Chi sceglie Vancouver e non lo fa per moda, né per sentito dire, ama la natura. Il prerequisito è essenziale per il visitatore tipo. Anche perché il cemento qui, sebbene in quantità notevole, evita contrasti col paesaggio naturalistico: non si fa odiare, e tuttavia non gioca neanche da protagonista.
I seicentomila abitanti della città e i due milioni in totale dell’area metropolitana ne sanno qualcosa. Praticando sport e attività outdoors a più non posso, non possono far altro che suscitare la sana invidia di ogni buon forestiero. Se un detto locale diffusissimo afferma con orgoglio il fatto che qui è possibile andare a sciare la mattina, fare vela a ora di pranzo, giocare a golf o tennis nel tardo pomeriggio e essere a casa per l’ora di cena, un motivo ci deve essere per forza di cose. Le tappe obbligate di città e dintorni, animate dalla necessità impellente di ricevere ossigeno e contemplare la natura, possono partire a caso da un imbarazzo di natura. Comodo però raggiungere da subito il primo maestoso polmone verde della zona: il famosissimo Stanley Park, con i suoi quattrocento e passa ettari di foresta e alberi secolari, al tempo stesso, habitat di una fauna piuttosto variopinta, meta prediletta di cittadini in cerca di relax e chiodo fisso degli otto milioni di turisti che ogni anno lo visitano. Passeggiare in bicicletta, fare jogging o pattinare, sono di certo le prime spontanee attività che possono venire in mente. Praticarle è suggestivo, in special modo lungo i nove chilometri della Diga marittima Seawall Promenade, per il lungo della linea costiera del parco. Le propaggini di un Pacifico mite e clemente, incuneatesi tra le insenature di una costa irregolare, sono li, tra una pedalata e l’altra, a portata di sguardo. Contemplare è intrigante anche dal Totem Poles, tra copie di autentici totem indiani, dove acquista inaspettato rilievo estetico anche lo skyline della città.
Paradossalmente Vancouver, nonostante un surround fatto tutto di natura, è infatti una delle città del mondo che più gratta l’azzurro: se fino alla metà degli anni novanta, lo Scotia Tower era il principale solletico del cielo, l’arrivo in città di un gran numero di immigrati e la conseguente crescita demografica, ha decretato lo sviluppo rapido su un verticale di nuovi edifici residenziali e commerciali. La visita all’interno del parco più vasto e celebre di tutta la zona, non può dirsi conclusa senza una piacevole capatina al Vancouver Aquarium, interessante scenario di specie marine: lontre, balene, belughe comprese, che tuttavia è possibile osservare anche in diretta nel loro territorio di vita, in vari punti del circondario. Non appena ci si sposta un po’, in direzione Vancouver Island le escursioni organizzate su questa lunghezza d’onda, fioccano: semplicissimo trovarne opportunità, quasi come prendere un caffè da Starbucks. Il Whale Whatching non è l’unico voyeurismo esotico che ogni buon turista può permettersi: a variegare la scelta o completare il quadro, il Bear Watching ci ricorda di aver portato con noi il binocolo.
Tra il ventaglio di opzioni possibili, il più incantevole itinerario fra gli orsi e le balene (in barca o kayak) parte da Knight Inlet a nord-ovest di Vancouver, un fiordo lungo centosessanta chilometri, vero e proprio habitat naturale dei grizzly ma anche delle orche, attirati qui da una grande quantità di salmone e da una fauna acquatica piuttosto ricca, a dispetto di acque placide e silenziose. Partenza dalla Campbell River di Vancouver Island, e soggiorno in un eco-lodge raggiungibile esclusivamente in idrovolante: cottage dalla ricettività limitata, ma dal fascino inoppugnabile. Ulteriori occasioni possono soddisfare ogni gutturale implorazione di natura: il Grouse Mountain, promontorio apprezzatissimo in tutte le stagioni che domina Vancouver, raggiungibile tramite appena diciotto dollari di funivia, offre respiri puliti e viste ancora una volta incantevoli.
Giunti li, sentieri consigliati con tanto di mappa, sono riposo per ogni comune sguardo sulla vita e senso di società: i voli dei falchi e lo sgambettio di una fauna palpitante assicurano, con formula contrattuale soddisfatti o rimborsati, temporanee sensazioni di nirvana. Ad un tiro di schioppo, il Capilano Suspension Bridge: una passerella di centosettanta metri rigorosamente in legno, il più grande ponte sospeso al mondo. Costruito nel 1899 e rinnovato nel 1956 per l’attraversamento a piedi del fiume Capilano, è ben distante dal pelo dell’acqua. Intorno a lui, ancora foresta pluviale, mentre nei pensieri di chi guardando giù non prova vertigine scompaiono le frenesie di lamiera di nebbiose tangenziali e le solitudini delle periferie. Se tutto questo non basta, c’è anche lo spazio per rapide e cascate all’interno del Lynn Canyon Park, senza bisogno di allontanarci troppo in direzione Niagara. Un altro ponte sospeso e la possibilità di fare il bagno lungo il fiume, osservati dagli occhi costanti dell’immancabile foresta. E poi ancora spiagge: i patiti di surf, kite-surf e di ogni suo possibile succedaneo, non hanno dubbi nel dirigersi direttamente a Wreck Beach.
Il costume da bagno è opzionale, e mentre onde interessanti e la presenza informale dei suoi visitatori (con o senza bermuda) rilassano l’atmosfera, si può volgere lo sguardo alle spalle verso una foresta che ci illude di essere lontanissimi dalla città.
Più discreta, ma meno nature e spettacolare l’English bay è una spiaggia fatta apposta per ogni limpido tramonto, senza nulla intorno. Ed è così che mentre si fa ora di cena, si può forse cominciare a considerare anche l’ipotesi di vivere un po’ di atmosfera metropolitana, visitando il centro di una delle più sane, tranquille e vivibili città al mondo.
Pietro Romeo