Micheal Mann ha un assioma tutto suo nel descrivere l’eterna lotta bene e male. Accade in ogni film che dirige, perché tutta la sua opera è davvero innovativa, realistica, diversa. Con Nemico Pubblico, film che narra la parabola criminale di John Dilliger; ha riscoperto il cinema gangsteristico tenendo fede agli stilemi del genere, aggiornadolo e rendendolo più tattile, quasi contemporaneo. “Ho scoperto che con il digitale le scene diventano più reali”- ha puntualizzato oggi alla presentazione del film, rispondendo così a chi gli chiedeva da dove venisse quella resa cinematografica così “veritiera”. “Il pubblico può sentire quello che i protagonisti di quel dramma hanno provato nel momento esatto in cui accadevano le cose. L’empatia con i personaggi, in un film del genere, deve essere perfetta. Non ci devono essere sovrastrutture.” Ed infatti quest’opera ci riporta agli anni ruggenti dell’America della grande depressione, dove le mitragliatrici avevano innescato una vera e propria guerra tra le forze dell’ordine ed il crimine organizzato.
La spregiudicatezza con la quale John Dillinger compiva rapine, ed il suo prediligere quelle banche considerate colpevoli di aver affamato il Paese gli sono valse il titolo di Robin Hood. Un bandito vecchio stampo che si scontrò con le innovazioni tecnologiche della nascente FBI di James Edgard Hoover. Il film racconta tutto questo, ma soprattutto la sfida titanica tra John Dilliger e Melvin Purvis, il poliziotto dai metodi spiccioli che riuscì ad incastrarlo e farlo entrare nella leggenda. Micheal Mann ci mostra tutto questo in maniera iperealistica. Un effetto ottenuto grazie alla possibilità di girare la pellicola negli stessi luoghi della vicenda originale, avendo persino a disposizione gli oggetti appartenuti ad entrambi i protagonisti della vicenda. Ciò che ne è venuto fuori è un capolavoro gangsteristico, sospeso tra realtà e leggenda, perfettamente interpretato da Johnny Deep e Christian Bale. Dicotomia perfetta di uomo contro uomo. Equazione perfetta di un classico film alla Micheal Mann.
Nei suoi film la sfida tra due uomini è sempre al centro della narrazione. Come mai?
Mi piace mettere al centro delle mie storie due personalità forti. E’ la molla per poter raccontare la dicotomia dell’anima umana. E’ un concetto semplice, che rende il film molto accattivante. In questa storia volevo raccontare di Dilliger, il bandito più famoso di quell’epoca e dell’uomo che fermò le sue imprese criminali. Sono due uomini spinti da sentimenti diversi, ma fondamentalmente uguali. E devo dire che Johnny Deep e Christian Bale, il bandito ed il poliziotto, sono stati molto bravi a rendere questa nemesi sullo schermo.
E’ vero che ha girato nei veri posti dove si sono consumate le vicende umane e criminali di Dilliger?
Ho sempre pensato che certi posti abbiamo un’anima, perchè ci riportano nel preciso istante che stiamo raccontando. Prendiamo ad esempio la famosa pensione Little Bohemia, il luogo dove la banda di Dilliger venne fatta a pezzi dai poliziotti di Purvis (Christian Bale n.d.r.). Il letto su cui si risveglia Johnny Deep era proprio quello dove Dilliger ha riaperto gli occhi durante la sparatoria. Il soffitto era quello. Chiaramente anche la maniglia era la stessa. Quando io e Johnny ci siamo trovati in quella stanza eravamo davvero emozionati. Abbiamo capito che solo restando là potevamo avere una totale immersione nel personaggio: Johnny diventata Dilliger. Sono i piccoli particolari che creano la magia del passato. Il grande valore delle reali condizioni e le località dove sono avvenute le vicende di Dilliger sono importanti. Rendono più realista la narrazione. Accade lo stesso quando lo vediamo morire: Johnny guardava lo stesso muro che vide il bandito negli ultimi istanti della sua vita.
Quindi anche il cinema in cui fu ucciso Dilliger è quello?
Essendo di Chigago, sono cresciuto nella zona dove esiste ancora il famoso cinema Biograph. Negli anni ’70 ero un ragazzo e mi interessavo a cosa venisse proiettato nella sua sala. La storia di Dilliger mi era già nota, perché ogni volta che con mio padre ci passavo davanti, lui mi raccontava della morte del bandito. Anzi, lui sapeva tutto. Mi diceva che quella sera non c’era una donna in rosso, bensì una donna che indossava una camicia bianca e una gonna arancione. Il colore dell’abito si è trasformato grazie alla leggenda che è seguita alla morte di Dilliger. E nel film ho cercato di rimettere a posto la storia ufficiale.
Insomma ha voluto omaggiare un mito…
Non sono interessato alla creazione di una leggenda. Sono piuttosto interessato ad evocare una vita. E’ importante il contesto in cui si sono svolti i fatti. Il periodo conteneva tutti i grandi cambiamenti che stavano avvenendo nella società dell’epoca. Il crimine organizzato si stava espandendo in molte attività illegali, mentre dall’altra parte J.Edgard Hoover, l’innovatore dell’FBI come lo conosciamo adesso, stava rinnovando la polizia rendendola totalmente nuova. Dilliger si trovò proprio nel mezzo. Si comportava come un criminale d’altri tempi e forse non si rendeva conto di come il mondo cambiasse attorno a lui.
Lei ci mostra un uomo affamato di vita. Dilliger era proprio così?
Dilliger voleva vivere a modo suo, cercando di avere subito tutto il meglio possibile. In fondo era un giovane, quando morì aveva solo trentuno anni, che per dieci anni era stato in prigione. Perciò quando è uscito aveva un appetito vorace per tutto ciò che riusciva ad avere in quel momento. E questo era condiviso dagli “amici”, dalla sua gang. La sua leggenda è nata così. E’ interessante sapere che tutto è avvenuto in sole nove settimane. Quindi nulla in termini di tempo. Lui e i suoi, hanno attraversato il paese, hanno svaligiato banche, sono stati catturati, scappati e poi uccisi.
Il film ha il pregio di un’ottima ricostruzione storica. Lei mostra perfino come i media vennero manipolati per poter acciuffare Dillinger… La scena in cui nei cinema vengono diramate le foto di Dilliger è molto forte e soprattutto vera. E’ un fatto storico e ho voluto inserirlo nel film. In fondo, se ci pensiamo, si trattava di una cosa innovativa per l’epoca. Un’ottima propaganda per raggiungere certi fini. Era accaduto più o meno in Russia negli anni ’20, che per pubblicizzare i film di Ejzenštejn si mettevano immagini sui treni, oppure in Germania con Leni Rifensthal, che in maniera totalmente diversa, aveva una propaganda molto simile a quella sovietica. Negli Stati Uniti le notizie arrivavano attraverso la radio. Era un mezzo molto diffuso, unico per portare le notizie da una all’altra parte della nazione. Ma nel 1933, accadde qualcosa di diverso. Tutti andavano al cinema. E Hoover decise di utilizzare il cinema come mezzo per informare la gente. Non ha usato i media tradizionali, perché aveva capito che l’informazione sarebbe stata più capillare ed immediata. Nessuno l’aveva fatto prima. Per questo dico che Dilliger era un eroe d’altri tempi. Negli anni ’30 era un grosso personaggio, ma era già obsoleto perché la tecnologia era andata avanti. La storia l’aveva lasciato indietro. Quindi si ritrovò solo e abbandonato. Era il migliore del suo “tipo”, ma ormai il suo mondo era finito.
Fra tutte le cose che sono appartenute a Dilliger, ce n’è stata una che più delle altre vi ha colpito?
Nei sopralluoghi a Lille Bohemia, abbiamo trovato perfino una valigia che era appartenuta a Dillinger. Frugare tra i suoi effetti personali ci ha permesso di capire che uomo fosse. Cosa gli piaceva, cosa pensava, come si comportava con gli altri. Era un uomo che amava la bella vita, i vestiti alla moda. Era un personaggio davvero cinematografico… ed il cinema ha segnato il suo destino.
Roberto Leggio