Cannes – Non si sono ancora placati gli echi dell’epurazione di Lars Von Trier dal Festival, dopo le sue esternazioni su Hitler, che oggi ecco un film in linea con la Shoa e i fantasmi nazisti. This Must The Place, di Paolo Sorrentino, rincorre le reminescenze di un passato incancellabile ed ingombrante che dopo settanta anni fa ancora paura e pone domande etiche e sociali. Il protagonista della vicenda è Sean Penn, rockstar invecchiata ed in disarmo, che andando contro la noia di vivere, intraprende un viaggio attraverso gli Stati Uniti alla ricerca dell’uomo che aveva perseguitato suo padre nel campo di concentramento di Auschwitz.
Copia “conforme” di Robert Smith dei The Cure, Sean Penn incarna perfettamente, un uomo alla riscoperta di sé, attraverso una verità sconcertante e pesante. Nel suo primo film in lingua inglese, Paolo Sorrentino, azzecca il colpo, confezionando un film perfetto, forse un po’ troppo “europeo” per i canoni americani. Quindi un po’ troppo intellettuale, ma lo fa con una leggerezza quasi impalpabile. Mostra spazi ventosi, piscine quasi vuote e dialoghi intensi, alternandoli con le musiche di David Byrne (ex leader dei TalkingHeads) e Nino Bruno, che firma il leit motiv della pellicola (Every Single Moment in My Life is a Weary Wait). Il film, nella sue essenza è uno sguardo appassionato alla sconfinata frontiera americana, con uno stile malinconico e molto esistenzialista.
“L’idea è nata qui a Cannes tre anni” ha rivelato Sorrentino durante la conferenza stampa affollata “quando come presidente c’era Sean Penn”. Ed infatti il pluripremiato attore/regista ha colto la palla al balzo per chiosare “Vedendo il Divo (il quale vinse il premio per la miglior regia proprio qui sulla Croisette) mi sono detto: Questo regista ha stoffa da vendere e quindi, lavorando per lui, mi sono subito immedesimato in questa rock star profondamente depressa”. Infatti, guardandolo bene, con quel trucco pesante e look total black alla Cure, il grande Sean sembra proprio uscire da uno di quei pezzi lividi e senza speranza di Pornography e Seventeen Seconds.
Ma se lì i testi di Robert Smith si riflettevano su uno stato mentale dello stesso autore, conscio di vivere una “inadeguatezza” personale; qui si amplificano nel dare una risposta al dramma interiore di un uomo rimasto bambino, roso da un dilemma inestricabile. “Impersonare Cheyenne” ha continuato Penn “è stato come comprendere la voglia di vendetta di chi ha subito un enorme torto. Basta vedere la reazione “americana” alla morte di Bin Laden”.
Da parte sua Sorrentino ha invece messo in chiaro il perché di una pellicola così lontana dal suo solito cinema. “E’ il risultato della mia ossessione nei confronti dei criminali nazisti fuggiti chissà dove, dopo aver compiuto gesti inumani ed inqualificabili”. Il film, che annovera anche Frances McDormand e Eve Hewson (la figlia diciannovenne di Bono Vox degli U2), non cerca risposte e volendo nemmeno le da. Al contrario, ci immerge in una atmosfera densa di significati, sempre in bilico tra l’ansia di redenzione e la voglia di vendetta. This Must The Place, dalle prime indiscrezioni pare in lizza per la Palma d’Oro o quanto meno per la migliore interpretazione maschile. Se vincerà qualcosa è un chiaro segno che il cinema italiano ha ancora molto da dire, e che non ha niente da invidiare al grande cinema internazionale. Il film da noi uscirà in autunno distribuita da Medusa. Ai fan del regista napoletano non resta che aspettare.
Roberto Leggio