Nuove mode, gusti diversi, ritmi di vita sempre più intensi. E non tutti i locali riescono a tenere il passo con le nuove tendenze e così il vecchio caro bistrot, anima della capitale francese e luogo di ritrovo di diverse generazioni di intellettuali, politici e gente comune, viene messo da parte per lasciare spazio a sushi bar, fushion food e kebab e a camerieri che sembrano uscire dalla copertina di qualche rivista.
“Parigi è una festa mobile”. Così scriveva Hemingway. Ma delle duecentomila degli Anni ’60, ne rimangono “appena” trencentottomila locali in Francia. Una media di sei chiusure al giorno nel 2008. E nei pochi locali che resistono – tra i nomi storici, Les Deux Magots, Le Flore, Lipp – pur conservando ambiente e atmosfera, è sempre più raro vedere clienti immersi nella lettura di un bel romanzo.
Il governo francese, recentemente, ha approvato un abbassamento dell’Iva dal 19 al 5,5% allo scopo di equiparare la tassazione del caffè di locali e ristoranti a quelli dei fast food. In confronto all’euro e venti per un caffè al banco, quello del distributore automatico diventa subito più invitante. E il dessert? Tra diete salutiste e nuove abitudini alimentari è scomparso da circa il 20% dei pasti e i piatti della tradizione sono stati rimpiazzati da quelli a basso contenuto calorico.
I consumatori non vogliono più solo bere un caffè e fumare: i bistrot pagano della loro incapacità di adeguarsi alle nuove forme di ristorazione e al divieto di fumo. Solo i bistrot che hanno ampliato l’offerta, introducendo megaschermi per le partite di rugby, il brunch domenicale e piatti macrobiotici, sono riusciti a superare la crisi.
Sara Macinante