Al Festival del Cinema più bello del mondo il cinema italiano avrà una presenza risicata, in quanto, solo La Nostra Vita di Daniele Luchetti, ha avuto il privilegio di essere selezionato in concorso, e che il polemico Draquila di Sabina Guzzanti è stato inserito fuori concorso. Forse si tratta della solita storia che il nostro cinema non è meritevole di una vetrina del genere. Ma è anche vero, che nel panorama nostrano, piccoli (e grandi) talenti ultimamente stanno ridando linfa ad un cinema in perenne afasia. La cosa interessante invece, e che Giovanna Mezzogiorno e Alberto Barbera, faranno parte della giuria, quest’anno capitana da Tim Burton. E su questo piano vedremo cosa accadrà alla fine, in quanto film visionari non ce ne sono. Con molta probabilità avere Burton come presidente della giuria, darà la vittoria ad un film di “rottura”, magari in bilico tra il cinema popolare e quello d’autore. Ma d’altronde Gilles Jacob l’aveva annunciato: “questo sessantatreesimo Festival, sarà più innovativo, con opere diametralmente opposte”. In pratica un cinema a trecentosessanta gradi. Molti gli “autori pesanti” in gara, a comincare da Alejandro Gonzales Inarritu, che presenta Biutiful, un dramma improtato su un criminale che si ritrova a confrontarsi con il suo miglior amico d’infanzia, diventato nel frattempo un poliziotto. Il film è interessante in quanto è il primo non scritto da Gullermo Arriaga ed è interpretato solamente da attori spagnoli (Javier Bardem) e messicani. Ambientazione tutta italiana e attori internazionali, invece per Abbas Kiarostami, che con Copie Conforme racconta una storia d’amore “letteraria” tra uno scrittore inglese e una donna francese (Juliette Binoche), nella la magia toscana di San Giminiano. Di tutt’altro stampo Outrage, il nuovo film di Takeshi Kitano, che torna a parlare di violenza ed onore con il suo solito sguardo quasi fanciullesco. Più terreno e spiazzante è invece Another Year di Mike Leigh, con Jim Broadbent e Imelda Staunton. Nikita Mikhalkov si confronta con la seconda guerra mondiale, con un dramma bellico improntato su un ufficiale russo miracolosamente sopravvissuto alle purghe staliniane. In grandi linee è una sorta di sequel di un suo vecchio fim del 1994, con lo stesso protagonista ripreso però dieci anni dopo.Film in costume invece per Bertrand Tavernier,che con La Princesse de Montpensier, narra le passioni ed il tragico destino di una ricca ereede di un regno di Francia, percorso nel 1562 dalle guerre di religione. Drammatico, attuale e proletario è l’affresco che Daniele Luchetti da alla sua opera La Nostra Vita, interpretato da Elio Germano e Raul Bova. Si racconta di un uomo (Germano) che per sopire un lutto “importante” cerca di fare soldi attraverso imprese azzardate, al limite della legalità. In sottotraccia l’immagine dell’Italia di oggi, destinata ad arrangiarsi come può. Polemico ed irriverente sarà Draquila della Guzzanti, istant movie che sposa la tesi che il terremoto dell’Aquila abbia dato più popolarità a Berlusconi. Si parla di giro di appalti, si false promesse congegnate ad arte per ridare credibilità al leader, all’epoca dei fatti in caduta libera. Staremo a vedere cosa accadrà. Per tornare al festival sono da segnalare anche due attori approdati dietro la macchiana da presa. Primo fra tutti Mathieu Almaric (considerato il nuovo Jean-Pierre Leaud), selezionato in concorso con Tournèe e Diego Luna con Abel come evento speciale. Ghiotta invece la selezione dei fuori conncorso. Woody Allen torna a girare a Londra con You will meet a tall dark stranger, un film il bilico tra il dramma e la commedia, con al centro una famiglia e i soliti problemi di relazione. Olivier Assayas presenterà Carlos, storia di un rivoluzionario venezuelano nella sua lotta contro l’Opec, mentre Stephen Frears ci regala una commedia tutta britannica dal titolo Tamara Drewe. Ma le attese sono tutte per il ritorno di Gordon Gekko, squalo della finanza nel memorabile Wall Street. Dopo ventitreanni passati in carcere, l’ex finanziere tornato in libertà cerca di riappacificarsi con la figlia, che lo colpevolizza di essere stato il responsabile del suicidio dell’uomo che amava. E per farlo, e farle capire che è cambiato, si prenderà cura di un giovane amico suo, piccolo rampante della finanza. Il titolo è eloquente, Wall Street – Money Never Sleep, ed il regista è sempre Oliver Stone, incazzato più che mai nei confronti della grande finanza newyorkese, colpevole secondo il regista della grande crisi che si abbattè sugli Stati Uniti lo scorso anno. E per finire sprechiamo due parole sul cinema internazionale in sé. La presenza americana è inferiore degli altri anni, mentre la maggior parte è stata prodotta in Inghilterra. Segnale forte che dovrebbe aprire una riflessione sul cinema europeo in genere. La Gran Bretagna, con le sue produzioni, sta permettendo una nuova epifania la cinema che verrà. Non è quindi male pensare a Cannes come una vetrina sempre in anticipo sui tempi. E non è detto che proprio dalla fucina del Regno Unito, possa uscire qualcosa di esplosivo. Il cinema è qui per farcelo sognare.
Roberto Leggio