro della Città di Catania, andrà in scena fino al 2 luglio al Globe Theatre, l’unico teatro elisabettiano d’Italia, nato nel 2003 grazie all’intervento congiunto dell’Amministrazione Capitolina e della Fondazione Silvano Toti per una illuminata intuizione di Gigi Proietti, che ne cura la direzione artistica.
Nello spettacolo portato in scena da Dipasquale, che vede all’opera un gruppo di attori ben collaudato e in grado di garantire una performance convincente e trascinante, la famosa commedia “Molto rumore per nulla” viene trasformata in un archetipo attribuito al palermitano Michelangelo Florio Crollalanza (o Scuotilancia, che dir si voglia), che altri non sarebbe se non l’identità reale dell’immortale William Shakespeare (Scuotilancia o Scrollalanza, appunto). “Questo è un progetto fortunato e antico – racconta il regista Giuseppe Dipasquale – perché nasce nel 2000 da una sorta di scherzo che io e Andrea Camilleri abbiamo voluto fare ai danni di chi credeva che Shakespeare fosse siciliano e non inglese. Un tale Martino Iuvara aveva fatto circolare una teoria secondo la quale il Bardo era un quacchero palermitano, un autore drammatico scappato da Palermo per debiti. Per questo io e Camilleri abbiamo deciso di prendere “Molto rumore per nulla”, traducendolo in dialetto siciliano, adattandolo fino a renderlo un archetipo dell’originale e attribuendolo a Michelangelo Florio Crollalanza, il presunto Shakespeare siciliano appunto. Lo scherzo è pienamente riuscito, tanto che dopo 17 anni lo spettacolo vive ancora una vita ricchissima sui palcoscenici nazionali e internazionali. L’operazione artistica dietro al progetto ha divertito moltissimo me e Camilleri: il testo, dal punto di vista linguistico, è un esperimento di traduzione non in un siciliano corrente, ma in un siciliano colto e tuttavia comprensibile. Infatti, pur usando un tesoro lessicale antico di termini dialettali ormai dimenticati, questo tipo di linguaggio articolato non va ad inficiare la comprensione globale del testo messo in scena”.
E in effetti, il pubblico romano sta apprezzando la rappresentazione, premiandola con scrosci di applausi e standing ovation alla fine di ogni recita. “Tanti pubblici diversi hanno assistito a questo spettacolo, compreso quello del Globe – continua Dipasquale – dove torniamo per la terza volta grazie alla generosità di Gigi Proietti, che ci ha voluto nuovamente per inaugurare la stagione. Il pubblico sta al gioco, ride, applaude e questo entusiasmo si è scatenato addirittura in Polonia, quando, qualche anno fa, abbiamo partecipato, vincendo, al Festival Internazionale Shakespeariano di Danzica: il pubblico polacco rideva esattamente negli stessi momenti in cui rideva il pubblico italiano. I limiti linguistici sono stati assolutamente superati e questo secondo me dipende da due fattori fondamentali: Shakespeare innanzitutto dimostra ancora una volta di essere un autore universale e forte al di là di qualsiasi riadattamento e poi, in secondo luogo, la lingua del teatro non è quella letteraria, vale a dire che la parola recitata determina un’immediatezza di comprensione che probabilmente non avrebbe la parola semplicemente scritta”.
La messa in scena di “Troppu trafficu ppi nenti” è coincisa quest’anno anche con un anniversario molto importante per l’universo teatrale: il 28 giugno infatti si sono celebrati i 150 anni dalla nascita del drammaturgo siciliano Luigi Pirandello. “Luigi Pirandello mi tocca particolarmente, non solo perché è siciliano e perché ho avuto modo di mettere in scena alcune delle sue opere – ha tenuto a sottolineare il regista Dipasquale. “La cosa curiosa è che con lui posso vantare quasi una sorta di discendenza parentale: Luigi Pirandello infatti era prozio di Andrea Camilleri, che per me è come un vero padre artistico, il nostro rapporto è ormai trentennale. Camilleri racconta di aver incontrato Pirandello a 11 anni: abbigliato con la divisa da accademico d’Italia, aveva bussato alla porta della sua casa e aveva chiesto al piccolo Andrea, che addirittura lo aveva scambiato per un ammiraglio, di chiamare sua nonna, per salutarla. A parte questo gustoso aneddoto, è doveroso ricordare che Luigi Pirandello ha rappresentato e rappresenta il teatro del Novecento, sia per la rivoluzione drammaturgica che compie al suo interno, sia perché il teatro moderno si era un po’ arenato alla fine del Settecento e non riusciva più a dare una spinta innovativa, invece Pirandello, agli inizi del Novecento, rimette tutto in moto, ridefinendo persino le stesse modalità creative della macchina teatrale, interpretando meglio di chiunque altro la crisi di identità del Novecento. Per questo ancora ggi Pirandello resta uno degli autori e dei capisaldi della drammaturgia mondiale”.