Be’er Sheva, a pochi passi dal deserto del Negev, sarà il nuovo centro strategico per la difesa e la tecnologia dello Stato
Lo aveva promesso il 3 settembre di due anni fa, durante l’apertura dell’Advanced Technology Park della Ben Gurion University di Be’er Sheva, e Benjamin Netanyahu ha mantenuto l’impegno: con l’ausilio del comune, dell’università (istituita nel 1969, proprio all’interno di un progetto più ampio di riqualificazione del territorio) e il Kud International, un consorzio di investitori, perlopiù statunitensi e giapponesi, ha dato vita a uno dei più importanti centri di startup del Paese.
“Oggi lanciamo un’ancora economica che trasformerà Be’er Sheva in un centro nazionale e internazionale per la cibernetica e la cyber security – aveva detto in quell’occasione –. Questo giorno cambierà la storia dello Stato di Israele”.
Il premier israeliano trasformerà lo Stato in un polo di primo piano nel campo della cyber sicurezza, riuscendo a spostare l’investimento tecnologico a ridosso della zona desertica del Negev, occupata dagli uffici di società di sicurezza informatica e di comunicazione di alto livello.
La valorizzazione di queste terre è stata concepita per diversi motivi, uno di questi è di natura demografica: pur costituendo il 60% del territorio nazionale, il deserto ospita appena l’8% dei cittadini, ma quando l’operazione sarà conclusa, accoglierà anche i residenti in esubero dell’area costiera e delle zone intorno a Tel Aviv e Haifa e, in caso di accordi di pace, ad essi si aggiungeranno anche i futuri profughi, che oggi risiedono nella parte palestinese.
Dal punto di vista economico, la creazione di un parco tecnologico attrarrà investimenti da tutto il mondo, specialmente dalle multinazionali del settore e quelle impegnate nei campi della cyber sicurezza e delle nanotecnologie.
Queste sono al centro del piano di espansione scientifica dello Stato; la stessa Università di Be’er Sheva ha inaugurato importanti centri nella zona: suo anche l’Ilse Katz Institute for Nano-science and Technology (Iki), frutto dell’ambiziosa strategia di sviluppo in materia di nanotecnologie. Settore pubblico e privato uniranno le forze per rendere Be’er Sheva un polo d’eccellenza riconosciuto a livello globale, ospitando importanti centri nevralgici della sicurezza nazionale, tra cui basi e reparti militari, che verranno impiegati in un programma di sviluppo e uso dei prodotti delle ricerche.
Ad essere trasferiti nelle nuove strutture saranno circa trentamila militari, il milieu delle forze militari (Tsahal), suddivisi tra aviazione da combattimento, intelligence nazionale (Agaf Ha-Modi’in), Unit 8.200 (specializzata nel cyberwarfare, la penetrazione nei sistemi informatici) e il Center of Computing and Information Systems, con operazioni di dislocazione iniziate quest’anno e destinate a protrarsi per anni.
Il primo investitore straniero, convinto della buona riuscita del progetto, è Lockheed Martin, industria aerospaziale americana che, insieme alla Bynet Data Communications, ha costituito la LB Negev, per partecipare ad un progetto valutato 210 milioni di dollari, con il comune obiettivo di realizzare un nuovo quartier generale ultramoderno. La stessa Lockheed Martin aveva precedentemente annunciato l’intenzione di investire anche in un centro di ricerca nella cybersecurity, in collaborazione con la EMC, già proprietaria di due strutture analoghe a Herzliya e Be’er Sheva.
Ma non sono le sole realtà industriali interessate all’affare: anche Microsoft, Amazon, General Motors, General Electric, Cisco, Deutsche Telekom e PayPal vogliono essere della partita, con l’intenzione di creare proprie sedi all’interno del nuovo parco tecnologico.
Non mancano neanche i competitor locali, come la Elbit Systems, holding privata nel campo militare, che ha realizzato a Incubit un progetto per aggregare altre venti aziende interessate ai settori della homeland security e della cyberdefense, data di scadenza dicembre 2023.
Grazie alla multinazionale israeliana, le altre realtà imprenditoriali guadagneranno l’appoggio di un interlocutore privilegiato sui mercati d’oltreconfine, come Isreal Aerospace Industries, holding pubblica nell’ambito aerospaziale ed elettronico, proprietaria di un altro importante centro di ricerca a Singapore, tradizionale partner commerciale di Israele.
Il più che probabile coinvolgimento di altre imprese del settore contribuirà a intessere una preziosa rete di contatti , che graviteranno intorno a Be’er Sheva. Al governo israeliano spetterà la costruzione di infrastrutture e l’implementazione dei mezzi di trasporto per accogliere investitori, esercito e manodopera. Un ruolo determinante lo avranno le linee ferroviarie che, collegando lo stato con le sponde del Mar Rosso, contenderanno il primato del trasporto merci al Canale di Suez.
La realizzazione di uno scenario di questo tipo innalzerebbe il Negev a principale contendente dell’Egitto nelle transazioni mercantili tra Europa e Asia, incidendo perfino nei rapporti internazionali di Israele con i paesi dell’Estremo Oriente.
Il piano dell’industrializzazione della zona, tuttavia, non è scevro da potenziali rischi, a cominciare dai rapporti con le tribù di beduini che abitano la zona del Monte Sinai, ma le forze dell’ordine si dicono pronte a fronteggiare e prevenire attacchi terroristici ai danni delle operazioni.
Se il controllo dei facinorosi sarà adeguato, Be’er Sheva, con la sua ampia offerta di lavoro, diventerà, secondo la Advisors and Brandeis’ International School, una “città del domani”.
Mirko Giustini