Nello scenario italiano ricco di corsi professionali, post lauream e master, in cui è difficile orientarsi , quali sono i requisiti che rendono un corso o master di buona qualità?
Ormai nel nostro paese sono migliaia i corsi professionali, post lauream o master che vengono proposti sia da enti pubblici, quali università, che da privati. E’ molto difficile da parte di uno studente poter riconoscere la buona qualità di un master: partendo dal presupposto che le istutuzioni universitarie propongono master con contenuti e programmi approvati dall’ispettorato dell’istruzione, la matassa principale da sbrogliare sono i corsi/master privati.
“Sono tantissime le scuole, istituzioni che propongono corsi mirati per migliorare le proprie skills” - ci informa il Consigliere Asfor. “Innanzitutto, un buon corso è di sicura garanzia se proposto da un’istituzione di prestigio, con nome conosciuto, con una consolidata esperienza alle spalle. Anche il numero delle edizioni del Master è importante, più edizioni ha svolto negli anni, più è comprovato che il corso funzioni e abbia un buon riscontro sugli studenti. Anche i programmi, la struttura del corso, sono da considerare, un master che abbia ben specificato con estrema chiarezza e trasparenza, programmi e cadenze, è di sicura qualità. Anche gli stage o tirocini a fine corso in aula sono importanti, non c’è master di qualità che non comprenda una fase di training on the job dove è possibile mettere a frutto le conoscenze fatte nel processo d’apprensione in aula”.
Gli studenti formati all’interno dei corsi sono pronti per il mondo del lavoro?
Grazie al “tirocinio” gli studenti dei master sono coinvolti a 360 gradi nel processo d’acquisizione del lavoro. Grazie all’esperienza sul campo sono in grado di applicare tutte le conoscenze fatte in aula, e questo gli permette di testare sulla propria pelle il mondo del lavoro, le sue dinamiche, i rapporti con le altre risorse coinvolte. Alcune volte, c’è da dire che lo stage è uno strumento fine a se stesso, perché purtroppo con la situazione attuale della nostra società, non ha seguito lavorativo, cioè non sfocia in un contratto di lavoro. Pur rimanendo una valida esperienza lavorativa spendibile altrove, in altri contesti aziendali.
Arriviamo all’offerta formativa: insegnamento in aula e stage, che differenza c’è tra gli istituti italiani e i rispettivi competitors europei?
La formazione fatta in Italia, similarmente a quella praticata in Germania, dà più largo spazio a insegnamenti generici, di base, dove si studiano svariati casi e situazioni per sviluppare e risolvere problematiche più ad ampio raggio. Mentre i colleghi inglesi hanno un approccio più specialistico e mirato, dei case studies. I corsi sono focalizzati su realtà più settoriali, proponendo anche una formazione più specifica sul campo. Entrambe le cose sono importanti, sia conoscenze generiche che l’applicabilità sul campo, ma penso sia più profiqua una formazione totalitaria, con conoscenze di base, piuttosto che focalizzata su un solo argomento.
In questo periodo di crisi molti manager e funzionari in Inghilterra, non avendo avuto una formazione ad ampio raggio, si sono trovati più in difficoltà rispetto ai loro colleghi tedeschi. Altra differenza tra Italia e Europa si basa sul capitolo fondi a disposizione. Purtroppo il nostro Paese manca di risorse utili allo sviluppo sia per la formazione ma anche per la ricerca.
E’ noto che le PMI italiane sono restie ad investire fondi sulla formazione, pur avendo a disposizione dei fondi interprofessionali. Secondo lei perché non credono nello strumento formazione?
Lei sa che la maggior parte delle PMI in Italia sono a conduzione familiare?! È proprio questa una delle cause che ostacolano lo sviluppo della formazione nelle piccole e medie aziende italiane. Queste realtà lavorative, gia attaccate e provate dalla crisi, si sono chiuse a riccio. Quel tempo che hanno a disposizione per lavorare e produrre per il bene dell’azienda, lo vedono sviluppato solo ed esclusivamente sul campo. Considerano lo strumento formazione come un impegno estraneo alla loro consueta procedura di lavoro. Inoltre l’imprenditore, a capo della famiglia che dirige l’azienda, rimanda da padre in figlio il segreto del lavoro, difficilmente accetta figure estranee formate, che possano contrastare la propria figura professionale sul campo. Ma è proprio questa “ignoranza” che non permette di far evolvere la PMI, si viene a creare un circolo vizioso, una situazione di stagnazione da cui si deve assolutamente uscire. Ed è per questo che ci si deve affidare alla formazione esterna.
Come risolvere la situazione, cambiare la mentalità ed aprirsi verso un futuro migliore?
Queste realtà dovrebbero essere seguite costantemente. Non soltanto essere fornite di fondi interprofessionali, a cui poi riesce ad arrivare solo il più furbo. Servirebbe una politica che incentivi le iniziative di formazione. Le confindustrie, le camere di commercio e le associazioni industriali dovrebbero creare un ipotetico “Progetto Italia per la formazione” per spronare e aiutare le PMI ad aprirsi verso l’esterno, arricchendole della consapevolezza necessaria e facendole aquisire un valore aggiunto.
Daniela Sallustio
E’ IL MASTER GIUSTO. GARANTISCE ASFOR
Il Processo di Accreditamento Asfor ha l’obiettivo di distinguere programmi Master che rispettano una significativa soglia di requisiti dalla miriade di programmi, spesso della durata di pochi giorni e con contenuti estremamente ridotti e specialistici, che pure sono presentati sul mercato con la denominazione “Master”. Nata nel 1971 l’Associazione Italiana per la Formazione Manageriale si pone l’obiettivo di sviluppare la cultura di gestione in Italia e di qualificare l’offerta di formazione manageriale. E’ un’Associazione tra soggetti con personalità giuridica che operano nel campo della formazione manageriale, sia come strutture dell’offerta sia come fruitori di servizi formativi. Attualmente conta oltre 70 soci fra Business School, Corporate University e Istituzioni formative.