Presso il Museo dell’Ara Pacis la mostra che racconta Fabrizio De André: un viaggio multimediale ripercorre le tappe di colui che fu − e resta − un genio della musica e della parola.
Quando si entra nel corridoio che dà inizio alla mostra si legge: “Cosa avrebbe potuto fare alla fine degli anni Cinquanta un giovane nottambulo, incazzato, mediamente colto, sensibile alle vistose infamie di classe, innamorato dei topi e dei piccioni, forte bevitore, vagheggiatore di ogni miglioramento sociale, amico della bagasce, cantore feroce di qualunque cordata politica, sposo inaffidabile, musicomane e assatanato di qualsiasi pezzo di carta stampata? Se fosse sopravvissuto, sarebbe diventato un cantautore. Così infatti è stato, ma ci voleva un esempio”.
Il percorso proposto è suggestivo ed emozionante, perché permette di entrare in contatto con il De André cantante, poeta e soprattutto uomo. L’iter si sviluppa nella penombra, in cui le uniche luci sono rappresentate dalle parole, dalla musica e dal volto di Faber, distribuite in cinque differenti spazi, ognuno in grado di concedere un pezzo della sua storia. Così, entrando nel primo ambiente, si ha la possibilità di conoscere e capire quella che di De André fu la poetica. Attraverso schermi trasparenti su cui scorrono testi, filmati e fotografie si toccano le tematiche preminenti assorbite dalle sue canzoni: la potenza dell’amore, la distruzione della guerra, ma anche l’avvento della morte, l’attenzione per gli ultimi, l’agognata libertà e naturalmente Genova, la sua città. Tasselli diversi che si accostano nel pensiero di Fabrizio, per poi diffondersi tra il popolo attraverso una delle più efficaci forme comunicative, la musica, quella che lo sedusse un po’ alla volta, fino ad aggredirlo completamente.
Ed è proprio la musica l’ospite che si incontra tra le mura lineari della seconda sala. In questa, ci si ritrova circondati dalle copertine dei dischi deandreiani, i quali − posizionati su tavoli di legno multimediali − regalano proiezioni di interviste al cantautore e a collaboratori, in cui si traccia il contesto storico e sociale, le motivazioni e gli impulsi che guidarono lo stesso De André nella produzione dei vari album.
La musica nelle sue varie melodie accompagna il percorso, conducendo lentamente nel terzo ambiente, dove si incrociano i personaggi che affollano le sue canzoni. Su grandi schermi a forma di tarocchi (quelli che fecero da scenografia nella tournée de “Le nuvole”) prendono vita trentuno personalità: dall’orfana e sfortunata Marinella a quella Bocca di rosa sempre in cerca di conquista, dall’ambiguo Andrea alla sognatrice Teresa, fino ad arrivare al tanto noto “pescatore”. Una sfilza di uomini e donne a cui facilmente ci si affeziona, tanto più alle loro storie simboliche e straordinariamente umane. Personaggi a cui i visitatori possono dare un volto attraverso foto e grafiche, creando su un apposito schermo touch-screen il proprio tarocco personalizzato.
La storia di De André prosegue nei lunghi video che, sempre all’interno di questo terzo ambiente, vengono proiettati in una sala cinema. Qui Fabrizio si racconta nelle sue apparizioni televisive, nelle interviste, nei concerti e in filmati inediti tirati fuori dagli archivi Rai; storie da lui proposte, che permettono di entrare maggiormente nel suo mondo e di cogliere quelle sottili e piacevoli sfumature di un personaggio tanto singolare quanto acuto.
La vita di Faber continua ad essere “messa in mostra” nel quarto ambiente, in cui lastre fotografiche ne riproducono l’esistenza, svelandone le intimità, i ricordi, e suscitando una certa tenerezza nel visitatore, il quale si ritrova un po’ a guardare dal buco della serratura per intravedere scorci di vita del cantautore genovese. Una vita che viene anche cronologicamente scritta e impressa su una parete della sala, partendo da quando Fabrizio Cristiano De André nasce, per poi arrivare a quell’11 gennaio 1999 in cui «se ne parte per gli spazi profumati dell’eternità». Cinquantanove anni riempiti però da amore, figli, incontri, idee, e inesorabilmente alimentati da dolcezza e rabbia, speranza e pessimismo, tutti meravigliosamente conditi da una grande fame di cultura.
L’ultimo spazio che fa da tappa in questo stimolante percorso è quello in cui la tecnologia trova meno spazio. Alla fine dell’iter, dopo aver anche ammirato affascinanti scatti che immortalano i sorrisi, la stanchezza e la spontaneità di De André, quattro teche custodiscono alcune tracce della sua vita. E’ in questo spazio che si incontra il “De Andrè-uomo” che legge, medita, scrive. E una volta fuori ti sembra di vederlo, Faber, mentre butta giù i suoi pensieri, accompagnato dalla sua immancabile sigaretta che lentamente si consuma, al contrario di quell’uomo che la fuma. Lui non lascia cenere, ma pensieri, testi, musica. Fabrizio, nel suo testamento, lascia emozioni. E quelle, si sa, non si consumano.
Elisa Rodi