Cannes – C’è sempre un senso di mistero in qualsiasi film di Terrence Malick. Un arcano che spesso non viene svelato, ma penetra con prepotenza direttamente nell’animo umano. La stessa cosa è accaduta oggi, dopo aver visto The Tree Of Life, nuova opera ispirata di questo regista americano off Hollywood, che in trentasei anni ha diretto solo cinque film. Si parla di vita e di morte, ma soprattutto si parla, “forse”, di quella forza superiore che detiene il destino di ognuno di noi. Perfino del pianeta Terra, nutrice di questa nostra fragile esistenza.
A posteriori la proiezione, si può dire che il film, inseguito e pensato per trenta anni (e solo adesso portato a termine), è un capolavoro intimista, denso di silenzi, pochissime parole, immagini poetiche e musica classica, tanto da avere spaccato in due la platea di addetti ai lavori. Chi ha gradito, non se l’è sentita di esprimersi “en directe”, perché un film del genere va prima metabolizzato e poi giudicato obiettivamente. Gli altri (pochi i verità), d’impeto hanno lanciato dei rumorosi “buuuu”.
Noi, possiamo dire di essere tra quelli forse un po’ troppo di parte, e che , quindi, il film è piaciuto. Perché è cinema puro, senza sfronzoli. Basti pensare a quell’albero gigantesco che si libra altissimo verso nuvole bianche che si rincorrono nel cielo, mentre più sotto si agitano i ricordi di un ragazzo nel Midwest anni ’50. Un’immagine elequonte per comprendere come la natura entri di prepotenza in qualsiasi storia umana.
La trama (se vogliamo chiamarla così), si dipana attraverso il viaggio nella memoria di quel ragazzo, cresciuto da un padre “amoroso” e troppo severo, ai tempi della morte di uno dei suoi tre fratelli. Da adulto è un uomo perso in un mondo contemporaneo, labirinto di frustrazioni e dolore, dove ogni gesto, ogni parola, ogni semplice dettaglio di quella che fu la sua “forzata” educazione, gli sono serviti per capire il senso stesso della sua esistenza. Non c’è piaggeria in un film del genere e viene il dubbio che ci sia perfino qualcosa di autobiografico della vita del regista in quest’opera controversa. Sarebbe stato interessante tastare il polso direttamente con Malick, ma come era prevedibile alla confernza stampa non c’era, in quanto non rilascia interviste dal 1973.
A fugare qualche dubbio c’era invece Brad Pitt, uno degli attori protagonisti (l’altro, Sean Penn era assente in quanto presenzierà il film di Sorrentino il 20 mattina). Ma più di parlare di Malick, l’attore si è preso la briga di dare qualche accenno alla componete “teologica” del film. “In questa storia la spiritualità è forte” ha spiegato la star “ma non abbiamo cercato di indirizzarsi alla sola religione cattolica, anzi abbiamo ampliato il discorso verso un’universalità che potrà essere capita da tutti gli spettatori del mondo”.
E alla domanda perché Malick rifugga qualsiasi confronto con la stampa, è la produttrice Sara Green (tra l’altro impegnata alla realizzazione del prossimo film del regista, che a quanto pare sarà una storia d’amore interpretata da Javier Bardem, Ben Affeck e Rachel Weitz) a dare una risposta “I suoi film parlano per lui…”. Mai spiegazione fu più elequente. Il mistero Malick continua.
da Cannes, Roberto Leggio
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