Con questa frase, il popolare attore ha esordito oggi all’Ambasciata d’Ungheria, alla presentazione di “Mario, il Mago”, diretto da Almasi Tamas che è tratto da una storia vera ambientata nella campagna ungherese pochi mesi dopo la caduta del muro di Berlino. “Perché il cinema è troppo condizionato dalla televisione… e non voglio che abbia i giorni contati.” Il suo è un disappunto di cuore nei confronti dell’invasione sempre più dilagante della televisione, colpevole di aver vanificato il cinema, di averlo condannato a morte. “Sembra che non ci siano alternative” ha continuato su questa linea “anche perchè, perdonatemi il bisticcio, sempre più spesso il piccolo schermo sta sopprimendo il grande schermo.”
Parole dure, piene di pessimismo. Ma che hanno una valenza artistica in linea con le ultime scelte di Franco Nero, in guerra da qualche anno contro il brutto cinema. “Sono affascinato dal “cinema povero”, quello pieno di idee, ma a basso costo. Per questo mi sono unito a Luis Nero, che tra l’altro non è mio parente, nella produzione e distribuzione di questo film.” Ha sottolineato con molto orgoglio. Ed infatti Mario, il mago, nel quale è anche protagonista è un film atipico per gli standard italiani. Su due piedi è un’opera seria, piena di spunti, ma difficile da qualificare, in quanto racconta dell’arrivo della democrazia e del capitalismo nei paesi dell’est all’indomani della dissoluzione dell’impero sovietico. Si parla dell’Europa che cambia, dell’occidente che “invade” imprenditorialmente l’est, sfruttando la manodopera locale a basso costo.
Un po’ quello che sta accadendo all’incontrario in questi ultimi anni nel nostro paese, con l’arrivo in massa di manodopera “slava”, non sempre accolta con favore. Anzi sempre più spesso con disprezzo. “Questo è un piccolo film, ma di grande respiro.” Ha proseguito Nero, specificando che l’opera si presta a varie interpretazioni. “L’Europa è un posto bellissimo, ma pieno di contraddizioni. Anche per questo ho girato questo film”. Ha concluso prima di concedersi all’intervista.
Il suo ultimo film è ambientato in Ungheria. Come si è trovato a girare lì?
A prescindere dal fatto che è un paese meraviglioso, confesso che ho trovato molta preparazione. Molta professionalità. La cose che però mi hanno colpito di più sono state le location. Posti sospesi nel tempo. Ricordo che nel posto dove giravamo tutto era incontaminato: foreste, campagne, scoiattoli… poca gente. Sembrava di essere tornati indietro nel tempo, tanta era la pace che regnava intorno. Forse la parola giusta è naif. Si proprio così, un posto naif.
Il suo rapporto con l’Ungheria, non è totalmente nuovo…
Effettivamente sono considerato un Dio, dal giorno che interpretato Arpad, il loro eroe nazionale…
Garibaldi, Arpad, lei incarna gli eroi “liberatori”, come mai?
Merito del mio fisico. Forse anche per il peso della mia barba. A parte gli scherzi, questi personaggi non me li sono andati a cercare. Sono capitati…
Mario il Mago, il film a giorni sugli schermi è ambientato a pochi giorni dal crollo del muro di Berlino. Vent’anni fa la libertà è dilagata in tutta Europa, mentre adesso si alzano molti muri. Non le sembra un po’ strano?
Bella domanda. Quando il muro è crollato si pensava che il mondo fosse meno ristretto, più aperto. Molto più semplice. Adesso, come dice lei, ci sono molti più muri di prima. Forse perché viviamo nella paura. Ci fidiamo più di nessuno. Così il diverso diventa un nemico. Giro per il mondo per lavoro e scopro che per spostarti da una parte all’altra devi essere scortato, sempre con l’angoscia che possa accadere qualcosa. La trovo una cosa terribile. La soluzione è semplice: con le armi non si risolve nulla. Le parole sono molto più potenti di un colpo di cannone. Il mondo è instabile perché si è insistito nell’usare la forza, invece della parola. E non sto parlando solo degli Stati Uniti…
Lei sta girando un film in Tunisia. Ce ne può parlare?
Interpreto San Agostino. Un personaggio complesso. Molto contemporaneo. Analizzandolo è una figura interessante, non solo perché ha attraversato quel particolare periodo in cui era in atto uno scontro di civiltà tra i Romani ed i Visigoti che ha portato alla fine della Storia; ma soprattutto perché ha avuto una vita incredibile. Aveva una moglie, un figlio e in gioventù non aveva certo l’indole per diventare santo. Il film, che è prodotto dalla Lux Vide di Ettore Barnabei, racconta la vita del santo dall’adolescenza all’età adulta, e il suo personaggio è interpretato da tre attori diversi. Io sono Sant’Agostino anziano.
Lei rappresenta il cinema italiano d’antan. Ma dove sta andando il nostro cinema dopo “Gomorra” ed il “Divo”, tanto acclamati all’estero…
Non credo che il cinema italiano se la passi bene, nonostante questi due titoli. Il cinema dev’essere un’industria. E attualmente non c’è. Questo non permette di realizzare film di qualità. Ci sono buone idee e giovani registi che restano al palo perché non trovano produttori che sono pronti a scommettere su di loro. A mio parere il cinema sta andando a rotoli perché è in mano agli amministratori Rai e Mediaset. La televisione sta uccidendo il cinema ed è questa la realtà. Ormai si fa tutto in funzione del piccolo schermo, ed ecco perché si fanno molte fiction e film sempre più piccoli…
Cinema, teatro, televisione e adesso anche un vino che porta il suo nome…
Già, è uno dei migliori d’Italia. Ha uve San Giovese e viene dalla zona di San Benedetto del Tronto. L’idea è partita da Benito Amabili, un uomo che con la viticoltura fino a qualche tempo fa non aveva nulla a che fare. Vendeva stracci e adesso è proprietario di un Feudo, nei pressi di Monteprandone nel piceno. La sua azienda coltiva oltre al vino anche olio, tra l’altro molto buono. Comunque la sua idea era quella di buttarsi nella coltivazione della terra, ripromettendosi di fare dei prodotti di qualità. Infatti adesso fa un vino particolare, che come dicevo prima è uno dei migliori in Italia. Dato che siamo amici da moltissimi anni mi ha chiesto come avrebbe potuto chiamare questo tipo di vino, trovare un nome ad effetto e di richiamo non era facile. Gli ho proposto di unire i nostri nomi e battezzarlo BenFran… Ma poi abbiamo deciso di chiamarlo Franconero.
Roberto Leggio
(Nella foto l’attore Franco Nero)