Prima nazionale assoluta al Teatro Argentina, a Roma, per il ”Cyrano de Bergerac”, capolavoro della letteratura teatrale di fine Ottocento dello scrittore Edmond Rostand: protagonista Massimo Popolizio, uno dei più grandi talenti del teatro italiano. La storia è quella dell’amore infelice di Cyrano per la cugina Rossana: segretamente innamorato di lei, Cyrano scrive dei versi che poi mette in bocca a Cristiano per sedurla.
Il Cyrano del terzo millennio è un uomo che lotta da solo contro le volgarità e le ipocrisie del mondo. “È rimatore, scienziato, musicista e rivoluzionario, ma soprattutto è un acrobata del pensiero, un funambolo della parola, un maestro di leggerezza”. Così Daniele Abbado, regista dell’opera, definisce l’eroe romantico che non si piega ai ricatti della mediocrità, rifiutando convenienze e compromessi.
Scenografia e costumi ridotti al minimo indispensabile. Il palcoscenico è lasciato alla “parola”: i versi sono d’obbligo per raccontare Cyrano e Popolizio riesce perfettamente ad esprimere in rima il sentimento e la tenerezza per la sua Rossana. Recitare in versi è una scelta di stile che coinvolge movenze e costumi, lasciando tuttavia poco spazio all’immaginazione e all’improvvisazione. Non mancano però gli effetti comici, dati, ad esempio, da alcuni versi recitati in romanesco dal protagonista: le potenzialità espressive di Popolizio sono tali da sopperire persino alle piccole “mancanze” degli altri attori.
Popolizio, come il poeta utopista, ruba la scena e rapisce lo spettatore con la sua voce: teatro non solo come rappresentazione visiva, ma come uno stimolo uditivo che, in presenza di una scenografia minimalista, viene continuamente sollecitato, anche a rischio di perdere le fila del discorso.
Sara Macinante