“Ultimamente mi chiedevo cosa sarebbe successo se Hitler avesse avuto la televisione”. Usa spesso, quasi come intercalari, queste frasi simpaticamente spiazzanti, Emir Kusturica, affermato regista serbo, fiero di essere tutt’altro che uno di quei famosi cineasti che non sanno cosa sia un vero film: “I film di Hollywood, nella maggior parte dei casi, hanno la connotazione della comodità: ma se vuoi fare un film artistico, non puoi mica stare comodo. Devi soffrire. Come gli animali”. Di un’altra cosa va fiero Kusturica, che incontriamo al Taormina Film Fest, dove riceve l’ennesimo riconoscimento (se aveste voglia di recuperarvi una sua opera, il 25 giugno scorso è uscito il dvd di “Promettilo”, commedia eccentrica sul rapporto nonno-nipote e i casi della vita): aver girato un film su Diego Armando Maradona.
Perché proprio El Pibe de Oro?
Inizio con il dire che non sono mai sentenzioso nei miei film, l’ho imparato da Cechov, il padre del dramma esistenziale: non giudicare i personaggi, ma lasciar loro vivere il proprio destino. La vita di Maradona nella sua totalità è stata dedicata alle sue illusioni, Jarmush, che è un mio grande amico, lo chiama il fuorilegge. Ad esempio, 5 anni fa non gli è stato concesso di accedere agli ospedali argentini, gli hanno rifiutato il ricovero a Buenos Aires e questo la dice lunga sul suo personaggio, sugli alti e bassi che un campione attraversa nella vita. Al di là del fatto che da sempre sono un suo fan, per me era interessante raccontare una condizione della moderna celebrità, dove un giorno Susan Boyle da perfetta sconosciuta diventa, grazie alla tv, la più famosa del mondo e fra un paio di anni nessuno se la ricorderà più. E’ un mandare la gente dalle stelle alle stalle.
Si è mai identificato con lui?
Certo, andavo spesso a Buenos Aires per incontrarlo e non sempre ci riuscivo, c’erano volte in cui ricadeva nella trappola della droga e dell’alcol. Ma ho messo tutto me stesso dentro al film, e l’ho fatto anche per aiutarlo: quando sei all’ingresso dell’inferno, l’unica cosa è concepire un documentario che possa aiutare chi ci sta dentro.
Che tipo di persona è, da vicino?
Un grande santo, sul campo si vedeva che possedeva potenzialità dello sciamano, cosa cruciale per un gioco di squadra. Finge di essere molto razionale, di essere colto e normale, ma hai sempre la sensazione che abbia una mosca interiore che non lo faccia stare tranquillo.
Parliamo di cinema, che per lei è sinonimo di passione.
È la passione che nutre il cinema, se non hai passione nelle viscere, non puoi seguire progetti buoni. In Italia avete Garrone che fa film fantastici, il nostro tempo non viene raccontato dalle grandi produzioni hollywoodiane. Presto farò un film con Johnny Depp sul rivoluzionario messicano Pancho Villa, gireremo da novembre. Ovviamente il film è finanziato, perché se hai una star è facile ti diano soldi, se vuoi parlare di temi sociali e fare cinema impegnato no. Oggi, che l’autore è sommerso dalla quantità e impacchettato negli i-phone, potrebbe forse fare tre film: il primo buono, il secondo così così, al terzo crolla, perché è già entrato nel pacchetto-sistema. Quando ero giovane io era diverso, non si ha l’approccio all’umanità dell’industria cinematografica.
Altri progetti? Libri? Musica?
Sto finendo il mio primo romanzo, lo scrivo da 10 anni senza trovare la chiusura giusta. E poi suono sempre con la “No Smoking Orchestra”, ho bisogno di soldi!
Claudia Catalli