Ken Loach con il suo ultimo film “Io, Daniel Blake”, mostra gli effetti devastanti della politica economica asservita al denaro e ai potenti, sulla pelle di un operaio cardiopatico trattato come un reietto. Uno dei tanti finiti nel tritacarne, che nonostante le angherie di un sistema malato cerca con tutto il suo essere di non perdere la dignità.
“Io sono Daniel Blake e non sono un cane, ma un essere umano!”. “Io sono Daniel Blake, sono malato di cuore e non so usare i computer, ma solo la matita per compilare il mio curriculum vitae”. “Io sono Daniel Blake e voglio rimanere tale e non perdere la dignità!”. Bastano queste frasi per comprendere il senso dell’ultimo film di Ken Loach. Forse, ed è il caso di dirlo, uno dei migliori della sua carriera. IO SONO DANIEL BLAKE, tutto in maiuscolo per sottolineare l’indentità individuale, è un film volutamente di sinistra, vero, duro, solido, che racconta di un carpentiere sessantenne malato di cuore che in un job center incontra una mamma single, disoccupata e con tre figli a carico. Volti dei nuovi “morti di fame”, soggiogati dalla crisi economica e scriteriate scelte politiche che di sociale non hanno nulla.
Giunto a Roma per presentare il lavoro vincitore della Palma d’Oro all’ultimo festival di Cannes, il regista britannico, sempre contro l’establishment e sempre con i più poveri, gli esclusi, gli abietti, parla a ruota libera del quotidiano del suo paese dove la divisione tra ricchi e poveri è sempre più netta. E non si fa nessuna remora nel rigirare il dito nella piaga mostrando un problema non solo inglese, ma globalmente europeo. I tagli alle spese sociali sono una mannaia per i moltissimi cittadini che faticano ad arrivare a fine mese, ma soprattutto una dimostrazione della crudeltà delle regole statali e di come vengono applicate. Ken Loach “il rosso” è ancora fuori dal coro. Ed è un bene perché il suo è un cinema ribelle, libero, indipendente, o proprio come asserisce lui stesso, “agitatore”.
Oggi la parola cittadino è diventata vacua e quasi insultante. Ma per lei, come si vede nel film, è un diritto da difendere a tutti in costi…
E’ vero, dobbiamo riappropriarci del termine “cittadino”. Tutti i paesi europei cercano di non schierarsi per gli interessi delle persone, ma per quelli del capitale. Che sono, poi, quelli di rendere i lavoratori vulnerabili, in modo che se si troveranno in condizioni di povertà, la colpa non sarà imputabile nient’altro che a loro stessi. Così se non hai un lavoro, è perché non hai saputo redigere il tuo curriculum in modo adeguato, o perchè sei arrivato con un minuto di ritardo all’appuntamento , e via dicendo. Ma la realtà è che trovare un impiego è sempre più difficile e i pochi posti di lavoro che ci sono non consentono di avere un salario adeguato e, di conseguenza, di avere una vita dignitosa. Quindi il precariato è diventata un’ inestimabile fonte di forza di lavoro per le grandi imprese, un rubinetto da aprire e chiudere al bisogno: un vero disastro per la classe operaia.
Qualcuno ha paragonato il suo film a quelli di De Sica. Ma in “Ladri di Biciclette”, ad esempio, non c’era la solidarietà operaia. Mentre nel suo è ben espressa…
È un punto di vista molto importante: in qualsiasi comunità i lavoratori si sostengono tra loro. Noi abbiamo campagne per i senza tetto, per i disabili, per allargare l’accesso alle cure pubbliche, per gli anziani, per le scuole: segni di solidarietà ovunque. In realtà siamo giunti alla triste consapevolezza che per vivere abbiamo bisogno di questa precarietà. Ma forse qualcosa nel mio paese sta cambiando, da quando il partito socialdemocratico è riuscito ad eleggere Jeremy Corbyn, un rappresentante che fino all’ultimo pareva non avere speranza. La sua vuol essere una politica protesa a finanziare progetti pubblici che diano lavoro e che portino il Paese verso la piena occupazione.
Daniel Blake si scontra con la burocrazia. Secondo lei è usata come arma da offesa?
Il governo sa perfettamente quello che fa. Tutti i governi lo sanno. La complessità è architettata ad hoc nei confronti dei più deboli nell’intrappolarli nelle maglie della burocrazia. Il ragionamento del governo è così perverso che le persone che lavorano negli uffici di avvio delle pratiche per il rilascio dei documenti, hanno indicazioni precise circa il numero di sanzioni che devono applicare ogni settimana, rischiando di essere puniti se non raggiungeranno il numero di sanzioni prefissate. Dunque è una decisione più che consapevole quella del governo, di punire le fasce più vulnerabili della società.
Il suo film fa più effetto di un documentario...
È in parte voluto. Nelle sequenze girate all’interno dei Jobs Center, ad esempio, tutti quelli che siedono dietro una scrivania, ad eccezione di qualcuno, sono ex dipendenti che si sono licenziati perché non sopportavano la crudeltà di trattamento che veniva chiesta loro nei confronti di chi necessitava di aiuto. E mentre giravamo il film ci raccontavano di situazioni analoghe a quelle che stavamo riprendendo.
Ma secondo lei a cosa è dovuta la crisi economica in Europa?
L’Unione Europea è un’ entità economica non a favore dei lavoratori e come tale è asservita alle grandi aziende che, a loro volta, dettano direttive a favore della privatizzazione contro gli interessi interni e i progetti pubblici. E questo porta ad un rapporto ostile con la sinistra. Così chi era contrario alla Brexit, lo faceva per stabilire delle alleanze con la sinistra e non certo per promuovere delle idee politiche di apertura verso il mercato comune.
Secondo lei quali sono i mali prodotti dalla disoccupazione in Europa?
La disoccupazione in Europa è in aumento perché oltre a non esserci posti di lavoro per tutti, esiste anche il problema della manodopera a basso costo utilizzata dai grandi marchi nei paesi in via di sviluppo, dove i lavoratori vengono pagati pochissimo. Questa è una buona notizia per le aziende, ma è pessima per chi lavora in Europa. Servirebbe una migliore pianificazione dell’economia. Non ho una risposta migliore. Non riusciamo a garantire la pace nel mondo, figuriamoci a garantire i diritti dei lavoratori in un mondo sempre più globalizzato.
Cosa dovrebbero fare i governi per fronteggiare questa emergenza?
Dovremmo iniziare a pianificare i diritti dei lavoratori europei, anche perché la politica attuale è metterli in conflitto gli uni con gli altri, così da creare caos e instabilità. Penso che i governi dovrebbero lavorare assieme per stilare una carta che tuteli e permetta alle classi operaie un lavoro e una vita dignitosa senza se e senza ma. Altrimenti verrebbe a crearsi ancora di più la spaccatura tra i governi e lavoratori: un gioco a chi si svende di più. Se i rapporti commerciali fossero più equi con molta probabilità il tasso di disoccupazione, almeno qui in Europa, diminuirebbe.
Da poco l’Inghilterra ha votato per uscire dall’Unione Europea. Quali sono attualmente gli effetti della Brexit?
Al momento c’è l’esito del voto, ma non abbiamo ancora lasciato l’Unione Europea. E quindi c’è una sorta di guerra basata sul nulla, dove tutti si aspettano qualcosa, ma per il momento non sono ancora visibili gli effetti del referendum. Abbiamo assistito alla perdita del valore della sterlina, quindi più esportazioni a prezzi convenienti, e si prevede un rallentamento dell’economia e un peggioramento della situazione economica in quanto molte imprese decideranno di lasciare la Gran Bretagna per altri paesi europei. Inoltre prevedo anche dei drastici tagli ai salari, ovvero un ulteriore peggioramento delle condizioni delle classi medie.
Cosa avrebbe votato Daniel Blake?
La maggior parte dei voti sono arrivati dalle fasce medie di orientamento Tory e da varie sfumature di destra. Ma è anche vero che molti voti sono arrivati dalle classi operaie per protesta, in quanto nessuno si interessa più di loro. Parliamo di aree in cui molte aziende hanno chiuso e in cui la manodopera specializzata non trova più impiego, insomma, dove sono molto diffuse storie come quella del film. In sostanza queste persone si sentono isolate, trascurate e non rappresentate. E questa sarà, nel futuro, la grande sfida per i progressisti: far reinteressare il governo alle classi più basse, quindi attirarle ad un nuovo progetto politico.
Lei è forse l’unico che ancora riesce a realizzare film militanti. Dato che è sempre più difficile dare forma ad opere come questa, lei vede all’orizzonte un suo possibile erede?
Una cosa che ho imparato è che non c’è mai carenza di talenti. Incontro molti giovani cineasti che hanno buone idee e vogliono esprimerle con lavori propri, ma, naturalmente, si scontrano con le decisioni delle produzioni che vorrebbero realizzare film più leggeri, dal momento che i film che rispecchiano una determinata visione del mondo danno sempre fastidio e spesso vengono definiti “pericolosi”.
Non pensa che nonostante lei cavalchi sempre la tigre del momento, il suo sia un cinema “antico”, di rottura?
In effetti mi sento molto antico. Ma credo che dipenda dal modo di vestire… (ride). Ma adesso mi sento meno antiquato di quando avevo 50 anni, perché il nuovo movimento di sinistra in Gran Bretagna è pieno di giovani e questa ondata di rinnovamento a sinistra è guidata dai socialmedia. Io sto per accendere il mio telefonino, quindi so di far parte delle persone “giuste”.
Lei è si è sempre schierato dalla parte dei deboli, come nasce la sua militanza nel cinema impegnato?
Ho imparato a fare film lavorando per la televisione. A quei tempi la classe dirigente era molto sicura di sè e quindi ci lasciava la libertà di essere un po’ sovversivi, mentre oggi si sente minacciata, insicura e di conseguenza ha ristretto le regole ed è sempre più raro trovare qualcuno disposto a finanziare questo tipo di cinema.
Quindi sarà sempre più difficile uscire dalla crisi e trovare un lavoro?
La realtà è che per non so quale formula “magica” è molto difficile trovare un impiego dopo i 50 anni. Accade in Inghilterra e probabilmente accade anche in Italia. É come se dopo quell’età uno sia ritenuto inabile a qualsiasi lavoro. E anche se sei un operaio specializzato, l’unica cosa che al limite si può trovare è fare le pulizie o lavorare in un supermercato in quanto è uso comune pensare che a quell’età si è più gentili con i clienti. Ma è chiaro che invece si tiene a freno la rabbia per non cadere nel baratro della disoccupazione.
Lei ha vinto due Palme d’Oro. Secondo lei i premi sono importanti per dialogare con il pubblico?
I premi sono importantissimi. La Palma a “Il Vento che accarezza l’erba” ha diffuso l’idea del colonialismo apportato ai danni dell’Irlanda. Era una cosa nota a tutti, però il film ha fatto infuriare l’establishment. Con Daniel Blake, il governo britannico ne è uscito piccato, perché non ha potuto chiudere gli occhi sulla realtà narrata del film. E questo è ciò che mi spinge a fare cinema, perché dalla rabbia nascono sempre cose migliori, un concetto che vorrei non venisse mai dimenticato.
Roberto Leggio