Visitare alcune di queste mitiche città, come Khiva, Bukhara, Samarcanda, Shakhrisabz, sino alla più occidentalizzata Tashkent, nel territorio dell’attuale Uzbekistan, è un po’ come ripercorrere secoli e secoli di storia, segnati dalle dominazioni persiane, arabe, mongole, nonché dal passaggio millenario di pazienti viaggiatori e commercianti… una immersione totale in un passato di cui oggi le antiche madrase, le moschee e i mausolei con le loro cupole variopinte rivelano superbamente, anche se in parte, l’antica grandezza.
E’ proprio grazie alle numerose bellezze artistiche che oggi, come non mai, l’Uzbekistan ha iniziato ad affacciarsi nel settore del turismo internazionale, nel tentativo di svecchiare quella patina “sovietica” che per quasi un secolo l’aveva ingrigita e relegata ad una meta subalterna rispetto all’offerta turistica. Numerosi i tour operator che oggi propongono un itinerario tanto affascinante quanto ricco di sorprese che non finiscono di stupire, nonostante il timore ancora diffuso di intraprendere un viaggio in una terra sperduta nel centro dell’Asia. Ma l’Uzbekistan è tutt’altro che una destinazione “avventurosa”, basta una piccola dose di adattamento e qualsiasi piccolo sacrificio sarà ampiamente ripagato dal piacere di una visita indimenticabile e dalla generosa ospitalità degli Uzbeki.
Tashkent, la capitale dell’Uzbekistan, con i suoi ampi viali, i parchi alberati, le eleganti stazioni della metropolitana e le moderne architetture che ben poco “parlano” della storia locale, è anche paradossalmente il luogo meno rappresentativo di questo paese; o meglio, ne rappresenta senza dubbio il lato più sentitamente rivolto all’Occidente ma forse meno interessante dal punto di vista artistico, fatta eccezione per un piccolo nucleo di monumenti del XVI secolo che si concentrano nella piazza Khast Imom. Qui abbiamo il primo assaggio dell’architettura uzbeka con la madrasa di Barak Khan (1550) e il mausoleo di Kaffal Shashi (1530), edifici che con le loro peculiari forme ci permettono di familiarizzare con i modelli architettonici diffusi sull’intero paese. Per coloro che fossero a digiuno di arte islamica, colpisce immediatamente la pura geometria e il decorativismo che pervadono queste architetture, secondo un disegno in cui la specularità gioca un ruolo considerevole. Geometrie architettoniche che sono ancor più esaltate da un gusto per la decorazione pittorica su maiolica che ritroviamo su facciate e cupole e in cui mai intervengono, secondo i dettami della religione islamica, raffigurazioni umane o animali, salvo qualche rara eccezione.
Se a Tashkent riusciamo appena a degustare il fascino di queste terre ricche di una storia segnata dalle più diverse dominazioni, è nei centri minori che occorre dirigersi per proiettarci letteralmente in una dimensione da fiaba, e dove le nostre aspettative vengono ampiamente soddisfatte. E’ quanto si prova appena si giunge a Khiva, città all’estremo ovest dell’Uzbekistan, ad una ora di volo dalla capitale Tashkent. Khiva è anche la città meglio conservata dell’intero Uzbekistan, dove il tempo sembra si sia fermato in piena epoca medievale. Ci colpiscono immediatamente le sue mura e le torri di argilla che la circondano completamente, ben preservate grazie ai costanti interventi di restauro e manutenzione. Inoltrandosi tra le sue vie, tra abitazioni private, botteghe artigiane dove si lavora il legno di gelso, si ha l’impressione di percorrere un set cinematografico, tanti sono gli edifici antichi e monumentali che la arricchiscono. Colpiscono in particolar modo il numero di minareti, le torri costruite presso le moschee dalle quali il muezzin richiamava alla preghiera. Uno in particolare è divenuto il simbolo di Khiva: è il minareto di Kalta Minor completamente rivestito di maioliche colorate turchesi, la cui forma tozza lascia intendere che originariamente dovesse essere molto più alto. Unica nel suo genere è anche la moschea Juma (o del venerdì santo) del XVIII secolo la cui amplissima sala di preghiera è sostenuta da 218 colonne lignee, tutte riccamente intagliate con motivi vegetali.
Se i minareti costellano lo skyline di Khiva, d’altro canto, sono le moschee, le madrase (scuole coraniche) e alcune residenze appartenute ai vari governatori di Khiva - palazzo Tosh-Khovli e la fortezza di Kukhna Ark - che ci incantano con le loro cupole e le pareti arabescate da infinite decorazioni dominate dal turchese. Ogni angolo del borgo rivela insolite prospettive e particolarmente di sera, le tenui luci che illuminano alcuni dei monumenti ricreano un’atmosfera fiabesca, dove è piacevole immergersi, magari gustando l’immancabile thè verde, o magari un più occidentale aperitivo nei caratteristici locali del centro storico.
L’impatto con Khiva è tale e profondo che lasciamo molto a malincuore l’antico borgo per dirigersi alla seconda meta di questo itinerario: Bukhara. La raggiungiamo con un percorso piuttosto accidentato di 500 km lungo un brullo deserto rosso, il Kizil Kum, costeggiando in parte anche uno dei due maggiori fiumi uzbeki, l’Amu Darja. Bukhara, il cui centro storico è riconosciuto come patrimonio dell’Umanità, seppur meno appariscente di Khiva, colpisce per alcune specificità architettonico-urbanistiche che la distinguono dalle altre. Innanzitutto il colore: il marrone del mattone cotto che domina la maggior parte delle architetture e che la distingue nettamente da Khiva e da Samarcanda.
Già capitale durante il regno persiano samanide (X sec.) fu grandissimo centro culturale e commerciale; luogo di diffusione - insieme a Samarcanda - di conoscenze scientifiche che si diffusero in tutto l’Occidente… basti pensare che nativo di questa città fu, tra gli altri, Avicenna, uno dei fondatori della medicina. Durante tutto il Medioevo, fu centro di smistamento delle merci e la dicono lunga i numerosi bazar coperti - ognuno dei quali destinato ad un genere specifico - eretti nel corso del XVI secolo e caratterizzati da bellissime cupole in cui si innestano, a croce, quattro vie anch’esse coperte. Nonostante la presenza ingombrante di stand turistici che, spesso, piuttosto che l’artigianato locale propongono rozze imitazioni cinesi, questi bazar sono una vera chicca architettonica, assolutamente da non perdere. Un altro aspetto singolare di questa città è la presenza sino ai primi decenni del XX secolo di numerose piscine all’interno del centro storico, la cui acqua veniva utilizzata a fini pubblici e privati. Interrate per motivi igienici durante il regime sovietico, oggi ne resta solo una, nella piazza Labi-Hauz, una delle più belle del centro storico e circondata da animatissimi e fumosi ristoranti all’aperto dove si servono continuamente kebab e l’immancabile plov, piatto nazionale a base di verdure fritte, riso e carne. Come Khiva, Bukhara ha il suo monumento simbolo della città: l’imponente minareto di Kalon, che con i suoi 47 metri di altezza e le pareti interamente coperte da laterizi riccamente incisi, dovette impressionare lo stesso Gengis Khan che ne proibì la distruzione. Anche a Bukhara sono numerose le presenze monumentali; in particolare tra i mausolei si ricorda quello di Ismail Samani, fondatore della dinastia samanide, un gioiello architettonico del IX-X secolo, tanto più prezioso se si considera che gran parte dell’architettura pre-mongola antecendente al XIII secolo è andata distrutta.
Seppur simili tra loro le madrase e le moschee che popolano letteralmente il centro storico, - spesso disposte nelle piazze specularmente, una di fronte all’altra - a differenziarle sono in genere le decorazioni che variano secondo le varie fasi storiche, come d’altronde alcuni elementi architettonici contraddistinguono la moschea dalla scuola coranica. A Bukhara sono ben conservati anche alcuni tratti di mura cittadine che partono dall’Ark, l’antica cittadella fortificata, sede degli antichi governatori della città a cui fa da contraltare una seconda residenza, poco fuori la città, Sinorai Mokhi Hosa, costruita nel XIX secolo durante il dominio zarista; un originale palazzo in cui si nota una curiosa commistione tra stile zarista e stilemi propri dell’architettura araba.
Lasciandoci alle spalle i vivaci bazar di Bukhara, che al tramonto si rivestono di una suggestiva luce dorata, si parte alla volta della gloriosa Samarcanda non senza prima passare per la cittadina di Shakhrisabz, patria del grande condottiero Tamerlano (Timur) vissuto tra XIV e XV secolo, della cui dimora resta un immenso portale di accesso.
Lungo il tragitto che divide Bukhara da Samarcanda, il paesaggio si fa sempre più verde con la presenza di immense piantagioni di cotone, l’ “oro” bianco dell’Uzbekistan che ne è uno dei più grandi produttori mondiali; un merito che ha, d’altronde, il rovescio della medaglia, se solo si pensi che l’immenso quantitativo di acqua convogliata dai fiumi principali per l’irrigazione di queste coltivazioni ha determinato il quasi totale prosciugamento, a nord del paese, del lago di Aral, fino a 50 anni fa il quarto lago salato più grande del mondo, causando un disastro ecologico immane di cui pochi parlano e di cui il cimitero delle navi nei pressi della città di Moynaq, un tempo città portuale, ne è spettrale testimonianza. incanalata
Ritornando a Tamerlano, considerato oggi eroe nazionale e le cui statue hanno rimpiazzato quelle innalzate durante il regime sovietico, oltre a far costruire nella sua patria natale Shakhrisabz la propria residenza, il cosiddetto palazzo bianco, decise di trasformare la vicina città di Samarcanda, miseramente sopravvissuta nel 1220 al passaggio delle orde mongole di Gengis Khan, in una splendida capitale del suo vasto regno che andò estendendosi dalla Turchia all’India. La seducente “Perla dell’Est”, il “Gioiello dell’Islam”, tanto per citare alcuni degli epiteti con cui viaggiatori e storici hanno voluto descriverla, conserva con i suoi 2700 anni di storia il titolo di una delle città più longeve della storia. Senza togliere nulla alle fasi storiche che l’hanno preceduta, è sicuramente sotto il regno di Tamerlano tra XIV e XV secolo che Samarcanda si imporrà come centro culturale di punta in seguito alla profonda risistemazione urbanistico-architettonica, che farà da stimolo alla sperimentazione di nuove soluzioni architettoniche, oggi espressione tra le più alte dell’arte timuride. Celeberrimi i monumenti risalenti al condottiero tartaro e che ancora oggi la moderna Samarcanda orgogliosamente ostenta, nonostante devastanti terremoti e profonde modifiche subite nel corso dei secoli, e in particolar modo tra l’epoca zarista e quella sovietica, abbiano profondamente alterato se non cancellato molto delle preesistenze più antiche della città. Sebbene profondamente restaurati e/o ricostruiti fedelmente, alcuni di questi esprimono con eloquenza quel senso di “grandeur” perseguito da colui che volle fare della città una metropoli degna del suo nome. Soffermandoci ad ammirare la purezza formale delle tre madrase che circondano la celeberrima piazza del Registan, si resta letteralmente rapiti dai colori, dalle fantasie geometriche degli edifici; così come ci colpiscono i delicati equilibri del mausoleo di Tamerlano, un tripudio di raffinate linee architettoniche e decorazioni che ci ammaliano e ci stupiscono per l’infinita immaginazione creativa di architetti e artigiani che da ogni parte del regno arrivarono a Samarcanda per offrire la loro opera.
Samarcanda, oggi seconda città dell’Uzbekistan, è anche un centro moderno e soprattutto una patria culturale molto attiva. Percorsa di ampi viali e giardini perfettamente curati, il suo lato prettamente zarista tardo-ottocentesco, razionale ed elegante quasi non ha creato spaccature con le antiche architetture dei secoli XIV-XVII che costellano qua e là la città. A Samarcanda troviamo anche, non lontano dall’imponente moschea di Bibi Khanym - moglie di Tamerlano -, uno dei complessi monumentali più belli di tutta l’Asia centrale e senz’altro dell’arte islamica; un complesso che per la sua peculiarità oltre ad essere una delle mete più frequentate dai musulmani, costituisce una antologia a cielo aperto degli stili architettonici che hanno caratterizzato la rinascenza timuride tra XIV e XVI secolo. Stiamo parlando della necropoli monumentale di Shah-i-Zinda, sorta sulle pendici dell’antica città, che comprende oggi circa venti monumenti funebri - alcuni dei quali dedicati a figure femminili dell’entourage di Tamerlano - per la maggior parte risalenti al XIV e XV secolo, la cui bellezza e ricchezza creativa rivelano un senso di eternità tale come pochi complessi funebri sanno suscitare.
E con un ultimo sguardo alle cupole azzurre e verdi di questa monumentale necropoli, sintesi mirabile di raffinata quanto rara bellezza architettonica, chiudiamo anche questo itinerario attraverso l’Uzbekistan, un paese che con la sua voglia di progresso e l’evidente sforzo che la politica governativa sta compiendo per perseguirlo, incarna perfettamente quel senso di precario equilibrio che caratterizza la società uzbeka, divisa tra un mondo lontano, “mitico”, evocato dalla bellezza senza tempo dei vari Registan, dei mausolei, delle moschee e dei loro minareti e il bisogno imperante di una modernità, pagata, a volte, a caro prezzo.
Franco Bruni