Un’occasione per fare un bilancio sull’industria del tessile italiana che, secondo un recente studio della Camera Nazionale della Moda, potrebbe attraversare una piccola crisi nel 2008, dovuta in parte alla liberalizzazione completa degli scambi tessili in Europa e dalla probabile contrazione dell’economia a stelle e strisce. Ma principalmente bisognerà fronteggiare la stagnazione della spesa delle famiglie soprattutto nella penisola, ma anche l’inversione di tendenza di un paese come la Germania che, dopo un 2006 da “record”, ha cominciato a frenare.
Il 2008 sarà un anno all’insegna dell’incertezza per il settore, secondo gli esperti dei Fashion Economic Trends, due tra le principali incognite sono legate ai futuri sviluppi della locomotiva tedesca e alle fluttuazioni valutarie tra dollaro ed euro. L’Italia è il secondo fornitore mondiale di prodotti del tessile, insieme agli Stati Uniti e dopo la Cina, con una quota del 6,5%. Per quanto riguarda l’abbigliamento siamo sul gradino più basso del podio, con una quota di mercato del 5,3% , dopo Cina e Messico. Le esportazioni italiane dell’intero sistema moda sono supportate da ben 22.000 aziende specializzate nel Made in Italy che comprendono tessile, abbigliamento e accessori (guanti, cappelli e cinture), e i principali acquirenti sono Germania, Francia, USA e Regno Unito. Dieci aziende italiane controllano quasi il 20% del mercato mondiale di prodotti di lusso, una quota di circa 90.000 miliardi di vecchie lire a dimostrazione del fatto che gli italiani sanno distinguersi per una produzione ricercata e di qualità. I paesi principalmente interessati alle nostre esportazioni di lusso sono, ovviamente, USA e Giappone.
Nonostante ciò l’Italia continua ad importare un quota notevole da paesi come Cina, Romani, Germania e Francia. In realtà, i nostri stilisti non sembrano molto preoccupati da queste previsioni, per lo meno all’apparenza. Infatti l’evento che ha fatto più scalpore durante i giorni del fashion week è stato, senza dubbio, il gala per l’apertura del nuovo megastore Gucci sulla 5th Avenue, che presenterà la nuova linea Heritage di Frida Giannini, con pezzi classici come la borsa in pitone da 3.690 dollari, quella in coccodrillo da 28.500 dollari, la sciarpa , le valigie, le borse e il lussuosissimo reparto gioielli riservato ai clienti più speciali. La collezione è dislocata su un negozio di tre piani ideato dall’architetto James Carpenter. Per l’inaugurazione, oltre a un sito ad hoc (www.guccilovesny.com), è stata presentata anche la Gucci Love New York Bag, un bauletto in tela monogrammata bianca prodotto, neanche a dirlo, in edizione limitata in tre versioni, small $570, medium $640, e large $690. L’apertura del nuovo Gucci arriva dopo Prada, che ad aprile del 2006, aveva aperto un nuovo flagship store a Soho, ristrutturato da Kayoko Ota del Rem Koolhaas’s Office for Metropolitan Architecture (OMA), in seguito alla distruzione causata da un incendio. All’interno del bellissimo negozio anche la mostra, “Waist Down - Skirts by Miuccia Prada”, con le gonne più rappresentative dal 1988. Anche Zegna, tra i principali stilisti maschili, dopo l’apertura del nuovo flagship, Ermenegildo Zegna di via Montenapoleone a Milano (700 metri quadri), ha pensato di “bissare” con l’apertura del suo store sulla 5th Avenue. Si tratta di un progetto del solito Peter Marino, esperto architetto di edifici di lusso, che ha saputo celebrare con modernità uno dei brend principe della sartoria italiana.
Evidentemente gli stilisti italiani hanno puntato sul rilancio dei consumi USA, principalmente sui consumi di lusso. Senza preoccuparsi delle previsioni non ottimistiche sull’economia americana e sullo comparto della moda. Forse i nostri stilisti sanno qualcosa sul mercato americano che gli analisti economici non hanno saputo prevedere.
Lorenzo Breschi
(Nella foto lo store Gucci sulla 5th Avenue a New York)