“Viva sua paixão” : lo slogan lanciato per promuovere la candidatura di Rio de Janeiro come sede delle Olimpiadi invitava sportivi e appassionati di tutto il mondo a condividere la passione brasiliana per lo sport. Oggi, con l’inizio della manifestazione alle porte, i brasiliani rimettono tutto in discussione.
La torcia olimpica è giunta in Brasile lo scorso 3 maggio. Nonostante si tratti di un evento eccezionale per il paese, e per l’America Latina più in generale, le notizie riguardanti l’evento sono state soffocate, avvolte dal fumo. La fiamma che, in molte culture, evoca la luce, è arrivata in un momento buio per il paese, tra golpe politici, epidemie virali e malcontento popolare.
Si parla molto di politica – anche se la retorica brasiliana dell’ultimo periodo ha lasciato ben più
di qualche sofista scandalizzato – senza tralasciare che ogni discorso è accompagnato da un qualche tipo di ideologia. Lei, l’ideologia, a volte si palesa vanitosa come un pavone con la coda in mostra, altre timorosa come un passerotto nel suo nido.
Diciamo che la media brasiliana è costituita da pavoni che cercano di spacciarsi per passerotti. Pavoni che ipnotizzano con la bellezza multicolore delle loro piume tentacolari, intrappolando i loro spettatori in una grande illusione. Ma pur sempre un’illusione.
Le piume del pavone, in realtà, sono nere, ma la luce che colpendole genera un’intrigante iridescenza, un grande carnevale, una manipolazione dello sguardo.
Mi ripeto, la media brasiliana è costituita da pavoni che ingannano gli occhi e distruggono le menti, ricostruendole o costruendole per il medesimo scopo, quello di garantire la propria sopravvivenza.
È così che funziona la catena alimentare. L’uso della luce è ben fatto e il golpe è effettivo, fa centro chiunque riesca a mettere in ginocchio qualcun altro.
E siamo messi in ginocchio anche dalla Zika, la Dengue e non dimentichiamo la Chikungunya, queste sono le vere mascotte microcefale di queste Olimpiadi! Le false mascotte, che per qualche ragione sono quelle ufficiali, si chiamano Tom e Vinicius, un omaggio ai grandi poeti che hanno rafforzato l’immagine e il mito del Brasile degli amori tropicali in riva al mare.
Il Brasile, invece, è guerra, lo è sempre stato.
E il brasiliano tace nell’oscurità. Non parlo del carioca abbronzato e sorridente o l’uomo d’affari incravattato di São Paulo, ma mi riferisco al brasiliano che non è raccontato nei romanzi: il brasiliano senza nome.
Il senza nome della favela che viene massacrato dalla polizia, gli indigeni senza nome che sono ignorati e oggetto di violenza e la donna senza nome ferita da una società conservatrice, patriarcale e tutt’altro che solidale, la stessa che ancora elegge governanti fascisti ricolmi di feticci dittatoriali.
La fiamma accesa in Grecia, culla della democrazia, è in perdita. Passa attraverso tutto il territorio continentale di questo paese, ma la sua luce non dura. È coperta dalla densa cortina di fumo che aleggia sulla Terra Brasilis fin dalla sua scoperta. Fin dallo stupro di questa terra. Violenza che non conosce fine.
Il rituale della staffetta della torcia olimpica riunice in maniera allegorica tutte le etnie che formano il calderone brasiliano e si rivitalizza grazie all’immagine di un paese che include, in questo momento di ribalta internazionale, tutti i dimenticati e gli emarginati dal suo stesso sistema corrotto.
Alcuni, secondo me gli onesti, si rifiutano di venire a patti con l’assurdo, altri lo accettano in cambio di pochi secondi di fama o per un nazionalismo privo di qualsiasi ragione, poi ci sono gli innocenti.
Tra loro una bambina siriana di dodici anni che tiene la torcia con tutto l’impegno e l’orgoglio del mondo e dice contenta ai giornalisti: “E’ stato un momento davvero speciale. Mi sento brasiliana”.
Nel vedere quel visino che risplendeva di dignità ho pensato quanto noi brasiliani siamo esposti quotidianamente a tutte le sfumature delle emozioni che v
anno da un estremo all’altro in modo così improvviso e rapido: il grande privilegio di amare e odiare un paese caratterizzato dal sottosviluppo.
Non sono a favore dei Giochi Olimpici di Rio de Janeiro, non sono a favore dei miliardi spesi, non sono a favore delle allegorie e di tutto il “patto olimpico”. Me ne vergogno.
Ma, per un momento, mi è sembrato che tutto questo valesse la pena per quell’unico istante in cui Hanan Daqqah, stringendo la torcia olimpica, si è sentita felice.
Marco Notaroberto