“Abbasso la rivoluzione, viva la democrazia, viva la Cina”. Erano le voci potenti e quasi festanti degli studenti cinesi ad urlare al cielo di Pechino la voglia di libertà e l’auspicio del riconoscimento legittimo di diritti di base come quello di poter parlare. Le bandiere rosse sventolavano di fianco alle tende in piazza Tien ‘An ‘Men, non solo a simbolo di nazionalità ed appartenenza, ma anche a secolare vessillo di buona speranza. Tien ‘An ‘Men centro del mondo. E al centro del centro del mondo un mucchio di materiale di fortuna era andato magicamente ad assumere le forme di una prosperosa ed afrodisiaca statua della libertà (qualcuno si lamentò della troppa abbondanza dei suoi seni).
Un ragazzo cinese il 5 giugno 1989 nella grande avenue di Chang’an, vicinissima a Piazza Tiananmen, si mette davanti ad un carro armato quasi volesse fermarli. I carri armati cercano di girargli intorno, ma il ragazzo non lascia la sua posizione in atteggiamento di sfida. Un piccolo uomo contro dei colossi. Una fotografia simbolo: un uomo che sfida il potere repressivo, un uomo che dice no alla violenza, un uomo che dice no alla dittatura, un uomo che non ha paura.
Un simbolo tanto più significativo perché il fatto avviene il giorno dopo la repressione violenta di un movimento di studenti che aveva occupato la piazza Tienanmen. Infatti, il 18 aprile 1989 un piccolo gruppo di studenti, diventati nel corso delle settimane alcune migliaia, occupa piazza Tienanmen, lanciando gli slogan di cui sopra. Le richieste sono precise: lotta alla corruzione, risanamento dell’economia, che già dall’anno precedente era disastrata, e avere più voce nelle scelte future del paese.
Ma il 4 giugno, il primo carro armato. Per tutta la notte i manifestanti tentano invano di opporsi all’avanzata dei mezzi corazzati, con lanci di pietre, barricate e bottiglie molotov. Il mattino dopo la protesta è annientata in un bagno di sangue. Ancora oggi la Cina pare lontana da ogni possibilità di apertura democratica del proprio regime. I protagonisti del movimento studentesco del 1989 sono in esilio (Wang Dan negli Usa, Wuer Kaixi a Taiwan); quelli del movimento per i diritti civili in prigione (come l’ attivista cieco Chen Guancheng, che ha promosso la lotta contro gli aborti forzati) o agli arresti domiciliari (cone Hu Jia e Zeng Jinyan, protagonisti della mobilitazione contro lo scandalo del sangue infetto che ha portato migliaia di persone a contrarre l’ Aids).
A ricordare i ragazzi che in quei giorni persero la vita c’è l’Associazione delle Madri di Piazza Tienanmen fondata nel 1991 da una professoressa universitaria in pensione, Ding Zilin, che perse il figlio 17enne nella manifestazione studentesca. Grazie al lavoro delle “Madri”, sono state rintracciate le famiglie di 186 ragazzi uccisi - le vittime in realtà furono più di mille. Per aiutare a non dimenticare, ma soprattutto per resistere alla pressione del regime: a 17 anni dalla strage, le famiglie dei “controrivoluzionari” - come vennero bollati gli studenti di piazza Tienanmen - sono ancora seguite e sorvegliate, e nell’anniversario del massacro, vengono messe di fatto agli arresti domiciliari.
Daniele Bellodi
(La fotografia simbolo della repressione di piazza Tienanmen)