Non ha mai ricevuto un Oscar, e ne va fiero. Parliamo di John Christopher Depp II, in arte Johnny, classe ’63, uno dei migliori attori viventi, che sin dall’inizio della sua carriera è riuscito a rendere credibili personaggi assurdi eppure memorabili, come Edward Mani di Forbice, il barbiere Sweeney Todd, il Cappellaio Matto, il pirata Jack Sparrow – per citarne solo alcuni. Di persona è davvero un bel tipo: disponibile a rispondere alle domande più strane che da sempre gli rivolge la stampa, pronto a scioccare con la sua simpatica disinvoltura (tra le dichiarazioni più famose: “Ho iniziato a fumare a 12 anni, ho perso la verginità a 13 e a 14 avevo già provato ogni tipo di droga. Non dico di essere stato un cattivo ragazzo, ero soltanto curioso”), deciso a non prendersi mai troppo sul serio. E forse è questo, il segreto per essere una vera star.
A questo punto della sua carriera, in base a cosa sceglie i copioni che le arrivano?
Devo avere la netta sensazione che il film sia vero e onesto. Per il resto ho costruito una carriera sui flop, e ne sono fiero. Tra piccolo e grande film per me non c’è alcuna differenza, mi piace troppo lavorare fuori dai percorsi tracciati. Ritengo ad esempio “Libertine” una delle più grandi chance della mia vita, eppure l’hanno visto in pochissimi. Temo che anche “The Rum Diary”, in uscita a fine ottobre negli Stati Uniti, faccia la stessa fine.
Come è riuscito a dar vita a personaggi memorabili, come Jack Sparrow?
Ho sviluppato Jack Sparrow come ogni altro personaggi interpretato prima o dopo, è sempre lo stesso lavoro, certo il livello di divertimento diventa incredibilmente più alto. E’ davvero difficile uscire da un ruolo così, serve una sorta di decompressione, perché in quella pelle mi ci trovo benissimo. Del resto è troppo divertente interpretare un personaggio del tutto irriverente, sovversivo e astratto in ogni circostanza. Poi se c’è una buona storia e un bravo regista va ancora meglio: se un personaggio viene bene e funziona, lo si deve all’entusiasmo e all’abilità di un intero gruppo di lavoro.
Le qualità di un vero pirata?
Essere ignorante quanto basta e persistente, avere una buona ciurma ed esser pronto a farti mettere alla porta.
Dopo il quarto capitolo della saga ne verrà un altro, e poi un altro ancora: lei crede alla forza dei sequel?
Qualsiasi ruolo se non hai la chance di svilupparlo si esaurisce, ed è sbagliato resuscitarlo per le motivazioni sbagliate, rischi di annoiare te e il pubblico. Ma quando riesci a trovare gli spunti giusti e creare qualcosa di nuovo, fresco e divertente, la gente finisce per amarlo ancora.
Il suo approccio ai personaggi è sempre molto personale, come ci lavora?
Mi piace essere coinvolto nello sviluppo creativo di un progetto, amo apportare sempre qualcosa di mio alla narrazione quando me lo concedono, anche perché un conto è la struttura di base della sceneggiatura, un altro tutto ciò che puoi fare e dare in più sul set. Hai tanti ingredienti diversi, devi prendere ispirazione da tutto quello che c’è.
Ecco, lei da cosa trae ispirazione?
Davvero da qualsiasi cosa, dentro e fuori dal mondo del cinema. Marlon Brando è stata un mio punto di riferimento fisso, ma per personaggi tipo Jack Sparrow mi sono rifatto più a Keith Richards, per dire.
I suoi figli in genere guardano i suoi film?
Ne hanno visti molti più di me, a dire il vero. A volte provo segretamente i personaggi facendo strane vocine a mia figlia mentre gioca a Barbie, per vedere se funzionano. E quando lei mi fa: “Ti prego papà smettila”, capisco di aver esagerato.
E con la critica che rapporto ha?
Mi fa paura. Molta (ride, ndR).
Ha lavorato varie volte con Penelope Cruz, cosa pensa di lei?
Mi piacerebbe rilavorarci ancora, condividere il set con lei è davvero un dono: ha un talento incredibile, è divertente come donna, fedele come amica, brillante come attrice.
Una curiosità: è stato più volte candidato agli Oscar, senza mai vincerli. Come la prende ogni volta?
Benissimo, sono sempre stato molto a mio agio nel perdere ogni Oscar possibile. Non me ne importa nulla, non recito certo per ottenere un riconoscimento, anche se sicuramente fa piacere, mi piace il processo di creare ed esplorare nuove realtà. Il bello di questo mestiere consiste proprio nel lavoro in sé: divertirsi nel processo, gioire con i compagni di avventura ed essere circondati da persone speciali. E’ il processo creativo della “squadra” che fa la forza.
Un sogno nel cassetto?
Un film in cui taglino tutta la mia parte e ci siano dentro tutti gli altri che hanno lavorato con me.
Di Claudia Catalli