La Valle dell ?Armonia

La Valle dell ?Armonia

In tavola non c’è tovaglia, né posate, ne piatti, ma semplici foglie di banano sulle quali i camerieri posano con cura il cibo.

Secondo le consuetudini del Sadya, il pasto si compone di 18 portate. Piccoli, deliziosi “assaggi”, frutto dell’arte culinaria di questa Regione, il Karnataka.

Alimenti naturali. Frutta, verdure -thali- sapientemente condite con salsine dai misteriosi ingredienti.

Spezie, colori… Sapori diversi. A volte dolci, a volte piccanti.

Al centro della foglia un pugno di riso bianco spicca sul verde.

Gli ospiti mescolano ogni cosa a piacere, usando le mani, secondo un costume secolare, quasi a voler assimilare il gusto della cena fin da questo primo, semplice gesto.

Ma ciò che più colpisce, è l’atmosfera, serena ed insieme suggestiva, come vuole la tradizionale ospitalità del Sud dell’India.

“Swa swara”, il cui senso letterale è “ricerca di se stessi”, del proprio “ritmo di vita” è un Centro di Meditazione che, attraverso la riscoperta di antiche usanze, si propone di restituire ai propri ospiti l’armonia del corpo e della mente.

Dalla tavola alle cure ayurvediche, dello yoga alle arti applicate, tutto tende a raggiungere un benefico effetto di rinnovamento: “nutrire l’anima e modellare il fisico”.

L’ambiente intorno è una risorsa primaria, grazie a una natura sontuosa e coinvolgente. Le cime dei Ghati Occidentali e la grande foresta degradano incontaminati verso il mare. Qui incontrano la spiaggia di “Om” così chiamata per la sua singolare forma di due mezze lune, che si aprono una di seguita all’altra.

Nella vasta tenuta che circonda il resort, cresce una grande varietà di piante: palme, banani, manghi, melograni, papaye… i cui frutti offrono preziosi apporti in cucina. Così come i legumi, gli ortaggi ed il pesce appena pescato.

Tra i fiori che accompagnano con il loro profumo ogni passeggiata lungo i sentieri, spiccano bougainvillee, gelsomini, ibiscus, jakaranda, frangipani.

In sintonia con la natura sono anche le strutture comuni e le dimore degli ospiti, ciascuna indipendente dall’altra.

Tutto è realizzato in aderenza al “konkan style”, l’architettura tipica del Karnataka . Attento è l’impiego di materiali naturali: laterizi per le mura, foglie di palma intrecciate per i tetti, terracotte e resine per i pavimenti, legni per l’arredo….

Le attività principali del Centro sono l’ayurveda e lo yoga.

La prima trova la sua sintesi in una parola composta: ayu = vita e veda = conoscenza. In pratica scienza della vita. Il termine ayurveda è citato per la prima volta in un trattato dell’anno 1.000 durante il regno di Karmisha. Ma si è certi che la sua pratica abbia radici ben più remote.

Si tratta di una dottrina che persegue il benessere dell’uomo.

La sua missione è curare i mali esistenti e prevenirne di nuovi. Le applicazioni, affinate attraverso secoli di studi, ricerche ed approfondimenti, sono in gran parte di natura fisioterapica. L’uso costante delle erbe officinali e comuni –quali zenzero, cumino, pepe, cardamomo, coriandolo, ecc- si oppone a malesseri e disfunzioni.

L’incidenza dell’ayurveda è sulle energie vitali dell’organismo (i cosiddetti dosha). Soltanto attraverso il loro equilibrio è possibile raggiungere un ideale stato di salute psico-fisica.

Lo yoga invece può definirsi un modo di vivere, una scelta di vita. E’ una disciplina che nasce in Oriente, regolata da principi antichi che entrano a far parte della personalità e delle abitudini quotidiane di ogni praticante.

Il termine deriva da da una radice sanscrita: yug = unire, rimettere insieme. Il corpo e lo spirito, “l’umano e il divino”.

Grazie agli esercizi si rinforzano e tonificano i muscoli, mentre attraverso la respirazione si controllano emozioni, volontà, reazioni, stati d’animo, impulsi.

Da sempre lo yoga è immaginato come un albero con svariate ramificazioni , che tendono a raggiungere specifici obiettivi.

Ad esempio il raya favorisce la concentrazione e la meditazione; il karma aiuta a migliorare gli atteggiamenti ed i rapporti verso gli altri, il bhakti è considerato lo “yoga del cuore” perché coltiva lo spirito della tolleranza; lo Jnana sviluppa l’intelletto e le facoltà dello studio; il tantra conduce ad una forma di sessualità più equilibrata.

La tradizione vuole che quando la seduta di yoga termina, lo swani –il maestro- si allontana in silenzio lasciando agli allievi la pace interiore.

Nella quiete di SwaSwara c’è anche una particolare attenzione verso l’apprendimento e l’esercizio di alcune forme artistiche basilari, come il disegno, la pittura la ceramica, la scultura. E tra l’altro c’è la possibilità di avvicinarsi ai segreti della cucina indiana.

La località più vicina, a soli pochi chilometri di distanza, è Gokarna, città da sempre famosa per la sua sacralità. I suoi templi di Shi Mahagampati e Shi Mahabaleshwar, di epoca medioevale, richiamano pellegrini da tutta l’India.

Con il plenilunio di primavera, tra le fine di marzo e l’inizio di aprile, si rinnova qui l’antica tradizione del Suggi Kumita, un festival di danze popolari.

Per diversi giorni le strade della città sono addobbate a festa ed anche il mercato settimanale assume dimensioni più estese e appare così più ricco e vario.

Nell’aria s‘intrecciano odori contrastanti di curry, incenso e di spezie.

La sera i danzatori, vestiti nei loro tradizionali e coloratissimi costumi, percorrono le strade cantando. Sono preceduti dal suono dei percussionisti e seguiti da una folla festante.

Gli abitanti accolgono con grande reverenza gli artisti nelle loro case accendendo una fiaccola ad olio, nel segno di una credenza popolare che attribuisce a questo evento un carattere propiziatorio di speranza, salute e prosperità.

Alla ricerca di città morte del mondo antico

In viaggio nel Karnataka

Nato solo nel 1956 dall’antico Principato di Mysore, lo Stato del Karnataka -tra i più belli e meno esplorati del Paese- occupa la parte occidentale dell’altopiano del Decan. Un territorio questo, di transizione tra il nord dell’India ed il Sud.

Nell’interno della Regione s’incontrano ancora cittadine a vocazione prevalentemente musulmana, con le loro cinta murarie, i minareti, le moschee.

Lungo la fascia costiera invece svettano, tra la vegetazione tropicale, gli altissimi gopurna, i monumentali ingressi agli antichi templi indù.

La fitta rete di fiumi e di canali, insieme alle stagioni monsoniche, assicurano fertilità alle coltivazioni e vigore alla vegetazione spontanea.

Un viaggio in questa terra permette di scoprire – accanto ai principale centri urbani di Bangalore e Mysore e alla città santa di Gokarna alcuni dei siti archeologici più importanti dell’India.

Tra l’XI ed il XIV secolo fiorirono qui le grandi capitali degli Hoysala di cui restano tuttora mirabili testimonianze . Architetture che s’innalzano verso il cielo e che sembrano scolpite dal vento.

Tra esse Halebid con il tempio di Haysaleshwara, dalla singolare forma stellare. Belur, dominata dal grande gopurna del tempio di Channakeshava.

Entrambi sono risalenti al XII secolo.

A Sravanabelagala invece, a sovrastare il paesaggio, dall’alto della collina di Indragiri, è la gigantesca statua del monaco Gomatejhvara alta ben 18 metri.

Secondo la locale fede jainista, il santo è completamente nudo in segno di totale povertà e rinuncia a tutto ciò che non abbia valore spirituale.

A Badami i templi più importanti sono quattro, interamente scavati nella roccia di arenaria rossa. Si specchiano nelle acque del lago Agostyatirtha dove ogni giorno le donne del villaggio, fasciate nei loro coloratissimi sari, si recano a lavare tessuti e indumenti, per stenderli poi sull’erba ad asciugare al sole.

Ma il sito più celebre del Karnataka e dell’intera India del Sud è sicuramente Hampi

Non è facile arrivare in questo luogo così remoto. Sono necessarie, in ogni caso, molte ore di viaggio. Ma una volta giunti, si resta senza fiato dinanzi al quadro grandioso di massi e dirupi che sembrano appena usciti da un enorme cataclisma.

Ancora oggi le acque del fiume Tungabhadra scorrono tra le rocce ed i prati solcate dai curica le tipiche imbarcazioni circolari di vimini. Tutto come allora -nel 1336- quando Hampi fu fondata dai principi indù Harihara e Bukka, nativi del vicino Andhra Pradesh.

Già prima questo angolo dell’India era conosciuto per la sua sacralità. E proprio qui nacque e prosperò una città splendida, dal volto umano, i cui abitanti erano dediti alle arti e alla cultura, privilegiando soprattutto la qualità della vita.

Hampi divenne nel tempo capitale del vasto e fastoso regno di Vijayanagar.

Ma nel 1565 a tutta questa bellezza e prosperità pose fine l’assedio di alcuni regnanti musulmani dell’alto Decam, appartenenti alla dinastia Moghul. La città fu saccheggiata e abbandonata poi ad un oblio secolare.

Oggi, grazie all’opera dell’Unesco, che l’ha dichiarata nel 1986 “Patrimonio dell’Umanità”, Hampi è il più grande museo a cielo aperto dell’India.

L’ingresso è il gopurna posto accanto al celebre tempio di Virupaksha: enorme piramide interamente ricoperta da una cascata di effigi della religione induista, scolpite nel granito.

Oltre, un paesaggio preistorico di acqua e di pietra si spalanca davanti agli occhi dei visitatori: l’acqua del fiume, che conferisce all’ambiente una nota di vita e di energia, e le pietre di 500 templi, sopravvissuti alla devastazione e all’usura.

Le loro forme, modellate dal tempo e decorate da miriadi di fregi, sono sparse tra la valle e le colline adiacenti, tra piantagioni di riso e bananeti. E popolate da gruppi di pellegrini erranti e santoni colorati, pascoli di mucche e anziani pastori.

Hampi è una miscela di arte, storia, natura, segnate dalla vita di tutti i giorni, che continua sorprendentemente a scorrere tra i retaggi dell’antica civiltà.

E forse sta proprio in questo il suo mistero e la sua magia.

Testo e foto di Raffaele Bernardo

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