Viaggio all’interno della «Generazione Z»
Passano tutto il giorno con lo sguardo abbassato sullo smartphone, tanto che più di Generazione Z occorrerebbe ribattezzarli Look-down generation. Al di là del nome, gli ormai ex nativi digitali hanno attirato l’attenzione dei sociologi, che ne hanno delineato le caratteristiche comuni:
hanno avuto un IPhone tra i primi giocattoli, un precoce accesso a internet e ora comunicano tramite post, tweet, messaggi vocali e video Vine di pochi secondi. I nati tra il 1996 e il 2010, perché questo è il target anagrafico di riferimento, non sono però degli sprovveduti. Fanno sesso sicuro, si astengono da alcolismo, tabagismo e sognano di andare all’università. Hanno il potere di trasformarsi in early adopter, una forma di nuovo compratore compulsivo che vuole a qualunque costo il nuovo prodotto della Apple, anche se dopo appena tre mesi costerà la metà. Un’abitudine che ha inciso parecchio sul mestiere del pubblicitario, costretto a usare non più di cinque parole per attirarne la bassissima attenzione. Nata e cresciuta nell’era post Undici Settembre e priva di quell’illusione di benessere degli anni Novanta, in meno di vent’anni la Gen Z ha vissuto due crisi economiche, ricavandone una buona dose di cinismo. Secondo il New York Times, la Generazione Z persegue ambizioni più concrete, che si tramutano nella scelta di facoltà giuridiche, sanitarie o di attività imprenditoriali. Non sognano di cambiare il sistema attraverso i loro ideali, ma di scalarlo dal di dentro, pianificando passo dopo passo il loro percorso.
Stiamo quindi crescendo una generazione di cyborg? No, almeno per il momento. Secondo alcuni studiosi, il 60% degli Zeta vuole un lavoro dall’impatto ambientale positivo e il 27% è già impegnato in attività di volontariato. Il modello a cui si ispirano è il nerd, come i protagonisti della sitcom “Big bang theory”. Facebook? Nel 2014 il 25% dei ragazzi dai 13 ai 17 anni lo ha lasciato. Instagram? Potrebbe compromettere il futuro avanzamento di carriera. Perché se c’è una cosa su cui gli Gen Z non transigono è la privacy, un bisogno colmato dai produttori di app come Secret, Whisper, Snapchat. E sono terrorizzati dalla geolocalizzazione. Sul piano etnico, gli Zeta rappresentano il frutto delle migrazioni che hanno rivoluzionato l’Occidente, sia culturalmente che demograficamente. Molto più emancipati, non arrossiscono né storcono il naso in materia di unioni civili, omosessualità e transessualità, un cambio di rotta che ha influenzato anche i modi di vestire. Jaden, figlio dell’attore Will Smith, alla festa della scuola si è presentato con una gonna, come a denunciare la strettezza degli stereotipi di genere. Paghette da capogiro, omogeneizzati macrobiotici, giocattoli approvati dalla comunità europea sono stati gli strumenti con cui sono stati cresciuti. Loro sono gli Zeta, ma già sentono la concorrenza della Generazione Alpha, i nati e i nascituri che nel 2025 sfioreranno i 2 miliardi.
E, non è necessario dirlo, sono già diventati oggetto di studio da parte delle grandi industrie. Costituendo (solo?) il 25,9% della popolazione americana, la Generazione Z attrae sia per i numeri che per le paghette, che oscillano attorno a una media dei 16,9 dollari a settimana per un totale complessivo di 44 miliardi di dollari l’anno.
Il mercato in cui viene speso questo patrimonio è perlopiù online: i grandi centri commerciali sono stati sostituiti dai più comodi siti di E-commerce come e-Bay e Amazon, a portata di click. Cellulare, computer fisso, portatile, tablet assorbono più di tre ore del tempo libero del 41% degli Zeta, che sono sempre più iper-connessi con il mondo. Non solo. Hanno anche un potere di condizionamento sulle famiglie, che cercano di accontentare in tutto i loro figli: un aspetto che non è sfuggito agli addetti al marketing delle imprese, che producono messaggi pubblicitari sempre più accattivanti per espandere le possibilità di acquisto. Come accennato poco sopra, per questa generazione non è tutto rosa e fiori.
A dispetto della velocità sui devices, questi ragazzi dimostrano un minor senso di orientamento, non riescono ad affrontare a lungo una conversazione, si distraggono facilmente, hanno scarsa memoria e la paura più grande è il sentirsi esclusi dal loro gruppo di amici.
Mirko Giustini